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Il Recovery Fund non è Babbo Natale

Gli oltre 200 miliardi che l’Europa è pronta a mettere a disposizione dell’Italia non sono un regalo del cielo da sperperare ma hanno l’obiettivo ben preciso di creare crescita permanente e sostenibile e soprattutto richiedono riforme istituzionali e investimenti in un Piano nazionale coerente: non dimentichiamolo

Il Recovery Fund non è Babbo Natale

In Italia lo chiamano tutti, a partire dai politici, il Fondo per la resilienza e rilancio, traducendo in modo sbagliato il RRF dove F sta per facility, dispositivo. Ovvero si è capito che l’Europa mette a disposizione dell’Italia oltre 200 miliardi di euro, di cui quasi 90 a fondo perduto. Ma non si è voluto capire che il dispositivo, che fa parte dell’iniziativa Next Generation EU, è stato creato per innescare un meccanismo di crescita permanente e sostenibile, mentre altri schemi (ad esempio Sure per il sostegno all’occupazione, MES per le spese mediche e ReactEU) rispondono all’emergenza COVID che, come sappiamo bene, non è finita.  

Il dispositivo RRF richiede di mettere in atto riforme istituzionali e investimenti in un Piano nazionale con poche priorità coerenti fra di loro e con le priorità europee. L’accoppiamento di riforme e investimenti non è una sciccheria teorica, è essenziale per raggiungere gli obiettivi intermedi e finali sulla base dei quali il Piano sarà finanziato. Infatti sembra sfuggire nel dibattito nazionale la caratteristica del RRF per la quale gli esborsi saranno basati sulla performance non sui costi come per i fondi coesione.

A tutto vantaggio degli italiani poiché performance significa che i posti di lavoro, le connessioni di fibra, la formazione al digitale, inclusa la capacità di approccio critico alle risorse della rete, le infrastrutture di trasporto, i servizi digitali etc…devono essersi concretizzati alla fine del periodo d’implementazione.  Non basta aver pagato i fornitori di inputs. Si parla molto di Marshall Plan di questi tempi: un’analisi recente (DeLong e Eichengreen) ha messo in luce che gli importi limitati del piano non hanno accelerato in modo significativo gli investimenti nell’industria, la ricostruzione delle infrastrutture, etc…  Ma le condizioni poste alla fruizione del Piano, a cominciare dall’apertura commerciale possono essere considerate la causa della straordinaria rinascita dell’economia europea dopo la guerra. 

Le linee guida europee per usufruire del RRF vanno in questa direzione con l’enfasi posta sul mix di riforme e investimenti che è particolarmente appropriato per l’Italia e la richiesta di organizzare i progetti da finanziare intorno a poche priorità nazionali ed europee. Prendiamo le priorità delle raccomandazioni specifiche per l’Italia: insieme alla salute c’è l’aumento della produttività che ristagna da 25 anni. L’aumento della produttività si ottiene se le piccole imprese – che rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto produttivo – raggiungono una dimensione e un management che le rendano capaci di adottare e sfruttare le tecnologie digitali e collocarsi sul mercato globale. Questo richiede la formazione adeguata dei lavoratori e dei manager. Richiede il funzionamento della giustizia non solo nei comparti che interessano direttamente l’impresa perché c’è una forte correlazione tra buon funzionamento della giustizia e fiducia nelle istituzioni in generale. Per questo motivo, diverse proposte di riforma della giustizia saranno presentate al webinar dell’Osservatorio per la produttività e benessere venerdi 20 novembre. 

Anche la riforma della pubblica amministrazione è una priorità per l’Italia. È nota la mancanza di competenze tecniche nella PA per progettare e realizzare gli interventi pubblici e i disincentivi alla presa di decisioni. Le risorse europee per la ripresa offrono ora l’opportunità di indirizzare risorse al rinnovo delle competenze del settore pubblico: si può cominciare creando Agenzie/Commissioni composte di managers e personale competente che assicurino la progettazione, la valutazione d’impatto e il monitoraggio per gruppi coordinati di progetti, garantendo la continuità perché indipendenti dalla volatilità della politica. Queste strutture servirebbero nell’immediato alla messa in opera del Piano nazionale di rilancio e resilienza (PNRR) per poi confluire in una rinnovata PA. 

Nella manovra di bilancio in preparazione è prevista la creazione del Comitato nazionale per la produttività (CNP) che può funzionare da modello per simili agenzie. Finalmente questa richiesta dell’Europa, già adottata da tutti gli altri grandi paesi, si materializzerà in Italia e proprio al tempo del PRR che ha la produttività tra le sue priorità. Indipendente dal Governo e dai gruppi d’interesse, ma capace di dialogare con tutti e coordinarsi con gli omologhi europei, il CNP sarà utile per organizzare le riforme insieme agli investimenti nelle aree indispensabili alla crescita per la next generation: diffusione dell’innovazione digitale e verde, rinnovamento della formazione e riforma di istituzioni cruciali come la giustizia. 

Avere un comitato di tecnici indipendenti e capaci d’interloquire con le istituzioni italiane ed europee e con imprenditori e sindacati permetterà di avanzare rapidamente nella selezione dei progetti da presentare per l’approvazione e il finanziamento in quest’area, la produttività totale, prioritaria anche per l’Europa. Ma una buona idea può facilmente degenerare nel suo contrario, come è capitato al Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) creato dai Costituenti. Se il Comitato Nazionale per la Produttività sarà equipaggiato da funzionari ministeriali, rappresentanti dei gruppi d’interesse ed esperti selezionati dai partiti sulla base di affinità ideologiche sarà solo un peso per il bilancio pubblico e non potrà funzionare da modello per le altre priorità. Cerchiamo invece di farne uno strumento per far procedere il PNRR fino alla scadenza nel 2026 e rinnovare la PA nel più lungo periodo.

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