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Il reddito di cittadinanza e il gioco delle tre carte

Senza maggiori investimenti pubblici e privati il reddito di cittadinanza non farà realmente aumentare la crescita ma, essendo basato sull’iscrizione obbligatoria alle liste di collocamento, farà lievitare virtualmente sia il tasso dei lavoratori potenziali che il Pil – Ma presto gli italiani si accorgeranno della differenza tra realtà virtuale e realtà effettiva

Il reddito di cittadinanza e il gioco delle tre carte

Il Corriere della sera di lunedì 28 gennaio ha messo a disposizione del professor Pasquale Tridico, giovane consigliere economico di Luigi Di Maio, una intera pagina per tessere le lodi del reddito di cittadinanza, a suo avviso il più grande investimento in capitale umano di sempre, pietra miliare nella lotta alla povertà e alla disoccupazione e fondamenta di un nuovo stato sociale. Niente di meno. Se Gilberto Govi, il geniale comico genovese di cui Grillo non può certo dirsi un epigono, fosse ancora vivo, probabilmente gli direbbe, come soleva fare in simili occasioni, “cala trinchetto!”.

Il reddito di cittadinanza non può servire a tutto: o contrasta la povertà o promuove l’occupazione e lo sviluppo.

CONTRASTO ALLA POVERTÀ

Se si vuole contrastare la povertà, come è assolutamente necessario fare, allora lo strumento più idoneo è il reddito di inserimento: cioè un sussidio economico accompagnato però da misure di assistenza sociale, che è poi quello che il governo Gentiloni aveva cominciato a fare con il Rei. Se Tridico avesse suggerito a Di Maio di rifinanziare con alcuni miliardi questo fondo, lo stesso Pd non avrebbe potuto fare altro che votare a favore.

SOSTEGNO ALL’OCCUPAZIONE

Se, invece, si vuole favorire l’occupazione, allora la via maestra è quella della riforma del mercato del lavoro (più trasparenza e più efficienza), del potenziamento dei Centri per l’Impiego (pubblici e privati) e degli incentivi alle imprese (riduzione strutturale del cuneo fiscale). Anche in questo caso servirebbero forme di sostegno al reddito, soprattutto per chi ha perso il lavoro, ma questo tipo di sussidio esiste già (il Naspi) e sarebbe stato sufficiente rifinanziarlo senza doverne inventare di nuovi.

FORMAZIONE CONTINUA

Ciò che manca e che servirebbe invece come il pane sono gli investimenti nella formazione continua. Di Maio non ne parla perché ha una visione a dir poco arcaica del mercato del lavoro. Per lui il lavoro deve essere fisso, a vita e possibilmente sotto casa. L’idea che il lavoro a vita sia destinato a scomparire e che la aborrita mobilità sia destinata a divenire la norma non sembra neppure sfiorargli il cervello. Se non fosse cosi, se Di Maio, Casaleggio e i 5 Stelle avessero davvero capito che cosa è e cosa è destinato a diventare il lavoro, si sarebbero resi conto del fatto che il futuro del lavoro è indissolubilmente legato alla formazione continua e che l’unico modo per difendere e valorizzare il lavoro è quello di accrescerne continuamente le competenze. Altro che scomparire, come ha profetizzato Casaleggio! Il lavoro è l’essenza dell’uomo, la sua ricchezza e non scomparirà mai. Potrà cambiare anche profondamente, come è già avvenuto, ma non scomparire.

CENTRI PER L’IMPIEGO

Il problema perciò non è quello di dare un reddito purchessia a chi non lavora ma è quello di aiutare, anche con un sussidio se serve, i lavoratori nella fase di passaggio da un lavoro all’altro. A questo dovrebbero servire i centri per l’impiego, sia pubblici che privati, e a questo servirebbe la formazione continua. L’Italia, e non certo per colpa di Di Maio e di Tridico, è lontana mille miglia dall’avere questa consapevolezza. C’è un colpevole ritardo del Paese di cui siamo tutti responsabili. Ma questa non è una giustificazione per continuare sulla vecchia via. La sfida della mobilità del lavoro e quella della formazione continua non riguardano soltanto Di Maio, ma il Governo nel suo complesso e tutte le istituzioni democratiche. Non è una questione settoriale o di esclusivo interesse regionale ma nazionale.

REDDITO DI CITTADINANZA E CRESCITA DEL PIL

Il punto che più di tutti evidenzia la totale inconsistenza del discorso fatto in lode del reddito di cittadinanza dal professor Tridico sul Corriere della Sera è però quello relativo al contributo che darebbe allo sviluppo del Paese. Il reddito di cittadinanza, nella migliore delle ipotesi, può contribuire a tenere alta la domanda, il che comunque è un bene, ma non può alimentare la crescita perché la crescita dipende dagli investimenti produttivi pubblici e privati, dalla qualità delle infrastrutture materiali e immateriali, dalla ricerca e dalla innovazione nonché dalle riforme economiche e sociali. Sono queste le misure che consentono di aumentare la produttività del Paese e di creare lavoro. Perché allora Tridico e i 5 Stelle insistono sul reddito di cittadinanza? Forse perché sono, come Tridico ama definirsi, degli ultrà Keynesiani? No, lo fanno perché sono davvero convinti della tesi che Tridico sostiene da tempo e che ha illustrato anche sul Corriere e cioè che aumentando il numero degli iscritti alle liste di collocamento (da qui l’obbligo di iscriversi in quelle liste a chi fa richiesta del reddito) si aumenta il tasso dei lavoratori potenziali che è quello sulla base del quale le istituzioni finanziarie europee formulano le loro previsioni sulla crescita dei singoli Paesi.

IL VERO OBIETTIVO: AUMENTARE IL DEBITO

Più questo tasso è alto, più sono alte le previsioni di crescita e più ampi sono i margini della manovra finanziaria (i famosi numerini). Aumentando, come si propone di fare Tridico con una iscrizione in massa nelle liste di collocamento, il tasso dei lavoratori potenziali, aumenta anche la previsione di crescita del Paese e diventa così possibile, questo è il succo del ragionamento, aumentare il debito pubblico senza violare le regole europee. Geniale! Non c’è che dire. Il lavoro cresce, ma solo virtualmente; anche il Pil cresce ma anche esso solo ipoteticamente mentre a crescere realmente sarebbe il debito. Un capolavoro, se non fosse che assomiglia in modo imbarazzante al giuoco delle tre carte. Un gioco, dovrebbe saperlo Tridico, in cui a perdere è sempre il merlo di turno che, in questo caso, sarebbero i cittadini italiani.

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