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Il default che non ci sarà: quello del debito pubblico italiano

Non bisogna fare affidamento sui giudizi delle agenzie di rating e Moody’s sbaglia di grosso sia perchè la crisi italiana è politica e non si basa sui fondamentali economici sia perchè, anche nella malaugurata ipotesi di naufragio dell’euro, l’Italia non fallirebbe – In passato Moody’s non vide la crisi asiatica e nemmeno quelle di Enron e Parmalat.

Il default che non ci sarà: quello del debito pubblico italiano

Essendosi diffusa la notizia che il famoso scrittore Mark Twain fosse passato a miglior vita, nel 1897 un giornalista si recò alla sua casa per chiedere informazioni. Lo scrittore lo accolse di persona dicendo: “Le notizie della mia morte erano esagerate”. L’Italia deve fare lo stesso oggi di fronte all’ulteriore declassamento che Moody’s le ha inferto abbassando il rating sul debito pubblico italiano di due tacche, da A3 a Baa2.

È utile ricordare che, nella scala di Moody’s dal rating più elevato di AAA si scende giù giù fino a quello minimo di C. Il livello di rating Baa2 si colloca più o meno a metà strada tra il massimo e il minimo. Però, c’è un però: quando il rating scende a B1, si cala dal segmento “investment grade” (che appunto va da AAA a Baa3 inclusi) a quello di “under-investment grade” (che va da B1 a C). Scendere nel segmento “under-investment grade” (quello dei titoli talora detti “spazzatura”) non è una buona cosa perché significa che gli investitori richiederebbero normalmente tassi di interesse molto più elevati per sottoscrivere i nostri titoli. E quei tassi di interesse più alti implicherebbero ulteriori necessità di aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica. Insomma, ancora non siamo arrivati a Baa3, la soglia critica tra investment e under-investment, ma ci siamo molto vicini.

E allora perché è il caso di rispondere come fece Mark Twain, restando fermamente convinti che il default del debito pubblico italiano non ci sarà? Ci sono due buoni motivi di fondo. Primo, le agenzie di rating sbagliano spesso. Basterebbe ricordare che Moody’s (assieme alle altre consorelle S&P’s e Fitch) non aveva visto arrivare la crisi in Asia orientale nel 1997, non si era accorta dei conti truccati di Enron, Parmalat e di molte altre società che truffarono gli investitori nella stagione dei mega-fallimenti societari (2001-02), non aveva notato che Lehman Brothers stava per saltare … e si potrebbero aggiungere molti altri casi. In tutti questi casi, gli investitori che si erano fidati dei giudizi dei tre colossi globali dell’industria del rating hanno realizzato grosse perdite. Nel caso della crisi dei debiti sovrani europei, poi, il problema è quello di una crisi politica e non di fondamentali macroeconomici cattivi. Come ha ricordato il 31 maggio il Governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali, l’Eurozona è un’area equilibrata “più di altre aree avanzate del mondo” (leggasi: Giappone e USA) e i suoi fondamentali economici “buoni” sono messi alla mercé della speculazione solo dalla debolezza dei suoi fondamentali politici. Quindi, che ne sanno le agenzie di rating dei processi decisionali delle cancellerie europee? A meno che non abbiano la palla di cristallo, ne sanno tanto quanto noi. E allora se i loro giudizi sulle singole società private sono da prendere con le molle, ancor di più lo sono quelli che le agenzie di rating emettono oggi sui debiti sovrani europei. Ciò vuol dire che gli investitori si dovranno attrezzare a fare sempre meno affidamento sui giudizi delle agenzie. E non è un caso che così ha parlato anche il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, e, infatti, la banca centrale che egli dirige ha abbassato la soglia del rating dei titoli che accetta a garanzia quando dà liquidità alle banche commerciali, neutralizzando così i declassamenti disposti dalle agenzie di rating.

Il secondo motivo per cui si deve mantenere la calma è che, se anche tutto dovesse andare male per l’euro e fossimo costretti a ritornare alla beneamata lira, l’Italia non fallirebbe lo stesso. Anzi, tornando alla lira, probabilmente a una parità svalutata di circa la metà rispetto a quella con cui siamo entrati nell’euro, avremmo una temporanea ripresa economica che per qualche anno ci farebbe molto bene e che, dunque, ci consentirebbe anche di riportare più facilmente in sicurezza il problema del debito pubblico. Ciò detto, non posso che continuare a scongiurare lo scenario di dissoluzione dell’euro perché i costi di lungo periodo sarebbero spropositati per tutti noi e per i nostri figli e nipoti. Abbandonare l’euro significherebbe abbandonare l’Unione Europea così come la conosciamo per avventurarci su un sentiero inesplorato che potrebbe generare conflitti e, quand’anche non li generasse, indebolirebbe l’Europa proprio mentre l’ombrello protettivo americano imbarca acqua e il mondo occidentale appare sempre più alla mercé della Cina e delle altre principali economie emergenti.

Dunque, con ogni probabilità, declassando l’Italia e portandone il debito pubblico vicino alla soglia dei titoli spazzatura Moody’s sbaglia. E forse sa anche che sta sbagliando. Come diceva il saggio, in queste condizioni non ci conviene agitarci ma occorre mantenere il sangue freddo e dimostrare coi fatti l’errore di chi ci sta facendo male. La prima risposta non è stata male: venerdì l’asta dei Btp a 3 anni ha registrato un netto calo, con tassi di interesse scesi al 4,65% dal 5,30% dell’analoga asta di giugno, ai minimi da maggio; inoltre la Borsa ha segno positivo. Insomma il mercato sembra ignorare il downgrade del rating italiano deciso da Moody’s.

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