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Investimenti pubblici: panacea o libro dei sogni?

Il ministro Tria scommette sull’effetto moltiplicatore degli investimenti pubblici sul Pil, ma il loro reale peso sulla crescita resta incerto: i dubbi del Governatore Visco e dell’ex Mister Spending Review Cottarelli – Dal Fondo Monetario alla Bce e al think tank di Brueges, che cosa ne pensano gli economisti

Investimenti pubblici: panacea o libro dei sogni?

Da buon keynesiano, il ministro Tria crede nel potere taumaturgico degli investimenti pubblici. Ed è con questa fede forse che si è autoassolto per avere accettato il “rospo” di un deficit al 2,4 per cento. Il ministro dell’Economia è convinto che lo Stato investitore potrà far salire di 4 decimali, all’1,6 per cento rispetto al previsto, la crescita economica nel 2019, permettendo una lieve diminuzione del rapporto debito Pil anche con un deficit al 2,4.

Il ministro Savona è sulla stessa linea, anche se dà numeri paradossalmente diversi. L’Italia, dice Savona, ha conti statali in avanzo primario (entrate meno spese al netto degli interessi sul debito) e conti esteri anch’essi in surplus. Può permettersi quindi di mobilitare 50 miliardi di risorse e avviare il circolo virtuoso più investimenti, maggiore crescita, minore rapporto debito Pil per uscire dalla trappola dell’austerità.

La stessa cifra, 50 miliardi, la si ritrova nelle dichiarazioni del premier Conte: abbiamo stanziato per investimenti 38 miliardi per i prossimi 15 anni e 15 per i prossini tre anni (in verità i 38 li aveva messi il governo Gentiloni). Messa in questi termini ovviamente la questione sembrerebbe un non problema. Ma non è così.

La il tema dell’impatto degli investimenti pubblici sul Pil è infatti molto controverso e se qualche analisi dà ragione a Tria e Savona la maggioranza degli economisti è dubbiosa. Secondo un recente documento dell’Fmi, che prende in esame la questione in generale, gli investimenti pubblici hanno effetti duraturi positivi sulla produzione e sui redditi. In particolare, un aumento di un punto accresce il livello del Pil di circa mezzo punto lo stesso anno e di un punto e mezzo a distanza di quattro anni.

Chi ritiene che l’economia si muova grazie soprattutto all’innovazione e alle riforme che aumentano l’efficienza del mercato resta tuttavia scettico. Per Carlo Cottarelli la leva degli investimenti pubblici è importante ma “non è la panacea”. Secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la valutazione dell’impatto degli investimenti pubblici è “circondata da elevata incertezza” perché “la dimensione del moltiplicatore dipende da vari fattori” il cui elenco è molto lungo.

Ma è soprattutto l’esperienza storica il più grande nemico dei fans keynesiani degli investimenti statali. Da anni i governi di vario colore stanziano somme significative a bilancio destinate ad essere impiegate per aumentare la dote infrastrutturale, la ricerca, la qualità ambientale, miliardi però che non si traducono in progetti e restano perlopiù un libro dei sogni.

Attualmente, ha rivelato lo stesso Tria in un incontro riservato prima della manovra, nelle pieghe del budget dello Stato vi sono stanziamenti per 150 miliardi destinati ad essere impiegati nei prossimi 15 anni, 118 dei quali immediatamente attivabili, ma che non partono per cause le più diverse.

È questo il “tesoretto” della speranza per il ministro dell’Economia. Ogni tanto Tria ne scopre un cofanetto nuovo: investimenti bloccati in enti previdenziali o un Piano carceri finito in un cassetto del Ministero della Giustizia, per esempio.

Anche quando escono dal libro dei sogni tuttavia gli investimenti hanno un impatto incerto e di lungo periodo. Secondo una ricerca della Bce condotta da Jasper De Jong che ha analizzato la ricaduta economica degli investimenti pubblici in vari paesi europei dagli anni ’60, in Italia gli effetti moltiplicativi sono tra i più bassi, quasi nulli. Secondo un filone di analisi (vedi l’economista di Bruegel, Alessio Terzi, sul Foglio del 26 agosto) ciò dipende dal fatto che le decisioni sono spesso condizionate da interessi politici ed elettoralistici che mettono fuori gioco i rigorosi esiti dell’analisi costi benefici.

Dal 1982 si rincorrono senza successo i tentativi di mettere l’analisi costi benefici al servizio delle decisioni di investimento della Pubblica Amministrazione. Il primo a provarci fu lo stesso Savona, all’epoca ai vertici del Ministero del Bilancio, con la creazione di un Nucleo tecnico di valutazione subito azzoppato dalle pressioni politiche e trasferito prima al Tesoro e poi alla Sviluppo economico.

Ci ha poi riprovato Romano Prodi con la creazione di Invitalia che si avvale di metodologie europee ma le sui valutazioni non vengono rese note. Infine nel 2014 Matteo Renzi ha costituito il Nucleo di verifica e controllo sulle ceneri del vecchio Nucleo di Savona ma secondo Luigi Marsullo, valutatore per il governo e la Commissione UE, “non pare che anch’esso abbia prodotto risultati apprezzabili”.

Adesso ci riprova Tria, secondo il quale “occorre ricostruire una struttura che rappresenti una sorta di versione aggiornata del Genio Civile e sia in grado di fornire progetti definitivi agli enti che devono costruire o ristrutturare case ospedali o scuole”. Vedremo.

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