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La moda ha un cuore: dalla pandemia all’Ucraina OTB Foundation di Renzo Rosso sempre in prima fila. Parla Arianna Alessi

INTERVISTA AD ARIANNA ALESSI, vicepresidente di OTB Foundation, l’organizzazione non profit di Renzo Rosso – Negli ultimi anni la Fondazione ha investito in 350 progetti di sviluppo sociale nel mondo, intervenendo nelle principali emergenze con un impatto su 350 mila persone – “La pandemia ci ha spinto a cambiare marcia passando dalle donazioni agli interventi diretti” – “Bambini e ragazzi, donne e integrazione sono le nostre tre principali aree tematiche”

La moda ha un cuore: dalla pandemia all’Ucraina OTB Foundation di Renzo Rosso sempre in prima fila. Parla Arianna Alessi

La moda non è solo lusso, soldi e ricchezza. Ha anche un cuore che talvolta suscita slanci umanitari di rara generosità e di grande concretezza. Ne è espressione OTB Foundation, l’organizzazione non profit del gruppo di Renzo Rosso che ne è presidente e che oggi è gestita con grande dinamismo dalla sua giovane moglie-manager e vicepresidente, Arianna Alessi, già premiata l’anno scorso come “Philantropist of the Year” da EBP Association e segnalata da Forbes Italia tra le 100 donne italiane che si distinguono per impegno professionale e sociale e per capacità di leadership. La Fondazione, che ha sede a Breganze nel vicentino, è nata con la missione di intervenire prontamente nelle situazioni di emergenza in Italia e nel mondo e di migliorare la vita delle persone in difficoltà in maniera sostenibile. I numeri parlano da soli: da quando è nata, ma soprattutto negli ultimi anni, la Fondazione ha investito in oltre 350 progetti di sviluppo sociale nel mondo con un impatto diretto sulla vita di circa 350 mila persone. Ma la svolta – come spiega Arianna Alessi in questa intervista a FIRSTonline – è arrivata durante la pandemia e dopo lo scoppio della guerra e l’invasione russa in Ucraina. Ecco come e perchè. 

Dottoressa Alessi, da tre anni OTB Foundation non sembra più quella di prima: i valori etici e di solidarietà sono gli stessi ma dalla pandemia alla guerra in Ucraina ha fatto un salto di qualità visibile ad occhio nudo. Come è nata, perchè e in che cosa consiste la svolta?

«È stata la pandemia che ci ha imposto di cambiare registro e di farlo in fretta e poi la guerra in Ucraina ha fatto il resto, senza dimenticare il nostro sostegno alle donne afghane e i nostri soccorsi alle popolazioni terremotate in Siria e Turchia. Prima la Fondazione si limitava ad erogare donazioni, dall’esplosione del Covid è diventata direttamente operativa e lo fa evitando ogni spreco nell’impiego delle risorse. Uno dei pilastri della Fondazione, di cui siamo orgogliosi, è quello di garantire che tutti i fondi raccolti vadano direttamente ai beneficiari finali dei progetti sostenuti, senza disperdere un euro. E’ cambiato il nostro modo di operare nel senso che interveniamo direttamente e tempestivamente nelle situazioni di emergenza in Italia e nel mondo, ma non è cambiato lo spirito della nostra mission e non sono cambiate le aree tematiche di intervento che sono principalmente tre».

Quali sono?

«Bambini e ragazzi, donne e integrazione. Nel primo caso – e non solo nel caso di profughi ucraini – interveniamo nelle situazioni di maggior sofferenza sociale nell’infanzia e nell’adolescenza facendo tutto quanto serve a garantire un alloggio civile, un’alimentazione e vestiti sufficienti, la protezione della salute, l’avvio all’educazione scolastica; supportiamo Case Famiglia e abbiamo anche creato uno sportello online “Only the brave chiama Alice” al quale possono rivolgersi i ragazzi dai 12 ai 25 anni in difficoltà psicologica per prenotare un visita gratuita con un terapeuta professionista che se necessario avvierà un percorso di 10 sedute sempre gratuite. Sosteniamo ormai da 7 anni in tutta Italia con la comunità di San Patrignano la campagna “We free” di prevenzione dalle dipendenze da droghe o alcool e con l’associazione Fare X Bene la campagna “Bye Bully” per la prevenzione al bullismo, al cyberbullismo e alla violenza di genere tra gli studenti delle scuole superiori di tutta Italia. Per le ragazze e per le donne, oltre a un aiuto economico in casi di provata necessità, abbiamo creato un servizio di ascolto e sostegno che si chiama “Mai più” per le vittime di violenza nel Veneto e non solo (dove abbiamo aperto i centri contro la violenza alle donne a Bassano e ad Asiago) che offre, a titolo gratuito, un posto sicuro in cui stare, assistenza legale e psicologica e la possibilità di inserimento lavorativo. Abbiamo inoltre contribuito a sostenere il Movimento “Vow for girls” che si propone di combattere il triste fenomeno dei matrimoni infantili internazionali e delle spose bambine tutelando i diritti delle ragazze, fornendo istruzione, formazione professionale e competenze affinché le ragazze possano essere artefici indipendenti del loro futuro. Ma per le ragazze più meritevoli e più studiose abbiamo avviato anche qualcosa di più innovativo».

Cioè?

«Abbiamo lanciato già dal 2022 il progetto “Brave Women Awards” con uno stanziamento di 550 mila euro e la creazione di 55 Borse di studio per studentesse meritevoli e di famiglie a basso reddito per finanziare il biennio magistrale in 5 tra le migliori università italiane. Vogliamo così contribuire a formare la classe dirigente femminile del futuro, scegliendo master nell’ambito della pubblica amministrazione e del management d’azienda, permettendo a più ragazze di accedere a un più alto livello di formazione, creando i presupposti per permettere alle donne di entrare in settori dove la presenza femminile è limitata e valorizzando la diversità di genere a pari trattamento economico».

Poi c’è l’area delle iniziative della Fondazione a sostegno dell’integrazione dei migranti e dei profughi che completano i vostri interventi in Afghanistan, Siria, Turchia e soprattutto in Ucraina per i quali avete recentemente ricevuto il premio “La moda veste la pace”. Com’è nata l’idea di sostenere le donne e i bambini ucraini e a che punto è tutta la vostra operazione di solidarietà alla popolazione ucraina?

«Abbiamo aderito a un appello di UNHCR, l’agenzia dell’Onu, e siamo stati i più tempestivi ad intervenire dopo l’invasione della Russia in Ucraina del 24 febbraio 2022. Tre giorni dopo lo scoppio della guerra eravamo già in campo. Prima che chiudessero le frontiere ucraine abbiamo mandato soldi, coperte, cappotti e aiutato gli ucraini a scappare su pullman che li portavano a Vicenza. In prima battuta abbiamo assicurato un sostegno economico a 7 mila persone in Ucraina. Ma non potrò mai dimenticare la commozione ai primi arrivi dei profughi. Quando è scesa da uno dei nostri pullman una donna ucraina con in una mano una bimba e nell’ altra un sacchetto, visibilmente sconvolta, usando il traduttore del telefono ci ha chiesto: “Ma adesso dove  siamo?”. Mio marito Renzo ed io siamo rimasti commossi ed impietriti. Li abbiamo deciso di intensificare i viaggi.  I pullman partivano carichi di cappotti, coperte e kit primo soccorso e anticoagulanti e tornavano carichi di persone. Seduti ovunque anche nei gradini. In tutto abbiamo accolto in Italia 443 profughi, il 60% delle quali sotto i 10 anni, garantendo vitto, alloggio, soldi, vaccinazioni, assistenza sanitaria, istruzione per i bambini e lavoro per le donne nelle nostre aziende o in aziende amiche con regolari contratti. Ma il loro patriottismo è molto forte e circa 300 tra donne e bambini sono tornati in Ucraina. Ne sono rimasti circa 80 di cui ci prendiamo cura attraverso le associazioni preposte dalla Prefettura di Vicenza cercando di garantire sempre un supporto rapido.  In Ucraina e in Moldavia sosteniamo centri di assistenza per un totale di 900 persone. Siamo davvero orgogliosi di quanto OTB Foundation sta facendo per i rifugiati ucraini in Italia e Moldavia e anche per quelli del recente terremoto in Siria e Turchia, dove abbiamo aiutato oltre 600 persone». 

Sono numeri che parlano di una grande manifestazione di solidarietà che fa davvero onore alla OTB Foundation ma la svolta è nata durante la pandemia: possiamo fare un bilancio conclusivo della vostra battaglia contro il Covid?

«Anche in questo campo mi piace far parlare i numeri. Durante la pandemia abbiamo donato un milione di DPI, centinaia di purificatori di aria per i pronto soccorso, e supportato 2 mila persone con pacchi spesa di beni di prima necessità e abbiamo distribuito 40.147 kg di spesa a famiglie in difficoltà. Siamo partiti aiutando i piccoli ospedali e le RSA in giro per l’Italia poi siamo arrivati a fornire materiale anche alle grandi strutture di Milano, Brescia e Bergamo: abbiamo aperto in 12 gg hub vaccinale per oltre 120.000 persone. Pubblico e sociale devono poter lavoro bene insieme soprattutto nelle emergenze. E’ questo il nuovo modo di operare della Fondazione: non solo donazioni ma interventi diretti in tutte le emergenze e progetti tangibili di lotta alla povertà e alle diseguaglianze di sostegno al merito nel lavoro e nella scuola. Vista l’aumentata povertà in Italia sosteniamo da tempo diversi empori solidali (supermercati gratuiti per le persone in difficoltà) e quest’anno ne abbiamo avviati due, uno a Schio ed uno a Thiene (VI). Abbiamo voluto aprire dei veri e propri centri polifunzionali dove quindi non solo si può fare la spesa gratuitamente ma ce un centro di ascolto per le donne vittime di violenza, ed un ufficio che offre formazione e posti di lavoro, al secondo rifiuto di offerta di lavoro, non è più possibile accedere al centro. Questo per noi è importante non vogliamo dare il segnale di essere una fondazione che da sussidi per sempre alle persone che potrebbero reinserirsi nel mondo del lavoro. Proprio per sviluppare questi empori solidali “evoluti” abbiamo appena chiuso un bando a cui abbiamo destinato 300 mila euro per organizzazioni che hanno già un emporio avviato e vogliono ampliare i servizi. Continueremo così».

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