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L’Italia è un Paese a sovranità limitata per il suo debito: perciò dobbiamo assecondare i mercati

I mercati vogliono che l’Italia acceleri la riduzione del debito pubblico e che prenda misure per la stabilità e la crescita – Ma per ora dal Governo abbiamo solo ascoltato chiacchere mentre le parti sociali chiedono discontinuità solo agli altri – Occorrerebbe fare come nel ’92 – Alfano sbaglia sul rapporto politica-mercati

L’Italia è un Paese a sovranità limitata per il suo debito: perciò dobbiamo assecondare i mercati

L’Italia è un paese solido che non può fallire. Il debito dello Stato italiano è garantito, in ultima istanza, non solo dal patrimonio dello Stato, ma anche da un’economia reale forte che continua a esportare. Un governo solido e capace sarebbe in grado di azzerare il disavanzo della Pubblica amministrazione in un solo anno, fugando ogni dubbio.
Hanno dunque ragione quanti, come Tremonti, dicono che è meglio non fare nulla di più di quanto fatto finora? No. Perché l’Italia è anche un paese indebitato in modo rilevante, che ha dunque perso gran parte della sua sovranità. Chi ha un debito così forte non può fare quello che ritiene sia giusto. Deve fare quello che il mercato vuole, pur se non fosse giusto. Ha torto il nuovo segretario del Pdl Alfano che ha ricordato la supremazia della politica sui mercati. La politica conta più dei mercati se il paese non ha un debito così alto. Se è indebitato, la politica conta meno dei mercati, perché attraverso il debito ha ceduto sovranità ai mercati. Certo, si può sempre pensare di chiudersi autarchicamente e magari abbandonare l’euro. Ma questa scelta non ci ridarebbe sovranità, ma solo povertà.

Quindi, nell’immediato, occorre fare ciò che chiedono i mercati. E i mercati non chiedono cose irragionevoli. Chiedono di accelerare la riduzione dell’indebitamento pubblico e di prendere misure per favorire stabilità e crescita. Penso che anche gli italiani chiedano cose analoghe. Ma finora ci siamo limitati a sentire chiacchiere da tutte le parti. Gli otto punti del governo, che ha ricompreso i sei punti delle parti sociali, sembrano solo un generico piano, buono (si fa per dire) per fare una campagna elettorale. Ma non c’è nulla di concreto e molti degli obiettivi indicati hanno fatto parte delle buone intenzioni dei passati governi dei decenni scorsi.

Le parti sociali hanno chiesto una discontinuità. La prima discontinuità l’avrebbero dovuta fornire loro dichiarando cosa erano disposti a accettare per accelerare il risanamento finanziario. Se lo avessero fatto avrebbero costretto il governo a fare la sua parte. Invece ognuno rimanda la palla nel campo dell’avversario, in una partita che sembra il tennis giocato dai cosiddetti “pallettari”, quelli che alzano la palla per farla ricadere nel campo avverso e prendere tempo per posizionarsi.
Nel 1992, a fronte di una crisi analoga di sfiducia sul debito italiano, in pochi giorni la Confindustria accettò una patrimoniale sul capitale delle imprese. I sindacati accettarono il blocco delle pensioni di anzianità e i commercianti e artigiani subirono (senza accettarla) la minimum tax, ossia un’imposta da pagare anche in assenza di reddito (una sorta di patrimoniale su queste imprese). Il governo di allora (Giuliano Amato) varò una manovra di circa 90.000 miliardi di lire (il 5% del PIL di allora) e la speculazione si arrestò.

Anche oggi si possono ipotizzare misure analoghe. Si possono prevedere tasse straordinarie, magari col sistema Ciampi: ossia con l’ipotesi di restituzione parziale o totale se tali tasse ci consentiranno di frenare la speculazione e di ridurre il peso degli interessi sul debito pubblico. Carlo Azeglio Ciampi, grazie a una misura di questo tipo, ci permise l’ingresso nell’euro che tagliò drasticamente la spesa per interessi e gli italiani ebbero il parziale rimborso. Pietro Modiano, in un articolo sul Corriere della Sera, ha proposto qualche cosa di analogo.

A sua volta il sindacato potrebbe proporre di abbandonare per sempre le pensioni di anzianità, ciò che non ridurrebbe il reddito dei lavoratori, ma che potrebbe assicurare un risanamento più veloce dei conti pubblici. Con misure di questo genere, sarebbe possibile pretendere veri tagli ai costi della politica. Ricordandosi sempre che l’Italia ha qualche eccesso di costo nella politica, ma ha soprattutto scarsa qualità dei politici. Non si tratta, perciò, di pagare meno i politici, ma di evitare di avere in Parlamento o nei consigli locali, portaborse, faccendieri, amanti, inquisiti di mafia, condannati dai tribunali, incompetenti, parenti e figli di politici bocciati nelle scuole italiane e tutto quel caravanserraglio che gravita sulla politica italiana attuale. E per far questo occorre un nuovo sistema elettorale e una nuova etica da parte degli elettori. I quali non devono più fare di tutt’erba un fascio, dichiarando che la politica è tutta marcia. Ognuno di noi può distinguere perché ci sono molti politici e molte persone oneste in Italia. Ma occorre informarsi bene su chi sono i candidati e rifiutarsi di votare soggetti come quelli descritti prima.
Il risanamento dell’Italia è nelle nostre mani. Non facciamocelo scappare.

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