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La classe media è ancora il pilastro della democrazia?

L’assunto che la classe media resti la spina dorsale delle democrazia è ancora la tesi più accreditata tra gli studiosi ma gli sbandamenti di una parte della borghesia verso il populismo o verso politiche illiberali alimentano i dubbi, come scrive lo storico David Motadel della London School sul New York Times: ecco la traduzione italiana del suo recente intervento

La classe media è ancora il pilastro della democrazia?

Presentiamo di seguito le riflessioni di David Motadel sul rapporto tra democrazia e classe media. Motadel, 38 anni, è un brillante e premiato storico della London School of Economics and Political Science. Insegna Storia internazionale. Originario di Dortmund si è laureato a Cambridge (UK) con una Gate scolarship della Bill and Melinda Foundation.

Il ruolo e il destino della classe media nel processo di globalizzazione che ha polarizzato dei gruppi sociali è uno dei temi maggiormente discussi nel dibattito pubblico. L’assunto che la classe media è la spina dorsale delle democrazie è ancora la tesi più accreditata, ma iniziano a emergere delle interpretazioni più dialettiche sul suo ruolo.

Motadel in questo intervento sul New York Times, che proponiamo in traduzione italiana, ne discute alcune soprattutto alla luce delle vicende storiche dell’epoca moderna e contemporanea. Ne esce fuori un quadro che qualche pensiero lo mette davvero.

Buona lettura!

L’ascesa della classe media

Abbiamo a lungo interpretato l’ascesa della classe media — dalla Cina al mondo arabo — come un passaggio decisivo nell’affermazione delle società aperte e di un ordine mondiale liberale. Gli studiosi e gli esperti sono sicuri sul fatto che la liberalizzazione economica produce a una classe media forte. A sua volta, quest’ultima favorisce la crescita della democrazia. In questa argomentazione c’è il presupposto che una classe media consapevole sia cruciale per il trionfo della libertà politica.

Purtroppo nell’ultimo decennio queste tesi sono andate in frantumi. La globalizzazione e la diffusione della cultura borghese non ha portato a una liberalizzazione politica su vasta scala. Al contrario: le classi medie emergenti in Africa, Asia e nel Medio Oriente sembrano poco propense a lottare per una riforma democratica delle loro società.

Similmente la classe media europea e americana, sentendosi minacciata dalle rapide trasformazioni socio-economiche del nostro tempo, si è dimostrata abbastanza vulnerabile alle sirene della demagogia illiberale. Allora, viene da chiedersi: perché gli scienziati politici hanno riposto così tanta fiducia in questo gruppo sociale?

Senza borghesia, nessuna democrazia!

In effetti la storia mostra che il ceto medio è stato spesso stato in prima linea nella lotta per la libertà politica. Nel corso della storia moderna, con l’emergere della classe media rurale e urbana, come gruppo sociale sempre più autorevole tra l’aristocrazia e il quarto stato, i ceti medi hanno iniziato a sfidare i poteri e i privilegi delle vecchie e radicate élite dell’Ancien Régime. Lottavano per la difesa della proprietà privata, per la libertà di parola, per i diritti costituzionali, per il sistema rappresentativo e, in generale, per lo stato di diritto.

Si consideri il ruolo centrale delle classi medie nelle grandi rivoluzioni borghesi della fine del XVIII e dell’inizio del XIX secolo (soprattutto nel mondo atlantico), della metà del XIX secolo (soprattutto in Europa) e dell’inizio del XX secolo (soprattutto in Asia). Tutte queste rivoluzioni miravano a limitare i poteri dei monarchi e dell’assolutismo.

Alla luce di queste esperienze, gli studiosi del XX secolo hanno elaborato una solida teoria che collega le strutture socio-economiche alle forme di ordine politico. “Senza borghesia, nessuna democrazia”, ha laconicamente sentenziato il sociologo Barrington Moore nel suo classico del 1966 Origini sociali della dittatura e della democrazia (pubblicato in Italia da Einaudi nel 1969).

I sostenitori della teoria della modernizzazione, soprattutto da Seymour Martin Lipset nel suo autorevole libro L’uomo e la politica. Le basi sociali della politica, pubblicato nel 1959 (1963 in Italia da Edizioni la Comunità) hanno espresso tesi simili.

Guardando meglio…

Andando. Però, a fare un esame selettivo della storia, la faccenda si fa più sfaccettata. Infatti, uno sguardo più attento del passato mostra che la classe media si è spesso schierata con forme di governo illiberali. Lo ha fatto quando temeva per i propri privilegi e per la stabilità sociale.

Per tutto il XIX secolo, l’epoca d’oro della borghesia, la classe media nella maggior parte del mondo ha vissuto in autocrazie — tra le poche eccezioni c’erano la Gran Bretagna e gli Stati Uniti — e non sempre ha lottato per una maggiore libertà politica. Preoccupati dalla crescente forza della classe operaia, alcuni segmenti della classe media hanno addirittura accolto con favore i limiti posti alla libertà politica.

Le contraddizioni della classe media borghese

Già nel 1842 il poeta rivoluzionario tedesco Heinrich Heine, allora in esilio a Parigi, osservava che la politica della classe media era “spinta dalla paura”. Era disposta a rinunciare agli ideali di libertà per proteggere la propria posizione socio-economica dalla minaccia delle classi inferiori.

Ciò divenne evidente nelle fallimentari rivoluzioni del 1848. In molti luoghi le rivoluzioni borghesi persero il sostegno della classe media in preda al panico, terrorizzata, com’era, dalla paura della rabbia popolare e dall’azione politica del proletariato.

Anche il colonialismo ha rivelato le contraddizioni intrinseche alla borghesia. Il razzismo del colonialismo era in netta antitesi con l’ideale dell’uguaglianza umana universale. Hanno osservato gli storici Frederick Cooper e Ann Laura Stoler:

“La tensione tra le pratiche di apartheid e le aspirazioni universalizzanti della cultura borghese è stata decisiva per plasmare l’era dell’imperialismo”.

La classe media del XIX secolo ha mostrato scarsa preoccupazione per l’esclusione sociale e politica di ampi segmenti della società — minoranze, donne, lavoratori.

Le disuguaglianze — etniche, di genere, sociali — erano accettate dalla classe media, in totale contraddizione con i valori universali di libertà, uguaglianza e civiltà che erano state il lascito delle grandi rivoluzioni borghesi.

Alla vigilia della prima guerra mondiale, la borghesia europea fu presa da un impressionante fervore di nazionalista, militarista e razzista.

Il sostegno ai regimi fascisti

L’esempio storico più estremo, tuttavia, è senza dubbio il sostanziale appoggio ai regimi fascisti negli anni tra le due guerre. Questo sostegno proveniva non solo dalle classi medio-basse, ma anche da parti significative dell’alta borghesia.

Terrorizzati dallo spettro del comunismo, i ceti medi di tutta Europa si strinsero intorno a uomini di destra, mostrando uno scarso impegno per gli ideali della democrazia liberale e della rappresentanza parlamentare. Autocrati come Mussolini, Franco e Hitler sembravano offrire maggiore protezione al loro stile di vita.

Carl Schmitt, il teorico che ha fornito una base teorica a nazismo, sosteneva che solo uno stato forte e autoritario poteva garantire la conservazione della classe media.

Edvard Benes, un politico liberale ceco, scriveva nel 1940 dal suo esilio londinese:

La classe media si rese conto che la democrazia politica, portata alla sua logica conclusione, poteva condurre alla democrazia sociale ed economica, e quindi iniziò a vedere nei regimi autoritari l’ancora di salvezza da una rivoluzione sociale delle classi lavoratrici e contadine.

Borghesia e nazismo

Obiettivamente, non tutte le componenti della classe media erano in un simile mood. La presa di potere del nazismo, ha sottolineato lo storico George Mosse, usava “un doppio binario” nella sua politica verso la classe media. “Distingueva tra la borghesia indigena e la borghese ebraica”, ed “era anti-borghese nella misura in cui era anti-ebraica”.

Nel suo libro del 1951 Le origini del totalitarismo, Hannah Arendt osservava:

La borghesia tedesca che ha puntato tutto sul movimento hitleriano e aspirava a governare con l’aiuto di quelle canaglie, ha ottenuto solo una vittoria di Pirro. Alla fine, le canaglie si sono dimostrate capaci di governare da sole e hanno liquidato la borghesia insieme a tutte le altre classi e le istituzioni borgesi.

Durante la guerra fredda

La classe media della guerra fredda, in tutto il mondo, si è dimostrata nel complesso più liberale . Eppure ha continuato a ricorrere all’autoritarismo se lo riteneva nel suo interesse.

In tutte le società occidentali, la classe media ha tollerato e persino accolto con sollievo la mano dura — limitazioni alla libertà di parola e di associazione — contro i comunisti (anche semplicemente percepiti) e i loro simpatizzanti.

Nel dopoguerra in molte paesi dell’emisfero sud, dal Medio Oriente all’America Latina, le classi medie hanno prosperato sotto regimi autoritari e, in nome della stabilità sociale, hanno spesso sostenuto la repressione politica.

Queste non sono eccezioni alla regola generale della simbiosi classe media-democrazia. La classe media e la liberalizzazione politica sono meno strettamente collegate di quanto ci è stato fatto credere.

In realtà, abbiamo sempre frainteso tale simbiosi.

La dialettica dell’Illuminismo

La Scuola di Francoforte è forse quella che, anche a livello teorico, ha compreso meglio il rapporto tra ceti medi borghesi e autoritarismo nelle società a capitalismo avanzate. Nel classico del 1947, La dialetica dell’Illuminismo, Max Horkheimer e Theodor Adorno spiegano bene i meccanismo sociali di questo rapporto.

I ceti medi non sono a priori i motori della liberalizzazione politica. Possono facilmente diventare i promotori di un autoritarismo repressivo se temono una perdita di influenza e di ricchezza. La storia dell’opposizione della classe media ai principi di libertà universale, uguaglianza e democrazia può essere intesa come il lato oscuro della modernità.

Un lato che Max Horkheimer e Theodor Adorno, le due figure principali della Scuola di Francoforte, hanno descritto efficacemente nel loro classico del 1947 La Dialettica dell’Illuminismo. Il ceto medio è sempre stato un Giano bifronte.

Il fatto che la classe media abbracci o meno i modelli liberali della modernità dipende dalle circostanze sociali, economiche e politiche del contesto in cui opera.

Studi recenti

Gli ultimi anni hanno visto una serie di pubblicazioni che si crucciano della crisi della classe media in Occidente. Si prenda il libro di Ganesh Sitaraman del 2017 The Crisis of the Middle-Class Constitution, che considera il crollo di una classe media forte come “la minaccia numero uno per l’assetto costituzionale democratico”, specialmente negli Stati Uniti. Oppure No Society di Christophe

Guilluy (trad. it. La società non esiste. La fine della classe media occidentale, Luiss University Press), del 2018, che esamina il crollo della classe media in Francia (e non solo).

C’è anche Das Ende der Mittelschicht: Abschied von einem deutschen Erfolgsmodell (La fine della classe media: addio al modello di successo tedesco) di Daniel Goffart, del 2019, che porta avanti la stessa tesi per la Germania.

Tutti questi studiosi muovono dal presupposto che le classi medie siano i baluardi delle società liberali e aperte, e che il loro declino potrebbe minacciare la democrazia. Certo, l’erosione della classe media è un problema.

Ma c’è un altro pericolo di cui non abbiamo discusso abbastanza: la loro illiberalizzazione politica.

L’illiberalizzazione politica della classe media

Succede che proprio ora, in questo momento storico, ampi segmenti della classe media di tutto il mondo si stiano rivolgendo ancora una volta agli esponenti di politiche illiberali. L’ultimo decennio ha visto il susseguirsi di una serie di shock.

La Grande Recessione e gli eccessi neoliberisti della nuova età dell’oro — che hanno portato a crescenti disuguaglianze — hanno finito per schiacciare la classe media quasi in tutto il mondo. Allo stesso tempo, essa si sente minacciata dalle richieste sociali, economiche e politiche di gruppi precedentemente emarginati come minoranze, migranti e poveri.

Nella lotta per preservare la loro posizione socio-economica, alcune parti della classe media si rendono succubi di una politica di protesta. Confida nei populisti per proteggere i loro interessi.

L’establishment e i partiti progressisti devono smettere di dare per scontato che la classe media li sosterrà in ogni caso. La storia ci mostra il contrario. Ci insegna come tale presupponenza porti al disastro. La classe media non è perduta, ma i leader politici devono lavorare sodo per riconquistare la loro fiducia.

Ignorarla metterebbe a rischio la loro e la nostra società.

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