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Il petrolio sotto i 28 dollari mette di nuovo in crisi le Borse

Crolla la Borsa di Tokyo e i futures segnalano tempesta sui listini europei dopo la discesa a picco del petrolio sotto i 28 dollari, accelerata dalla fine dell’embargo iraniano – I mercati sperano nel Pil cinese e in Draghi – Nel 2016 Piazza Affari è sotto del 10% – Marchionne: il problema non è Fca ma l’automotive – Telecom: si riparla di conversione.

Il petrolio sotto i 28 dollari mette di nuovo in crisi le Borse

La grande frana continua. Sotto la pressione di nuovi ribassi del petrolio, i listini asiatici accusano pesanti perdite: Tokyo ha aperto la settimana a -2,8%, Hong Kong -1,5%. Le Borse dell’area Asia-Pacific sono ai minimi dal 2011. Dai massimi di giugno, la Borsa giapponese perde il 20%, mentre continua la corsa dei capitali verso il reddito fisso: il decennale nipponico rende lo 0,212%. Tengono meglio Shanghai (-0,6%) e Shenzhen (+0,2%). Il rimbalzo è favorito dalla decisione della Banca centrale di sostenere il cambio, imponendo nuovi vincoli sulle vendite di yuan offshore. 

Ad alimentare le vendite è la discesa a picco del petrolio, accelerata dalla fine dell’embargo all’Iran. Le quotazioni sono scivolate sotto i 28 dollari, ai minimi dal 2003. Il Brent è trattato a 27,70 dollari (-4,3% rispetto a venerdì quando aveva perduto il 6% circa), il Wti a 28,99 dollari. Ieri la Borsa saudita ha perduto il 5,4%. Il mercato di Teheran sale invece dello 0,9%. 

CHIUSA WALL STREET. A FRANCOFORTE PREVISTO -3% IN AVVIO

Oggi, dopo la nuova pioggia di vendite di venerdì, Wall Street sarà ferma per il Martin Luther King Day. Una pausa che, in teoria, potrebbe consentire ai listini di assorbire l’ultimo, tremendo KO inflitto alle Borse mondiali, che accusano da inizio anno perdite per 5 mila miliardi di dollari, più di due volte il Pil italiano. 

Ma non si respira aria di tregua all’avvio di una settimana cruciale per i listini, sotto pressione dopo le vendite di inizio anno (-10,38% a Milano l’indice Ftse Mib). I futures sui listini europeo, anzi, annunciano un avvio tempestoso a Parigi (-2,4%) e Francoforte (-3,1%). Solo a Londra è previsto un lieve rimbalzo in apertura.

I MERCATI ASPETTANO DRAGHI. E GUARDANO AL PIL CINESE 

I mercati aspettano intanto con ansia crescente le statistiche sul Pil cinese 2015, in arrivo domattina. Il premier cinese Li Kequiang ha detto di aspettarsi una crescita nell’ordine del 7%. E’ arrivato un segnale positivo dal mercato immobiliare: i prezzi delle case nelle grandi città sono cresciuti a dicembre dell’1,6%.

La caduta verticale del greggio sarà il convitato di pietra della riunione di giovedì prossimo del direttivo della Banca Centrale Europea, preceduta domani dai dati sull’inflazione dell’area euro. Non sono previste decisioni sui tassi, ma non per questo saranno meno importanti le parole di Mario Draghi: i mercati sono ansiosi di capire in che modo si muoverà la Bce se la ripresa continuerà a mostrarsi debole.

Negli Usa, intanto, la Banca centrale rischia di dover rivedere la sua politica monetaria dopo soli 50 giorni dal primo aumento dei tassi. Dalla Fed di Atlanta arriva la prima stima del Pil Usa del quarto trimestre: solo +0,6%, in netta frenata rispetto al dato precedente (+2%).

E’ questa la cornice in cui si sta per aprire il meeting di Davos, occasione di incontro per 2.500 vip della politica e della finanza mondiale. Al centro del dibattito ci sarà il futuro della Cina, ma anche il “cigno nero” di inizio anno, ovvero la caduta a picco dei mercati. “Probabilmente dobbiamo ancora testare i minimi” ha dichiarato venerdì sera Lawrence Fink, numero uno di BlackRock, la più importante società di asset management del mondo. 

MILANO SOTTO DEL 10,3%. SI SALVA SOLO SNAM

Così gli umori alla fine di una settimana terribile in cui l’S&P è scivolato a quota 1880, ai minimi da inizio agosto. Il copione si è ripetuto quasi nello stesso modo a ogni latitudine. I settori che hanno accusato le perdite peggiori in Europa da inizio anno sono stati Materie prime (-18%), Petroliferi (-11%) e Banche (-13%). Alla lista nera si è aggiunto nelle ultime sedute l’Automotive, in ribasso nel 2016 del 17%. 

A Milano nelle ultime cinque sedute l’indice è sceso del 3,4% e la performance dall’inizio dell’anno è -10,3%. Le blue chip peggiori del 2016 sono state Monte Paschi (-27%), Exor (-24%), Fiat Chrysler (-22%), Azimut (-18%), Tenaris (-17%) e Yoox (-16%).

L’unico titolo in terreno positivo è stato Snam (+2,5%). Hanno limitato i danni Moncler (-3%), Ferragamo (-4%), Campari (-5%), Enel (-6%) e Banca Popolare di Milano (-6,2%).

BPM, OGGI IL PUNTO SULLE NOZZE CON BANCO POPOLARE

Riflettori accesi sul comitato di gestione della Popolare di Milano. All’ordine del giorno c’è solo ordinaria amministrazione ma è probabile che l’ad Giuseppe Castagna colga l’occasione per aggiornare i consiglieri sull’andamento delle trattative con il Banco Popolare. Ad alzare il sipario sul possibile merger è stato l’ad della Banca veronese, Pierfrancesco Saviotti: “Non ci siamo ancora – ha detto a Reuters – ma sono convinto che ci si possa arrivare”. 

“Siamo avanti, ma ci vuole tempo”, ha replicato Castagna, che dovrebbe diventare il Ceo del nuovo gruppo, mentre a Saviotti toccherebbe la guida del Comitato Esecutivo sotto la presidenza di Carlo Fratta Pasini. Secondo il progetto la fusione definitiva richiederà un periodo tra i 3 e i 6 anni. Meno credito riscuote l’ipotesi Ubi. Exane ha confermato il giudizio Outperform con raccomandazione 0,96 euro. 

TELECOM, LA CONVERSIONE TORNA D’ATTUALITA’

Prese di beneficio venerdì su Telecom Italia, nonostante Vivendi abbia continuato a comprare titoli a cavallo delle festività natalizie e a dispetto di uno studio di Mediobanca che suggerisce di comprare azioni del gruppo guidato da Marco Patuano.

Dopo essersi presentato all’assemblea dello scorso 15 dicembre con circa il 20,5% delle azioni, il colosso dei media presieduto da Vincent Bolloré ha rilevato – con acquisti anche fuori mercato – un ulteriore 0,86% di Telecom, spendendo 134 milioni e salendo così al 21,36%. A questo punto Vivendi può arrivare fino al 24,9% senza essere costretta a lanciare un’Opa, altrimenti, come già preannunciato un mese fa, il gruppo d’Oltralpe può farsi promotore di un nuovo piano di conversione delle azioni risparmio, che di per sé implica una diluizione del capitale di circa il 30%. 

MARCHIONNE: IL PROBLEMA NON E’ FCA, MA IL SETTORE

“Il problema non è la valutazione di Fca, ma quella dell’intero settore. Abbiamo creato un cocktail letale di tanti elementi: la connettività, la guida autonoma, le emissioni. Ecco perché c’è tanta incertezza”. Così a Detroit Sergio Marchionne dopo la settimana nera delle quattro ruote, segnata dal crollo di Renault e dalle vendite su Fiat Chrysler, sotto tiro per le accuse di un dealer di Chicago su presunti trucchi per gonfiare le vendite, ipotesi che il mercato considera con beneficio d’inventario.

“Tendiamo a credere alla società – rileva ad esempio Mediobanca Securities – perché sarebbe un comportamento molto stupido forzare i dealer a dare informazioni errate sulle vendite, in quanto non si aumenta il numero delle vendite ma al massimo si rende migliore la crescita mensile delle immatricolazioni”.

Intanto anche i diesel di Fiat Chrysler affronteranno in questo giorni l’esame delle autorità francesi.

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