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L’Ungheria cresce ma turba l’Europa con nuovi muri anti-migranti

Secondo dati CE, FMI e Intesa Sanpaolo, nel 2015 il PIL ungherese è cresciuto del 2,9% grazie a domanda interna ed esportazioni. Per quest’anno si prevede una crescita del 2,0%, ma il punto debole resta il debito estero superiore al 100%. E sull’immigrazione la politica del premier Orban turba l’Europa: nuovo muro a Sud e referendum sulle quote il 2 ottobre

L’Ungheria cresce ma turba l’Europa con nuovi muri anti-migranti
La politica anti-migranti dell’Ungheria turba l’Europa ma la crescita economica del Paese magiaro è indubbia. Il premier ultraconservatore Orban ha preannunciato un nuovo muro anti-migranti a sud e il referendum sulle quote per il 2 ottobre ma l’economia corre, anche se insieme al Pil corre il debito estero.

Nel 2015 il PIL ungherese è cresciuto del 2,9%: dal lato dell’offerta il settore dei servizi in lieve accelerazione ha fornito un significativo contributo alla crescita (+1,4%), al quale si è aggiunto quello derivante dalla buona dinamica di produzione industriale (+0,8%) e agricoltura (+0,4%). La crescita della domanda per consumi privati e per investimenti sono stati i maggiori catalizzatori dal lato della domanda interna (+1,5% e +0,4% i rispettivi contributi). Mentre il contributo fornito dai consumi pubblici è stato più modesto (+0,1%) per via del controllo della spesa attuato per rafforzare le finanze pubbliche.

Positivo è stato il contributo dell’export netto
(+1,5%) grazie all’accelerazione delle esportazioni rispetto alle importazioni. Tuttavia, segnali di rallentamento della fase ciclica si sono avuti all’inizio di quest’anno. Secondo le stime preliminari pubblicate dal Centro Studi Intesa Sanpaolo, nel corso del primo trimestre il PIL è cresciuto dello 0,9% tendenziale. La dinamica tendenziale particolarmente debole del PIL riflette la prima contrazione congiunturale (-0,8%) dal 2012. A contribuire negativamente alla dinamica del PIL troviamo una debole performance del settore industriale (+0,5% rispetto al primo trimestre 2015), soprattutto nel comparto estrattivo (-40% a marzo) oltre a quello manifatturiero (-4,4% a marzo). Anche la domanda estera ha segnato un arretramento a marzo (-3,4%), mentre nello stesso mese la dinamica delle vendite al dettaglio è rimasta su un trend positivo (4,2%).

I consumi delle famiglie stanno beneficiando della riduzione del tasso di disoccupazione (6% a febbraio, minimo degli ultimi anni). Ad aprile, l’Economic Sentiment Index (ESI) è rimasto piuttosto alto a 110,1 seppure in lieve calo, e nello stesso mese il PMI manifatturiero è rimasto sopra quota 50 a 52,2, lievemente migliore rispetto a marzo (51,7). Nel complesso la fase ciclica ungherese, seppur in rallentamento, rimane positiva e per l’intero 2016 gli analisti prevedono una dinamica del PIL attorno il 2,0%, grazie alla buona dinamica anche dei consumi privati, favoriti dal calo della disoccupazione, e della domanda estera, soprattutto dai mercati UE. Si prevede invece che la spesa pubblica per consumi ed investimenti daranno solo un piccolo contributo alla crescita economica per via della necessità di contenere la spesa pubblica.

Dal lato dell’offerta si prevede la dinamica dell’industria restare positiva benché su un trend più contenuto rispetto al 2015, mentre il settore dei servizi, maggiormente legato alla congiuntura nazionale, è previsto crescere intorno al 2,4% circa. L’inflazione, pari a -0,1% nella media del 2015, è stata pari a 0,2% nella media dei primi cinque mesi del 2016, in recupero ma decisamente debole. Sulla dinamica dei prezzi al consumo hanno inciso sia i piani di riduzione dei prezzi dell’energia elettrica e del gas per usi domestici, sia la dinamica contenuta dei prezzi internazionali delle materie prime. Per quest’anno l’inflazione media è prevista solo lievemente positiva (0,5%).

Nel 2015 il disavanzo pubblico è stato del 2,0% del PIL, in miglioramento dal 2,3% registrato l’anno precedente: il miglioramento è soprattutto dovuto all’incremento delle entrate fiscali e al minor costo per interessi pagati. Per quest’anno e il 2017 la Commissione Europea (CE) prevede che il deficit pubblico resterà al 2,0%: il calo degli investimenti pubblici per l’effetto post-elettorale, la minore spesa sociale e i minori interessi sul debito saranno compensati dalla riduzione del carico fiscale sul settore bancario (con l’aliquota fiscale della tassa speciale sulle banche ridotta a 0,15%) e da misure come il nuovo “pacchetto per la casa” che prevede una riduzione dell’IVA al 5% per le nuove costruzioni. In particolare quest’ultima misura rappresenta, secondo la CE, un elemento di incertezza per la stima del deficit pubblico, che pertanto resta soggetto a rischi verso l’alto.

Il debito pubblico, pari al 78,3% del PIL nel 2012, è sceso gradualmente negli ultimi anni ed è stimato a 75,3% alla fine dello scorso anno; viene inoltre previsto dalla CE in ulteriore calo negli anni 2016 (74,3%) e 2017 (73%). Con un disavanzo di bilancio stabilmente al 2,0% del PIL, il debito pubblico tenderebbe a stabilizzarsi intorno al 50% del PIL nel lungo periodo. A fronte delle basse pressioni inflazionistiche, e per favorire il recupero dell’economia, la Banca Centrale d’Ungheria (NBH) ha tagliato progressivamente il tasso di interesse di riferimento fino a 0,9% a maggio di quest’anno. La fase di riduzione dei tassi potrebbe essere terminata ma con una dinamica dei prezzi molto contenuta la politica monetaria potrà restare espansiva ancora per tutto l’anno in corso e buona parte del prossimo considerando anche che la BCE potrebbe mantenere i tassi di interesse bassi ancora per un lungo periodo. La riduzione del tasso di policy ha indebolito il fiorino che è arrivato a 315,6 contro l’euro. Nel breve termine ci si attende allora che la valuta locale resti soggetta alla volatilità.

Nel 2015 l’Ungheria ha registrato un avanzo del saldo di conto corrente superiore ai 4,7 miliardi di euro (circa il 4% del PIL), grazie soprattutto al saldo positivo del conto dei servizi e quello commerciale. Nello stesso periodo, si è registrato un deflusso netto di capitali per investimenti di portafoglio e altri investimenti e, sebbene più contenuto, anche per investimenti diretti. Il conto dei capitali ha invece registrato un saldo positivo ma nel complesso la Bilancia dei Pagamenti ha segnato un disavanzo di quasi 5 mld. Per quest’anno si prevede il saldo corrente restare ancora positivo e prossimo al 3,5% del PIL. E’ previsto, inoltre, che l’incremento delle importazioni (+1,6%), per effetto del rafforzamento della domanda interna, sarà compensato dall’aumento dell’export (+1,3%) favorito dalla maggiore domanda estera. La posizione finanziaria netta del Paese è negativa (circa il 70% del PIL nominale 2015) e il debito estero lordo è a 108% del PIL, tuttavia il saldo positivo del conto corrente potrà favorire un graduale rafforzamento della posizione finanziaria estera del Paese.

Nelle ultime valutazioni economiche, il FMI oltre ad aver apprezzato la buona crescita economica dell’Ungheria negli ultimi anni ha anche valutato positivamente il miglioramento dei conti con l’estero che, a partire dal 2009, hanno registrato saldi positivi del conto corrente e debito estero in calo rispetto al PIL. Sul medio-lungo termine la stabilità della posizione estera dell’Ungheria appare in miglioramento e, nel breve periodo, si è registrata una sostanziale stabilità nel grado di liquidità del Paese. Il reserve cover ratio, vale a dire il rapporto tra riserve in valuta e l’aggregato pari alla somma algebrica tra debito in scadenza e il saldo di parte corrente che fornisce l’ammontare delle necessità di finanziamento a breve del Paese, è stimato superiore al valore soglia di 1 (salito a 1,1 nel 2016).

Sulla base dell’ultimo Global Competitiveness Index (GCI) calcolato dal Word Economic Forum, l’Ungheria è passata, tra il 2009 e il 2015, dal 58° al 60° posto in una classifica di 144 Paesi: la competitività misurata dal GCI non è dunque migliorata negli ultimi anni. L’architettura del sistema economico e istituzionale ungherese presenta diversi punti di debolezza: lo stesso indice GCI evidenzia nel sistema fiscale e nella difficoltà di accesso ai finanziamenti i principali fattori che ancora penalizzano la competitività locale. Sulla base dell’indicatore Doing Business, l’Ungheria occupa la 42° posizione in una classifica di 189 Paesi. Sebbene il reserve cover ratio sia superiore al livello di allerta e si disponga di un significativo avanzo di conto corrente, l’Ungheria presenta elementi di vulnerabilità macroeconomica per via di un debito estero che risulta ancora superiore al 100% del PIL ma che tuttavia è in calo ed è sceso significativamente dal picco del 135% del 2009. Anche la percentuale di debito pubblico, sebbene ancora significativo (76% del PIL), è prevista in calo nei prossimi anni grazie al deficit di bilancio previsto rimanere intorno al 2,0%. I CDS sono calati negli ultimi mesi in linea con quanto osservato per gli altri Paesi europei e attualmente il livello dei CDS è ai minimi dagli inizi del 2015. Ecco allora che l’agenzia di rating Fitch a maggio ha migliorato la valutazione del Paese portandola in investment grade a BBB-. Le altre agenzie, S&P e Moody’s, sono invece più prudenti e al momento attribuiscono all’Ungheria, rispettivamente, la classe BB+ e Ba1.

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