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La manovra non basta: bisogna liberalizzare di più

Al di là della stabilizzazione della crisi attuale, dagli effetti temporanei, occorrono passi successivi più strutturali: processi di semplificazione, liberalizzazioni, privatizzazioni, affrontare i nodi del mercato del lavoro (che non sono risolti in maniera ottimale dall’articolo 8) – Una patrimoniale va bene, ma ordinaria e con un’aliquota ragionevole

La manovra non basta: bisogna liberalizzare di più

La approvazione della manovra-ter da parte delle Camere sperabilmente darà al paese un po’ di respiro. Ma non e’ certo tutto finito: la crisi europea ed italiana è dipesa e dipende dalla diversa performance e solidità dei diversi paesi dell’euro, che a sua volta è la conseguenza di diverse politiche di aggiustamento strutturale seguite in passato. Nella prima parte dello scorso decennio la Germania e i paesi nordici hanno effettuato riforme previdenziali, fiscali e del mercato del lavoro che consentissero alle loro imprese di competere in un mondo globalizzato. Ciò ha accentuato le difefrenze tra paesi più sani (meno debito) e più forti (per struttura economica). Occorre allora impostare una politica economica per ridurre le differenze. Per aiutare a farlo e’ forse utile ripercorrere alcune convinzioni che sono emerse nel recente dibattito.

a) il problema è il debito. Il debito pubblico italiano è certamente eccessivo, ma pensare che questo sia l’unico problema sarebbe molto limitativo. Ci sono le debolezze dell’ economia reale (ne parliamo dopo). Ma anche dal punto di vista finanziario c’è soprattutto uno scarso controllo sui fattori che il debito generano e in particolare la spesa pubblica. Si ha un bel rivendicare la solidità dei nostri conti pubblici: nell’ultimo decennio la tendenza del debito a crescere meno del PIL si è interrotta all’inizio degli anni 2000, largamente perché l’avanzo primario che aveva caratterizzato i conti pubblici dal 1992 si è andato riducendo, fino a quasi azzerarsi nel 2005. Si è allentato il controllo sulla spesa pubblica. L’effetto sui saldi complessivi è stato mascherato, pur se solo parzialmente, dai tassi inusualmente bassi che hanno caratterizzato il periodo. Per ridurre il debito allora occorre per prima cosa ritornare sul sentiero virtuoso del saldo primario seguito fino al 2001 (e ripreso da Padoa Schioppa nel 2006-2007, prima della crisi) e affrontare i fattori che hanno dato luogo all’esplosione della spesa: non solo l’espansione del welfare, ma anche l’espansione del ruolo della politica nell’economia: dai costi degli enti pubblici sempre più inutili, ad un minor controllo degli acquisti di beni e servizi della PA, all’espansione dei sussidi: con i conseguenti effetti perversi sulla crescita, attraverso la distorsione nell’uso delle risorse e l’incremento nel carico fiscale sulle imprese e sul lavoro.

b) occorre una patrimoniale straordinaria per ridurre il debito. Certo, manovre che riducano il debito sono opportune. Soprattutto un vasto programma di privatizzazioni avrebbe anche il beneficio di ridurre l’area di influenza (almeno quella diretta) della politica nazionale e locale sulle imprese ora pubbliche. Ma l’idea di una patrimoniale dedicata alla riduzione del debito della dimensione che è a volte evocata (200-300 miliardi, tra il dieci e il venti per cento del PIL!), appare, anche se autorevolmente proposta, decisamente strampalata. Chi la pagherebbe? Le imprese o le banche, già in grave difficoltà per conto loro? O i contribuenti? E quali, visto che probabilmente quelli che dichiarano le proprietà sono anche quelli che dichiarano correttamente i propri redditi al fisco: sempre gli stessi? E che effetto recessivo avrebbe una tassazione alle aliquote stratosferiche che sarebbero richieste? Piuttosto presentare la patrimoniale come uno strumento di finanza straordinaria rischia di generare una sorda opposizione a questo tipo di imposta che invece, introdotta in maniera orinaria (e ad aliquota ragionevole) sarebbe utile per allargare la base imponibile, cogliendo quindi sacche di evasione o di elusione e alleggerire il carico fiscale su lavoro e imprese..

c) ci vogliono gli eurobond. E’ certo che un maggior grado di coesione europea migliorerebbe di molto le prospettive di soluzione della crisi. E che componente di un quadro più coeso sarebbe anche un meccanismo di solidarietà rispetto al debito dei paesi dell’area. Tuttavia, una visione realistica della questione deve partire non solo dalla considerazione dell’attuale quadro politico nei diversi paesi dell’area, ma soprattutto dalla constatazione che questo diverso quadro è a sua volta il riflesso del diverso modo in cui questi hanno negli anni passati intrapreso passi per adattarsi alle sfide del contesto internazionale. La più solida posizione della Germania (e dell’Olanda e della Finlandia) non è dovuta solo al fatto che hanno debiti pubblici più bassi rispetto al PIL, ma al fatto che hanno compiuto nel decennio passato un processo di aggiustamento reale volto a posizionare meglio le loro economie nel contesto competitivo internazionale degli anni 2000. E’ il fatto che siamo rimasti indietro in questo processo che penalizza il nostro paese in questo momento sui mercati. Non si può chiedere una condivisione nel sostenere il nostro debito, se non si mostra che siamo intenzionati a colmare il ritardo: e questo richiede soprattutto misure dal lato della spesa e dell’assetto dei mercati: poi magari verranno gli eurobond.

d) ci tolgono sovranità. E’ chiaro che il mercato pone la politica di fronte a scelte che non vorrebbe fare: ma c’è da chiedersi se questo sia un problema di perdita di sovranità, o non piuttosto un richiamo a esercitare la sovranità in modo coerente con le scelte a suo tempo fatte, cioè con l’appartenenza a una certa area economica e monetaria, che aspira peraltro a avere un certo ruolo in un’economia mondiale estremamente dinamica. Non c’è qui solo un problema di politiche espansive vs politiche restrittive: c’è una più ampia questione di politiche di aggiustamento strutturale che una parte dell’area euro ha ritenuto di perseguire e altri (noi, nello specifico) ha tardato a attuare: e il cui rilievo viene ora al pettine.

e) conclusione. Contiamo (o meglio speriamo) che la manovra-ter conduca a una stabilizzazione della crisi. Però questa non potra’ che essere temporanea se non si compiranno i passi successivi di aggiustamento strutturale, che oltre a una riduzione della spesa comportano effettivi (cioe’ non puramente declamatori) processi di semplificazione (che ci portino magari dall’essere l’ottantesimo paese nella classifica della Banca Mondiale dell’apertura all’iniziativa privata a un non troppo ambizioso quarantesimo?), liberalizzazioni, privatizzazioni, riduzione dell’influenza pubblico-partitica a tutti i livelli, affrontare i nodi del mercato del lavoro che magari non sono risolti in maniera ottimale dall’art. 8, ma che comunque ci sono. Se questo governo sia o meno in grado di compiere questi passi senza un confronto e un coinvolgimento dell’opposizione, almeno di quella che avanza proposte utili, può valutarlo da solo.

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