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L’inflazionefobia sconfitta dalla tecnologia

L’inflazione resterà bassa? E perché? Quale ragione fa temere un suo rialzo? E quali forze la tengono bassa?

L’inflazionefobia sconfitta dalla tecnologia

Chi ha paura dei ragni? L’aracnofobia è molto diffusa. L’astronauta Chris Hadfield spiega, statistiche alla mano, che non c’è ragione di avere paura (quasi un ossimoro, essendo la paura irrazionale).

La paura dell’inflazione assomiglia all’aracnofobia. Non c’è alcuna ragione oggi di temere una ripartenza della corsa dei prezzi. Le Lancette perfino la auspicano, perché toglierebbe molte castagne dal fuoco: allontanerebbe il baratro della deflazione, spingerebbe le persone a spendere, sarebbe indicazione che l’economia è fuori dalla palude della secular stagnation, alleggerirebbe il peso dei debiti, faciliterebbe il compito alle Banche centrali… Ma, lungi dal giungere a tale auspicio, molti si interrogano sulla possibilità che l’inflazione riparta, e lo temono, pensando che ciò farà risalire i tassi  (state sereni e leggetivi il pezzo su tassi e valute).

Perché l’inflazione non ripartirà? Semplice, perché il primo motore di una rincorsa dei prezzi è il costo del lavoro. Costo che ora e nel futuro prevedibile sarà immobile (come nel sistema aristotelico). Ci vorrebbe una rivoluzione copernicana per cominciare a vederlo salire. Soprattutto, occorrerebbe che il fattore lavoro diventasse scarso, molto più scarso di quel che è oggi.

Invece, la piena occupazione è stata allontanata dalla crisi pandemica non solo perché ha abbattuto PIL e posti di lavoro, ma anche perché ha accelerato i cambiamenti in atto e occorrerà non poco tempo prima che questi cambiamenti si sedimentino, sempre che ciò avvenga.

I cambiamenti sono tecnologici ma anche sociali e culturali. Entrambi stanno creando un’enorme pressione concorrenziale che frena la voglia di aumentare i listini. Gli acquisti on-line sono sempre più semplici e frequentati dalle persone. Bastano un paio di touch sul telefonino, dove la pubblicità profilata propone già l’oggetto del desiderio. E poi ci pensano i giganti della logistica e delle consegne a domicilio, senza far nomi per non far torto a nessuno (il fatturato grocery della prima catena commerciale USA non teme concorrenti grazie all’aumento delle vendite su internet).

Con il frigorifero “parlante” sapremo meglio gestire la spesa: la farà direttamente lui (una volta c’era solo il saggio grillo di Pinocchio, ma finì male). Con le macchine industriali dialoganti si abbatteranno i costi di manutenzione. Con la 5G sarà perfino possibile fare operazioni chirurgiche a distanza. Con lo smart-working non dovremo più precipitarci fuori città per il fine settimana, con notevoli risparmi sia per i lavoratori che per i datori di lavoro (meno spazi dedicati agli uffici, per esempio).

Tutto questo farà salire o scendere l’inflazione? A voi l’ardua sentenza.

A noi comuni mortali non resta che osservare che i prezzi delle materie prime salgono e ciò fa aumentare il reddito dei produttori e quindi i loro investimenti. In economia si chiamano movimenti dei prezzi-relativi.

Un tempo le quotazioni delle commodity seguivano un trend decrescente. Tanto è vero che il nome stesso di questi beni primari è diventato sinonimo di facile da trovare e privo di valore. È presto per dire che questo trend si sia rotto. Anche perché la lotta al cambiamento climatico (edulcorazione anglosassone della distruzione del Pianeta) imporrà di ridurre il consumo di tali beni e inventarci nuovi standard di vita meno impattanti, come l’uso della carne-non carne.

Ma per questo Natale godiamoci ancora il cappone ripieno. O è meglio il pesce? Problemi di abbondanza da risolvere secondo le tradizioni familiari.

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