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L’autonomia delle banche centrali non si tocca: non è colpa loro la supplenza alla politica

L’eccesso di manovre monetarie crea distorsioni nell’economia ma l’enorme potere acquisito dalle banche centrali è solo l’effetto della mancanza di gestione dell’economia da parte della politica – Ecco perché le critiche al ruolo della Fed, della Bce o della BoE sono ingiuste e fuorvianti e rischiano di minare l’indipendenza dei banchieri centrali

L’autonomia delle banche centrali non si tocca: non è colpa loro la supplenza alla politica

Nel mio ultimo libro (Il mondo alla rovescia, Come la finanza dirige l’economia, ed. il Mulino ), presentato da First Online lo scorso agosto , denuncio l’abuso di manovre monetarie nella politica economica e le distorsioni che ne conseguono. Da troppo tempo i governi lasciano principalmente alle banche centrali il compito di gestire l’andamento dell’economia, in supplenza della politica e anche riparando ai suoi errori. Un comodo scarico di responsabilità che risulta però sempre meno positivo per la crescita e invece di stimolo per la stessa finanza che si vorrebbe per altro verso imbrigliare. 

Ora la questione è divenuta ancor più attuale perché si levano insistenti critiche al troppo potere esercitato con il governo della moneta non legittimato dal voto degli elettori. Se ritorno sull’argomento è perché queste critiche hanno preso una piega preoccupante che, lungi dal risolvere il problema, rischia di ridurre ancor più la capacità di intervento sull’economia di cui continuiamo ad avere bisogno. 

Sul grande potere acquisito dai banchieri centrali non vi sono dubbi. Ad essi ci si è principalmente –anche se non formalmente- rivolti per por riparo ai danni causati dalla crisi finanziaria del 2008 nonché dalla successiva dell’eurozona. Le estreme difficoltà dei tempi e il sovraccarico di responsabilità li hanno portati a ricorrere a mezzi anch’essi estremi, a manovre monetarie non convenzionali che toccano temi percepiti come “caldi” per gli elettori dalle sensibili antenne dei politici. 

Così la Fed è oggetto di una vera e propria offensiva da parte del Congresso per ridimensionarne o maggiormente vincolarne i poteri e l’argomento viene cavalcato tra i Repubblicani nella corsa alla nomination per le elezioni presidenziali. Non cessano d’altra parte –e anzi si sono acuite con l’ulteriore espansione monetaria prospettata per inizio dicembre- le critiche alla Bce di Mario Draghi che da parte tedesca si ritiene giochi un ruolo politico che non le compete con i suoi acquisti di titoli pubblici degli Stati dell’eurozona. E anche al Governatore della Bank of England sono state rimproverate invasioni nel campo della politica solo per aver parlato dei rischi posti alla stabilità finanziaria dal riscaldamento globale. 

Nella migliore delle ipotesi, al fondo di questi non sporadici attacchi –che si sommano a quelli dei partiti populisti di peso in Europa- sta il desiderio di costringere l’azione dei banchieri centrali in un campo ristretto e ben definito da regole fisse. Si vorrebbe ritornare ai manuali di comportamento nelle manovre sui tassi d’interesse in uso prima della crisi. Dimenticando che i tempi sono molto cambiati. Oggi i rischi di inflazione sono sovrastati da quelli di deflazione e l’ economia nonché la finanza non navigano più nelle certezze della Grande Moderazione in cui ci si era illusi di vivere ormai per sempre. Inoltre va ricordato che proprio l’impiego di quei manuali è stato uno dei fattori determinanti della crisi: non a caso buona parte dei maggiori economisti concorda sulla necessità di rivedere la materia, anche se non ci si è ancora arrivati.

Nel frattempo il pericolo da evitare è che venga ridimensionata l’indipendenza delle banche centrali, che rimane comunque di primario interesse pubblico come insegna la storia ancor prima della teoria. I segnali che ho riportato non sono confortanti. Non indicano quel maggiore impegno di governi e parlamenti che sarebbe auspicabile per sollevare i banchieri centrali da una sempre più problematica supplenza, aiutandoli nello svolgimento dei loro compiti e alleggerendoli dall’attuale sovraccarico di responsabilità. 

Siamo invece di fronte a intrusioni della politica in quella libertà di giudizio e di azione resa tanto più necessaria proprio dalle responsabilità di fatto assegnate ai banchieri centrali dalla latitanza della stessa politica. Se questa libertà venisse ristretta, risulterebbe ancor più ridotta la capacità d’intervento nell’economia. Dove andrebbe a finire – per citare un esempio che ci tocca da vicino- il Pil dell’eurozona oggi depresso dalla deflazione, dal rallentamento dei Paesi emergenti e dalla riduzione dei deficit pubblici a causa del Patto di Stabilità, se ci privassimo anche dello stimolo monetario? 

L’esperienza, è vero, insegna quanto sia rischioso continuare ad affidarsi principalmente alla politica monetaria per governare l’economia –e non vorrei riceverne presto nuova evidenza da un repentino cambio d’umore dei troppo euforici mercati finanziari. Ma non è attentando all’autonomia delle banche centrali che se ne esce. Se viene mal tollerato il potere di queste venerabili istituzioni basta che i governanti ricorrano meno alla loro supplenza assumendosi le responsabilità che loro spettano. In fin dei conti, nella gestione dell’economia la politica non può mancare. Perciò, prima di accusare i banchieri centrali di sconfinare in questo terreno, ci si dovrebbe chiedere se non venga lasciato troppo vuoto! 

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