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La pensione dei lavoratori autonomi e la follia di Inpsexit

Un deputato Pdl ha presentato una proposta di legge che elimina l’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’Inps per i lavoratori autonomi. Ma in gioco è il diritto alla pensione sancito dalla Costituzione e non esiste, in questo caso, alcuna “oppressione contributiva” da cui liberarsi

La pensione dei lavoratori autonomi e la follia di Inpsexit

La morte di Flavio Bucci mi ha ricordato un film di Marco Tullio Giordana del 1980 dal titolo ‘’Maledetti vi amerò’’. Il protagonista – interpretato dall’attore scomparso – è un ex terrorista rosso che rientra in Italia dopo sei anni di permanenza all’estero (dove si era rifugiato) e si trova in un contesto politico e sociale completamente cambiato. Il suo smarrimento viene narrato in una scena in cui Svitol (il nome del protagonista nella clandestinità) passa in rassegna i nomi e le parole una volta di sinistra, divenute nel frattempo di destra: e viceversa.

E’ una storia questa che non si verifica – con un sottofondo tragico – solo nel film, ma anche in tante fasi della vita reale. Me ne sono reso conto assistendo ad un dibattito televisivo durante il quale veniva presentato, come una idea innovativa e liberatoria, un progetto di legge a prima firma di un deputato di Forza Italia (che manteniamo anonimo) anche per tutelarne l’immagine, se mai qualcuno fosse interessato al contenuto del progetto e ne denunciasse l’assurdità.

Il progetto contiene ‘’disposizioni in materia di riforma dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS dei lavoratori autonomi’’ ed è costituito da un paio di articoli, i quali prevedono che, dal 1° gennaio 2021, i lavoratori che sceglieranno di dedicarsi al lavoro autonomo e che non sono ancora iscritti alla Gestione separata presso l’Inps, non saranno più obbligati a farlo come prevede la legge vigente (la legge n.335/1995, la c.d. riforma Dini), anche se potranno comunque farlo in maniera del tutto volontaria e non imposta.

Allo stesso tempo i lavoratori autonomi già iscritti alla gestione separata e soggetti all’obbligo di contribuzione, sempre a decorrere dal primo gennaio, potranno decidere, se lo vorranno, di interrompere il versamento di contributi previdenziali al quale ad oggi sono soggetti. Potranno accedere a questa facoltà quando e se lo riterranno, con l’unico obbligo di dare comunicazione anticipata entro il 30 ottobre dell’anno precedente a quello dal quale non intendono più procedere al versamento dei contributi previsti.

Quali sono i motivi di questa Inpsexit? Li illustra la relazione introduttiva: “L’oppressione e l’incertezza fiscale, come quella burocratica, scoraggiano o soffocano ogni iniziativa imprenditoriale e sottraggono una considerevole quota di ricchezza a lavoratori dipendenti e autonomi, rischiando di rendere povero persino chi lavora. Questa cultura eccessivamente statalista, finalizzata a fare cassa, in particolare sui redditi da lavoro, non risparmia nemmeno la riforma previdenziale per i lavoratori autonomi operata nel 1995 dal Governo Dini (legge 335/1995). Da allora infatti, i lavoratori autonomi non iscritti ad altre casse previdenziali di natura ordinistica, sono obbligati all’iscrizione alla gestione separata INPS e al versamento di una quota di contributi per l’assicurazione generale di invalidità e vecchiaia’’ che sottrae loro gran parte del a fatturato.

Il fatto che con quella quota di contributi si garantiscano una pensione non fa testo. ‘’Chi opterà per non iscriversi alla gestione separata o sceglierà di non proseguire con la contribuzione – prosegue la relazione – sa che dovrà gestire il proprio reddito con modalità che riterrà adeguate a garantire il suo futuro anche negli anni della vecchiaia. Ma lo Stato deve garantire al cittadino sovrano la libertà di accedere ad un sistema di previdenza; non imporlo a chi gestisce autonomamente il proprio lavoro. La scelta di come utilizzare i propri redditi, al netto dell’obbligo di assolvimento ai doveri di natura fiscale, è scelta che spetta invece al singolo lavoratore’’.

E’ proprio il caso di parole che invertono il loro significato. Fino ad ora ci avevano spiegato che le assicurazioni sociali obbligatorie – poi divenute un sistema di sicurezza sociale – erano una conquista del mondo del lavoro. Adesso ci dicono che, in verità, appartengono al calvario dell’oppressione burocratica e fiscale. Nel 1995, i protagonisti della riforma Dini, si accorsero che il mercato del lavoro si stava trasformando e che c’era un segmento – fino ad allora pressoché sconosciuto – che stava crescendo (le collaborazioni coordinate e continuative, i titolari di partite Iva: in generale, il lavoro c.d. parasubordinato) e che non aveva alcuna protezione previdenziale. Fu istituita così la Gestione separata presso l’Inps: anche per ‘’fare cassa’’, certamente, visto che con il suo attivo di bilancio costituisce, per ora, un punto di forza dell’Inps. E che, per questi motivi, nel pdl andrebbe prevista una copertura finanziaria di cui non vi è traccia. Ma nello stesso tempo la Gestione separata apriva la strada ad una categoria che ne era priva a talune tutele di carattere previdenziale, a cui è tenuto a provvedere direttamente lo Stato (“Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato: così il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione’’). La protezione della condizione della vecchiaia (come del rischio della malattia, dell’invalidità, degli infortuni e della disoccupazione) è un ‘’bene pubblico’’ che lo Stato deve garantire e che non può essere totalmente delegato al lavoratore, il quale potrebbe non provvedere adeguatamente (peraltro nella proposta di legge non è previsto neppure l’obbligo di adottare comunque una diversa forma di assicurazione).

E’ poi un eufemismo scrivere in una relazione ad un disegno di legge: ‘’Hai voluto la bicicletta, se cadi, devi arrangiarti ’’. Perché è lo stesso articolo 38 che riconosce un diritto all’assistenza per chi non dispone dei mezzi necessari per le proprie esigenze di vita.

Siamo in un Paese nel quale si pretende di essere risarciti dallo Stato se si compiono delle scelte sbagliate nella gestione del proprio risparmio; un Paese in cui un lavoratore – che, oltre alle tasse, abbia evaso anche i contributi e che da anziano percepisca una pensione modesta (magari integrata al minimo a spese della fiscalità generale) – trova sempre una tv che lo ascolta e si scandalizza per la sua condizione, senza attardarsi ad approfondirne i motivi.

Poi , anche nella follia antifiscale ci vorrebbe un minimo di logica. Si parla di lavoro autonomo: ma di quali categorie si tratta? Persino gli autonomi ‘’imprenditori’’ (artigiani, commercianti, coltivatori) hanno delle gestioni previdenziali obbligatorie ormai storiche. I liberi professionisti, iscritti a un ordine o a un collegio, hanno le loro casse (‘’privatizzate’’, ma vigilate dallo Stato) a cui sono tenuti ad iscriversi. Bontà sua, il deputato primo firmatario del Pdl, non mette in discussione l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata per ‘’altre forme di lavoro <debole> parasubordinato come le collaborazioni’’. Allora, di grazia, quali sarebbero i lavoratori autonomi che, moderni Titani, decidono “di scommettere sulle proprie attitudini e capacità’’ tanto da essere lasciati “liberi di decidere come utilizzare i proventi del proprio lavoro’’?

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