Condividi

L’Europa ha bisogno di una scossa per uscire dalla stagnazione: un taglio dell’Iva del 50%

Per uscire dal pantano della stagnazione l’Europa deve archiviare l’austerità e lanciare una politica che renda finalmente possibile la crescita – Le ricette possono essere molte ma quella più efficace è un taglio dell’Iva del 50% per tutto il continente, finanziato centralmente dall’Europa – Poi bisogna decidere a quali riforme dare la priorità

L’Europa ha bisogno di una scossa per uscire dalla stagnazione: un taglio dell’Iva del 50%

L’Europa rimane nella morsa della stagnazione. La crescita del Pil dell’Eurozona nel secondo trimestre 2014 è piantata sullo zero. L’economia tedesca fa peggio della media e arretra: meno 0,2%. Chi nelle settimane scorse vedeva rosa notando il moderato calo della disoccupazione europea ora ne è sorpreso. Ma chi oggi si sorprende, chi si aspettava un risultato, sia pur minimo, dai tassi negativi della Bce e dagli annunci di programmi d’acquisto, o dagli 80 euro, non ha studiato a fondo la macroeconomia.

Nessuna sorpresa. Le economie creano lavoro quando c’è fatturato. E il fatturato dipende dalle libere decisioni dei privati guidate da criteri di redditività e opportunità. Le famiglie, in primo luogo, spendono quando sentono di poter disporre di qualche soldo in più. E il risparmio è strettamente correlato al disavanzo pubblico, come spiego in Salviamo l’Europa dall’austerità (Vita e Pensiero, 2014). Tagliare il disavanzo significa tagliare le gambe ai risparmi delle famiglie e delle imprese. In queste condizioni, abbassare i tassi non serve e può essere controproducente se le famiglie che hanno messo da parte qualche soldo si accorgono che il loro gruzzolo non rende più nulla.

È pur vero che in Europa alcuni paesi vanno meglio di altri. E come potrebbe essere altrimenti? Ma è davvero pretestuoso l’argomento secondo cui se l’Italia va peggio di tutti significa che il problema è italiano e non europeo. Sarebbe come se nel 2009 Obama avesse puntato il dito sul Michigan, dove la disoccupazione era di oltre 4 punti percentuali più elevata della media, e si fosse rifiutato di fare la manovra federale di 797 miliardi di dollari, chiedendo invece al Michigan di fare le riforme!

Le differenze tra paesi non cambiano la diagnosi: la politica dell’austerità non è altro che un freno a mano tirato sull’economia dell’Eurozona. E non era nemmeno difficile prevedere il calo del Pil tedesco: se la Germania è così brava a vendere agli altri e se i suoi partner tradizionali sono in Europa, a chi mai potrà esportare se all’Italia e alla Francia non restano che gli occhi per piangere? E se la Germania è così brava è perché salari e stipendi della classe di reddito basso e medio non crescono ormai da anni. Qualche sollievo la Germania lo aveva trovato nei mercati extra-europei. Ma la crescita mondiale non è poi così robusta. E l’euro è caro. E lo rimarrà finché dura l’austerità e la deflazione, qualsiasi sia la politica della Bce.

Da anni ormai un numero crescente di economisti si adopera e si affanna per far passare il messaggio che l’austerità deve finire. E che finché non la si supera, assieme, non c’è futuro per l’Eurozona. A ciò si obietta facendo ricorso ad argomenti in parte legittimi ma decisamente fuori tema. Si obietta che la spesa pubblica italiana è ancora troppo elevata e di scarsa qualità. Vero, forse. Ma parlare di dimensione e qualità dello stato significa parlare d’altro. Non serve ad abbassare il freno a mano. Si obietta che le politiche fiscali espansive non si possono fare con un livello di debito come quello italiano. 

Vero, nel contesto istituzionale carente dell’Eurozona oggi. Ma la politica fiscale si può e si deve fare, anche in assenza di un governo e di un bilancio federale. Occorre solo escogitare come. Quel che occorre al più presto non è una politica della crescita. È una politica che renda la crescita possibile. E la macroeconomia è generosa di suggerimenti. Occorre solo scegliere quello politicamente più accettabile. Si può modificare il fiscal compact. Per tutti. Non solo per l’Italia. A me questa sembra la strada più in salita e politicamente improponibile. Oppure si possono deliberare nuove spese infrastrutturali pro-quota, approvate in comune e finanziate in comune. Si può creare un programma europeo che sospenda tutti i sussidi di disoccupazione e fornisca un lavoro temporaneo di utilità sociale a tutti i disoccupati: non c’è nulla di peggio che una disoccupazione di lunga durata per creare danni materiali e psicologici permanenti al nostro capitale umano. Si può dare un taglio del 50% all’IVA di tutto il continente, finanziato centralmente dall’Europa.

La mia personale preferenza va a quest’ultima perché sono convinto che sarebbe quella con i risultati più rapidi e più semplice nel disegno. Ancor meglio, se parallelamente si apre un tavolo comune europeo per studiare insieme le riforme cui dare la priorità. Non so se il Senato italiano sia una di quelle. Più probabilmente la lotta all’evasione e all’illegalità, non solo italiana, e una nuova genuina collaborazione per tagliare le gambe alla criminalità organizzata che si mangia una bella fetta della torta europea che rimane. E intanto che si fanno queste riflessioni sulle colonne dei blog, il fronte politico europeo si distingue per l’immobilità, l’incapacità a formulare un’alternativa realistica e politicamente proponibile per il bene di tutti.

Commenta