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La Lettonia entra nell’euro, ma la competitività di conti, prezzi e salari non basta

Il via libera all’adozione della moneta unica nel 2014 rappresenta un successo per il profondo risanamento fiscale lettone, ma non deve sviare dal ruolo della strategia produttiva interna in ottica regionale e globale nel lungo periodo.

La Lettonia entra nell’euro, ma la competitività di conti, prezzi e salari non basta

La Lettonia ha ricevuto il via libera da parte della BCE e della Commissione Europea a diventare il diciottesimo membro dell’Area Euro, nonostante le due istituzioni divergano sulle prospettive dell’economia lettone all’interno della moneta unica.

La piccola nazione baltica, membro dell’UE dal 2004, ha cercato di aderire alla moneta comune per diversi anni. Dopo una serie di espansioni e salvataggi a seguito del crollo del sistema bancario nel 2008, la Lettonia sembra aver finalmente intrapreso la via dell’abbandono della moneta nazionale, il lat, dal 1 gennaio 2014. Questo è stato solo il primo passo, i Ministri delle Finanze dell’UE prenderanno la decisione finale a luglio. La BCE, nel Convergence Report pubblicato lo scorso 5 Giugno, ha annunciato che la Lettonia ha incontrato tutte le condizioni necessarie per l’ingresso, ma allo stesso tempo ha puntato il dito contro una redditività tutt’altro che solida, in parte causata dalla forte dipendenza dai flussi di capitale provenienti dall’estero, e circa il mantenimento di bassi tassi di inflazione. La Commissione, in una relazione separata, ha condiviso con la BCE la preoccupazione circa i potenziali rischi di riciclaggio di denaro, nonostante l’evidente alto grado di convergenza economica con l’Area Euro.

Le autorità locali si aspettano che il processo di adozione della moneta unica europea abbassi i tassi di interesse e aumenti il rating, promuovendo così la crescita economica del paese ed eliminando rischi di cambio. Il desiderio della Lettonia di aderire all’Unione monetaria riflette il sentimento dei piccoli stati che desiderano aderire alle maggiori possibilità di sviluppo date, in prospettiva globale, dall’ingresso in scenari istituzionali comuni sul piano regionale e continentale. È del 2011, infatti, l’ingresso della vicina Estonia nell’Area Euro, mentre la Lituania sta bruciando le tappe guardando al 2015. Secondo Olli Rehn, ciò rappresenta un segnale di fiducia nella moneta unica europea di fronte alle previsioni di disintegrazione dell’Area Euro. In questo scenario diventa però necessario superare la mancanza di consenso politico locale, laddove i risultati dei sondaggi effettuati nella repubblica baltica a maggio indicano come soltanto un terzo della popolazione abbracci favorevolmente l’adozione dell’euro.

Nel corso degli ultimi vent’anni la Lettonia ha seguito un programma di rigida austerità, principalmente caratterizzato da forti tagli alla spesa pubblica, che ne ha alimentato il recupero nei confronti delle economie più avanzate. Secondo le ultime previsioni comunitarie, il debito pubblico della Lettonia in proporzione della sua produzione economica dovrebbe essere circa la metà della media dell’UE nel 2013, così come il deficit di bilancio. Un ruolo chiave è stato giocato dalla svalutazione interna dell’economia lettone, resa possibile da un mercato del lavoro flessibile e una relativamente bassa dipendenza dalle esportazioni verso l’Area Euro. Queste misure si sono tradotte nel drastico taglio del livello dei salari e della spesa pubblica, in grado di allontanare nel giro di due anni (2009-2011) lo spettro della recessione e generare il più veloce tasso di crescita di tutta l’UE, riducendo così inflazione e tasso di disoccupazione, data la competitività del livello interno di prezzi e salari.

La BCE, in una chiara allusione a Cipro e al recente salvataggio del sistema bancario locale, ha sottolineato come i depositi di non residenti rappresentino circa la metà del totale in Lettonia, con ripercussioni sul 40% del Pil. Le misure adottate dalle autorità sono state tuttavia incoraggianti, contenendo i rischi legati ai depositi, anche alla luce del fallimento di Parex Banka nel 2008, la seconda istituzione bancaria per importanza e ora sotto il controllo pubblico.

Per quanto riguarda il mantenimento di bassi tassi di inflazione in Lettonia, questa sarà una sfida nel medio termine, dato il limitato spazio di manovra in materia di politica monetaria. L’esperienza durante il boom degli anni 2005-2007 mostra come possa essere difficile il controllo delle pressioni interne sui prezzi, così come i rischi dati da un’incontrollata euforia economica. Le autorità locali, tuttavia, garantiscono sul fatto che l’economia lettone sia fortemente legata alla politica monetaria dell’Eurozona dal 2005, quando la Lettonia stabilì uno stretto corridoio entro il quale fissare l’oscillazione del lat nei confronti dell’euro.

Ma la sfida più importante è data dalla situazione strutturale del paese, dove pesano ancora gli effetti di un’efficiente politica di privatizzazione nel corso degli anni novanta, in particolare se si guarda alle dimensioni e alla portata dell’economia sommersa, fonte non solo di mancate entrate pubbliche, ma anche di forti limiti alla concorrenza e danni alla competitività, riducendo così i flussi di investimenti produttivi dall’estero. Se, nella vicina Estonia, tempestività e profondità riformiste hanno garantito a Tallinn un vantaggio competitivo nei settori di finanza e ricerca e sviluppo, quali scenari di aprono in Lettonia, dove nel corso degli anni duemila a pesare è stata soprattutto l’inflazione strutturale generata da un’inefficiente allocazione delle risorse tra industria e servizi? Segno che i successi in materia di consolidamento fiscale e competitività di prezzi e salari non possono prescindere da un’efficiente strategia produttiva in grado di generare valore aggiunto in ottica di competitività inter-settoriale, fattore essenziale nello sviluppo economico di un paese nel lungo periodo e ragione di fondo del mancato ingresso della Lettonia nell’Area Euro dopo il boom degli anni 2005-2007.

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