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Il Grande Gatsby: il capolavoro di Fitzgerald compie 100 anni e colpisce per la sua attualità

Nella descrizione dell’America degli anni Venti si riflettono, in modo sorprendente, tratti della società americana contemporanea, evidenti nel modo di pensare e agire di diversi personaggi

Il Grande Gatsby: il capolavoro di Fitzgerald compie 100 anni e colpisce per la sua attualità

“Non si può ripetere il passato!”. “Ma certo che si può, vecchio mio.” Sono le battute cruciali di uno dei dialoghi più significativi de “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald (1896-1940), che ha appena compiuto 100 anni.

Gatsby si confida con Nick Carraway, il narratore, sull’imponente terrazzo della sua villa, situata di fronte a quella di Daisy Buchanan, sull’altra sponda di Long Island.

Ogni sera Gatsby rimane ipnotizzato dalla luce verde emessa dal faro sul molo dei Buchanan. Egli svela a Nick i suoi progetti riguardanti la donna che ama ed ha amato: intende rimettere tutto come era prima della loro forzata separazione, cinque anni prima.

Che cosa è? Idealismo, pazzia o l’illusione beata di un ricco della Gilded Age? Un’epoca tragicamente dorata che torna oggi a risuonare come il refrain di un vecchio pezzo swing. Oppure Gatsby è un irrimediabile perdente? Un parvenu come Julien Sorel?

Ancora oggi, il romanzo di Fitzgerald colpisce per la sua attualità. Nella descrizione dell’America degli anni Venti si riflettono, in modo sorprendente, tratti della società americana contemporanea, evidenti nel modo di pensare e agire di diversi personaggi.

Un romanzo sempreverde

Secondo il database “The Greatest Books of All Time”, che aggrega in tempo reale 582 classifiche e liste di lettura pubbliche, “Il Grande Gatsby” risulta attualmente il libro più raccomandato tra le opere letterarie di tutto il mondo.

Precede l’“Ulisse” di James Joyce, “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, “Cent’anni di Solitudine” di Gabriel García Márquez e “Il giovane Holden” di J.D. Salinger.

Dalla sua pubblicazione, il romanzo di Fitzgerald ha venduto oltre 30 milioni di copie, superando di qualsiasi altra opera letteraria della sua epoca. Nel 1945 fu distribuito in un’edizione speciale tascabile, con una tiratura di 150.000 copie destinate alle truppe americane.

La 4° stagione di White Lotus

La prossima stagione di “White Lotus” potrebbe essere una rilettura contemporanea de “Il Grande Gatsby. Credo che Mike White, il creatore della serie, potrebbe anche accarezzare questa idea.

L’irresponsabilità, la superficialità, l’insipienza e la totale indifferenza dei ricchi verso le conseguenze delle loro azioni sono elementi comuni a questi due universi narrativi, pur distanti nel tempo e nello spazio.

L’uno, “The Great Gatsby”, immerso nell’età d’oro edonista e vuota del capitalismo fordista, l’altro, “The White Lotus” nella patinata, nevrotica e caotica era del capitalismo postindustriale finanziario e dell’informazione.

La dorata beotitudine dei ricchi

In entrambe le narrazioni, i personaggi ricchi appaiono sorprendentemente fatui. Prendiamo il romanzo di Fitzgerald per il quale il 28enne autore aveva inizialmente pensato al titolo “Trimalcion in West Egg”.

Dove Trimancione è il personaggio del Satyricon di Petronio sprofondato in un lusso esagerato e volgare. West Egg è il nome di finzione della punta occidentale di Long Island dove sorge la dimora principesca di Trimalcione/Gatsby.

Jay Gatsby

Gatsby (new money) ha comprato quella dimora perché fronteggia la mansion di Daisy Buchanan, una fanciulla amata prima di andare in guerra, nell’unico intento che lei si presenti a una delle sue ricorrenti sfarzose feste.

Un’idea tanto romantica e ossessiva quanto assurda. Sono trascorsi cinque anni dal loro addio. Nel frattempo ci sono stati una guerra mondiale, un matrimonio, e l’ascesa fulminea di Gatsby grazie a una ricchezza opaca e misteriosa.

La villa ha anche una grande biblioteca gotica, con pannelli intagliati, trasportata da un castello in rovina. Il bibliotecario conferma che i libri sono autentici, non scenografie di cartone come verrebbe da credere.

Tom Buchanan

Tom Buchanan, un fanfarone, bigotto e razzista dell’aristocrazia americana (old money), per un mero capriccio, scambia la propria auto con quella di Gatsby, nonostante la possibilità di viaggiare insieme su un unico veicolo.

“Credo che non ci sia abbastanza benzina,” obiettò Gatsby. “C’è un sacco di benzina,” disse Tom. Guardò l’indicatore. – “E se rimango senza, posso fermarmi a un drug store. Si compra di tutto nei drug store al giorno d’oggi.”

La necessaria sosta per fare rifornimento innesca una sequenza di eventi tragici che sigillano il destino del “grande” Gatsby, il quale trova il suo epilogo nell’acqua, un elemento ricorrente di “White Lotus”.

Daisy Buchanan

Daisy Buchanan, donna volubile e viziata maritata a Tom, si commuove fino alle lacrime mentre odora le soffici camicie di lino, seta e flanella che Gatsby, il mai dimenticato amore di Louisville, le getta davanti a dozzine.

“Ho un tale in Inghilterra che mi compra i vestiti” dice Gatsby con assoluta nonchalance. “Mi manda un campionario all’inizio di ogni stagione, primavera e autunno”. E con quello riempie due stanze armadi.

Daisy è incapace di assumersi qualunque responsabilità. Investire l’amante del marito le provoca un turbamento appena più forte di quello causato da una coppa di champagne tiepido sorseggiata in una sera d’afa estiva.

Baby Warren

Un altro esempio della dorata ottusità dei ricchi si trova in “Tenera è la notte”. Baby Warren, anch’ella old money — diciamo una Dupont —, vorrebbe far sposare la sorella Nicole, segnata da un trauma profondo, con un medico.

Il “piano” è quello di introdurre l’affascinante sorella nell’ambiente universitario di Chicago in modo che possa capitarle di “innamorarsi di un buon dottore” che possa “vigilare su di lei per qualche anno”. Scrive Fitzgerald:

“Un accesso d’ilarità sorse in Dick [Diver]. I Warren stavano per comprare un dottore a Nicole. Era inutile preoccuparsi di Nicole quando avevano la possibilità di comprarle un dottorino simpatico, riverniciato di fresco.”

L’“idealismo” di Gatsby

Siamo grati a Fitzgerald per il suo tentativo lucido di redimere il suo affascinante personaggio, trasformando la vanità in idealità e la realtà in sogno, così come i cripto exchange convertono la valuta reale in valore astratto.

Scrive Fitzgerald: “la verità è che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, era scaturito da una concezione platonica di se stesso. Era un figlio di Dio – doveva mettersi al servizio di una bellezza vistosa, volgare, da prostituta.”

E continua: “Così inventò con Jay Gatsby il tipo che poteva venir inventato da un diciassettenne e rimase fino alla fine fedele a questa concezione.” È un tipo mitologico che l’autore vede come l’inveramento del sogno americano.

La forza che anima Gatsby non è l’idealismo missionario e universale di Fitzcarraldo, che vuole scalare una montagna per portare Caruso agli indigeni dell’Amazzonia, ma un impulso solipsistico, narcisista, fanciullesco.

La Grande fortuna

Forse è proprio l’abilità con cui il romanzo smorza il senso del tragico a renderlo così attuale. In un secolo di fortuna editoriale, ha conosciuto 4 adattamenti filmici, innumerevoli trasposizioni televisive, un’opera lirica e due musical.

Da quando, quattro anni fa, è entrato nel pubblico dominio, ha generato un’ondata di sequel, prequel e riscritture amatoriali, un’ulteriore prova di quanto l’estetica del sogno infranto continui a esercitare un fascino inossidabile.

Gatsby sopravvive come mito anche perché addomestica il disincanto: maschera l’avidità con nostalgia, la rovina con glamour, e trasforma l’autodistruzione in un gesto romantico, seducente, e come tale socialmente disinnescato.

In realtà i ricchi, belli e dannati, di Fitzgerald incuranti e irresponsabili distruggono tutto ciò che li circonda per poi voltarsi altrove. È proprio questo il nucleo tematico della poetica dello scrittore.

Le riduzioni filmiche del 1926 e del 1949

Nel 1926, appena due anni dopo l’uscita del romanzo, Hollywood ne trasse un film di 80 minuti, oggi perduto. Fitzgerald lo trovò deludente: spettacolo e feste, ma nessuna profondità psicologica. “È terribile”, scrisse.

Nel dopoguerra, la cultura popolare americana divenne una macchina della nostalgia. Gli anni ’20, epoca di ottimismo e spensieratezza prima dell’arrivo di tempi più cupi, offrirono un terreno ideale al romanzo.

Nel 1949, la Paramount produsse una nuova riduzione cinematografica, diretta da Elliott Nugent, che accentuava il lato noir del racconto. Alan Ladd è l’interprete perfetto di un Gatsby freddo, disilluso, tormentato e duro.

L’ossessione di Gatsby per Daisy è meno idealizzata, più disperata, quasi colpevole. Anche questa pellicola, come quella del 1926, fu a lungo considerata perduta, ma nel 2012 ne fu fortunosamente recuperata una copia.

Il classico del 1974

Nel 1974 la Paramount propose un nuovo adattamento affidato a Francis Ford Coppola e a Jack Clayton per la regia, con un cast di rilievo, tra cui Robert Redford come Jay Gatsby e Mia Farrow con Daisy Buchanan.

Redford interpreta un Gatsby misurato, romantico, elegante e consapevolmente tragico, quasi sacrale, mentre la Farrow è perfetta nel rendere la evanescenza e la nevrosi di Daisy. Tra i due Coppola crea un contrasto netto.

Gli ambienti e i costumi, di eccezionale qualità, valsero al film due premi Oscar per la “Migliore scenografia” e i “Migliori costumi”, ma la sceneggiatura troppo lirica di Coppola non convinse l’Academy.

… e quello hip-hop del 2013

Nel 2013, il regista australiano Baz Luhrmann si confronta con il romanzo, consegnandoci un adattamento barocco, frastornante e trimalcionesco, che condisce la storia con elementi di musical che ne potenziano l’impatto.

“La chiave di quel Gatsby – scrive il critico A.O. Scott – è la musica. La colonna sonora è un collage di pop contemporaneo e rap — di Lana Del Rey, Florence and the Machine, Beyoncé e altri — prodotta a livello esecutivo da Jay-Z.

L’interpretazione di DiCaprio, vibrante di energia e vitalità, è tuttavia segnata dalla malinconia del personaggio, consumato dalla ricerca di un sogno irrealizzabile. Le ambientazioni sono visivamente poderose.

La sequenza nella quale Di Caprio brandisce una coppa di champagne e sembra offrirla al pubblico con un sorriso lupesco è diventata un meme in rete. Il film è una “lettura hip-hop del personaggio”, scrive A.O. Scott

In Fitzgerald c’è tutto

Luhrmann compie un’intervento interessante, facendo del narratore Nick Carraway una sorta di alter ego dell’autore, con i ricordi raccontati a un’analista, un taglio che rimanda all’instabilità psicologica di Fitzgerald.

Uno scrittore che ha saputo inventare alcuni tra i più bei titoli della letteratura mondiale: “Di qua dal Paradiso”, “L’età del Jazz”, “Belli e Dannati”, “Il Grande Gatsby”, “Tenera è la notte”, “L’ultimo tycoon”.

Sogno, amore, denaro, caduta, speranza, ambizioni, ricerca dell’identità, solitudine, disillusione, frustrazione, aspirazioni infrante e critica sociale: in Fitzgerald c’è veramente tutto.

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