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Ipo Porsche al via: Volkswagen si ferma a 75 miliardi, accelera sul nuovo ma chiama Qatar e capitalismo renano

L’Ipo Porsche è pronta al via: ecco tutti i numeri, le prospettive, le valutazioni dell’operazione del giorno che non riesce però a risollevare le Borse europee in rosso

Ipo Porsche al via: Volkswagen si ferma a 75 miliardi, accelera sul nuovo ma chiama Qatar e capitalismo renano

La Ipo Porsche, il collocamento da martedì 20 settembre di azioni in vista della quotazione fissata per il 29 settembre, non riesce a dar vigore alle Borse del Vecchio Continente. Arretra Francoforte, così come gli altri mercati a partire da Parigi, frenata dalla battuta d’arresto del lusso che pesa su Ferrari -0,80%, forse più dello sbarco in Borsa della concorrente di Stoccarda, collocata anche in Italia da Mediobanca. 

Ipo Porsche 20 settembre: mercati in crisi, la valutazione si ferma a 75 miliardi

La crisi dei mercati, combinata con la recessione in arrivo e l’aumento dei tassi ha infatti convinto il board di Volkswagen a moderare le richieste per il collocamento della vera gallina dalle uova d’oro del gruppo: la casa automobilistica tedesca valuta il suo gioiellino 70-75 miliardi di euro, al di sotto del precedente obiettivo massimo di 85 miliardi. Secondo Reuters questa valutazione corrisponde ad un Ebitda 2023 di 10 volte e ad un p/e attorno a 14. Assai meno del p/e di Ferrari (35 volte), ma più del valore di Bmw e Mercedes (4-5 volte). A frenare le valutazioni contribuiscono senz’altro le modalità dell’operazione. La metà dei 911 (numero magico per i fans della casa) milioni di titoli sarà rappresentata da azioni privilegiate, in parte (per 3,85 miliardi) già prenotate dai fondi sovrani del Qatar e della Norvegia, oltre che dal fondo T.Rowe. 

Ipo Porsche: la metà delle azioni andrà alle famiglie Piech e Porsche

La metà più uno dei 455,5 milioni di ordinarie, invece, finirà nelle casse delle famiglie Piech e Porsche, eredi del fondatore Ferdinand, che pagheranno un premio di maggioranza del 7,5%, recuperando il controllo diretto della società, perduto dieci anni fa nello scellerato tentativo di scalata a Volkswagen. Ma non si attenua, nonostante le perplessità degli analisti, il legame tra Volkswagen e Porsche: alla guida di entrambe resta il Ceo Oliver Blume che, grazie ai capitali raccolti dall’Ipo, potrà disporre di quei 18/19 miliardi di euro necessari per fronteggiare il passaggio all’auto elettrica che si sta rivelando più complicato del previsto. 

L’auto elettrica spinge Volkswagen a stringere i tempi

È questa probabilmente la ragione che ha spinto il colosso di Wolfsburg ad accelerare i tempi dell’Ipo, la terza per dimensioni per le Borse europee, nonostante la difficile congiuntura dei mercati finanziari. Le recenti dimissioni di Herbert Diess, silurato per i contrasti con i sindacati, hanno dimostrato che non sarà facile mantenere il modello di cogestione caro all’industria tedesca sotto i cieli del digitale. Ma c’è chi vede l’operazione Porsche come il primo passo verso una “strategia Marchionne”: come super Sergio seppe creare valore con la quotazione di Ferrari (ma anche Cnh e Marelli) così il gruppo tedesco potrebbe fare nel tempo il bis con Audi e Lamborghini, le altre parti dell’impero che i mercati accoglierebbero con favore.

Intanto l’economia tedesca guarda a Ovest

Non è solo per questo che gli analisti guardano con attenzione alla mossa dell’azienda leader del modello tedesco. Dopo una lunga fase di sviluppo segnata dall’energia russa a basso costo e dell’integrazione con il cliente cinese (mercato dove il gruppo Volkswagen vende più che oltre Reno) la Germania sta riorientando verso Ovest la sua economia, come dimostra la recente maxi-missione del cancelliere Olav Scholz, scortato da decine di industriali, verso il Canada. Ma, come nota Stefan Kooths dell’ente governativo Ifw, il vero problema per l’economia tedesca sarà quello di far fronte al calo della forza lavoro: dal 2023, causa l’invecchiamento della popolazione, il made in Germany perderà 130 mila lavoratori all’anno. Non sarà facile evitare l’emigrazione delle aziende, salvo una massiccia iniezione di tecnologie.

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