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I liberal, un manifesto per la riscossa nell’era di Trump

The Economist ha pubblicato a fine anno un articolo dal titolo The future pf Liberalism, che riproduciamo tradotto, che ha il sapore di un manifesto della riscossa dei Liberal dopo le sconfitte (da Brexit a Trump ma non solo) incassate nel 2016 – Una visione ambiziosa e l’ottimismo della ragione aiutano

I liberal, un manifesto per la riscossa nell’era di  Trump

Il manifesto della riscossa liberale

Nel numero di fine anno, il settimanale inglese The Economist ha pubblicato un articolo dal titolo The Future of Liberalism che suona come un vero e proprio manifesto del liberalismo globale di fronte a un 2016 che ne è stato, per molti versi, la sua negazione. Un susseguirsi di colpi micidiali, che solo nei film di Rocky Balboa si possono vedere, ha messo al tappeto la visione liberale. Abbiamo tradotto questo articolo per i nostri lettori affinché, chi ancora fa riferimento a questi sistema di pensiero e di azione, possa trovare conforto e magari elaborare una risposta che andrà solo a giovamento della democrazia.

La stanchezza liberale

Paul Krugman, un liberal dichiarato, ha preso molto male l’elezione di Trump, spingendovi a scrivere che, come dimostra la storia antica, le repubbliche e le loro fragili istituzioni possono soccombere all’autoritarismo.

Per un certo tipo di liberali, il 2016 è stato un’ammonizione. Per chi crede, come noi dell’Economist, nell’economia e nella società aperta dove la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone è incoraggiata e dove le libertà universali sono garantite e protette dalla legge, il 2016 è stato un anno di sconfitte. Non soltanto per la Brexit e l’elezione di Donald Trump, ma anche per la tragedia della Siria abbandonata al suo terribile destino e l’ampio consenso – in Ungheria in Polonia e altrove – della “democrazia illiberale”. Da quanto la globalizzazione è diventata un’onta, il nazionalismo e perfino l’autoritarismo hanno iniziato a svilupparsi impetuosamente. In Turchia il sollievo per un colpo di stato fallito ha lasciato il posto a una repressione selvaggia. Nelle Filippine gli elettori hanno scelto un presidente che, non solo incoraggia gli squadroni della morte, ma si vanta pure di premere il grilletto. Tutto questo mentre la Russia, che ha hackerato le democrazie occidentali, e la Cina, che appena la scorsa settimane ha sfidato l’America impadronendosi di un suo drone marittimo, insistono che il liberalismo è semplicemente la maschera dietro la quale si nasconde l’espansionismo occidentale.

Di fronte a una simile giaculatoria di disastri, molti liberali (fautori del libero mercato) stanno uscendo di testa. Alcuni hanno già scritto l’epitaffio dell’ordine liberale ed espresso delle previsioni nefaste sulla democrazia. Altri hanno sostenuto che, con quale morbido aggiustamento alla legge sull’immigrazione o qualche tariffa supplementare, la vita tornerà ad essere quella che era. Ciò non è sufficiente. L’amaro raccolto del 2016 non ha distrutto l’aspirazione del liberalismo a rappresentare la migliore via per dare dignità alle persone e produrre prosperità ed equità alle nazioni. Invece di ritirarsi dalla battaglia delle idee, i liberali dovrebbero impegnarsi in essa.

Nell’ultimo quarto di secolo, tutto è stato troppo facile per il liberalismo. Il suo dominio, dopo la caduta del comunismo sovietico, è sfociato in un atteggiamento di inerzia e compiacenza. Circondati da una crescente ineguaglianza, i vincitori si sono autoconvinti di vivere in una società meritocratica e che quindi il loro successo era meritato. Gli esperti, di cui si sono circondati per gestire una larga parte dell’economia, si sono illuminati del loro stesso fulgore. Ma la gente comune ha spesso visto la ricchezza come una copertura dei privilegi e la competenza come un travestimento degli interessi personali.

Il liberalismo è ancora una formula valida

“Riprendiamo il controllo” è stato lo slogan più incisivo della campagna per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Dopo un così lungo periodo di permanenza al potere, i liberali avrebbero dovuto vedere arrivare la tempesta. Il liberalismo, nato all’inizio del XIX secolo per combattere il dispotismo delle monarchie assolute e il terrore dei rivoluzionari, sa bene che l’esercizio ininterrotto del potere corrompe. Il privilegio si auto-perpetua. Il consenso soffoca la creatività e l’iniziativa. In un mondo in continua trasformazione, la discussione e il confronto non sono solo inevitabili, ma sono una manna perché portano al rinnovamento. Ma c’è di più, i liberali hanno qualcosa da offrire alle società che sono alle prese con il cambiamento.

Nel XIX secolo, come succede oggi, i modelli di vita erano rovesciati da potenti forze tecnologiche, economiche, sociali e politiche. La gente scendeva in piazza per il ritorno all’ordine. La soluzione illiberale era quella di mandare al potere qualcuno con sufficiente autorità da decretare ciò che era bene con una forza sufficiente a rallentare il cambiamento, se ci si consegnava ai conservatori, o con la forza di sovvertire il modello dominante se si consegnava il potere ai rivoluzionari. Si possono ancora sentire gli echi di queste situazioni negli appelli a “riprendere il controllo” come pure sulla bocca di autocrati che, appoggiandosi a un rabbioso nazionalismo, promettono di arginare la marea cosmopolita.

I liberali devono dare una differente risposta. Piuttosto che accentrare il potere devono distribuirlo affidandolo alla legge, ai partiti politici e alla competitività dei mercati. Invece di vedere nello Stato l’arbitro delle sorti dei propri cittadini, il liberalismo deve puntare sull’individuo come unico soggetto capace di decidere ciò che è meglio per lui e i propri simili. Piuttosto che regolare le loro relazioni con la guerra e la forza, le nazioni dovrebbero farlo con il commercio e i trattati.

Queste idee liberali hanno messo le radici nell’Occidente e, nonostante l’innamoramento di Trump per il protezionismo, perdureranno. Ma ciò succederà solo se il liberalismo saprà affrontare l’altro problema: la perdita di fiducia nel progresso. I liberali credono nel cambiamento perché nel suo complesso, porta sempre dei miglioramenti. E hanno ragione, come dimostrano i risultati nella lotta contro la povertà, per l’allungamento delle aspettative di vita, per le pari opportunità e per la pace. In realtà, per la maggior parte della popolazione della terra non c’è mai stato un momento migliore di questa per vivere.

Una larga parte dell’Occidente, comunque, non la vede in questo modo. Per loro il progresso va a beneficio di altri. La ricchezza non viene distribuita, le nuove tecnologie distruggono irreversibilmente posti di lavoro, una classe di persone è oltre ogni possibilità di aiuto e riscatto e altre culture pongono una minaccia concreta, alle volte molto violenta.

Tornare a una visione ambiziosa

del Canada, è l’unico leader liberale che mostra di non tenere ad essere ambizioso. Se vuole scuotersi e tornare ad essere una forza vitale, il liberalismo deve saper dare una risposta anche ai pessimisti. È vero, è successo che, durante questi ultimi decenni al potere, le risposte dei liberali sono state deludenti. Nel XIX secolo i riformatori liberali hanno realizzato il cambiamento con la diffusione dell’istruzione, con programmi di opere pubbliche e con le prime leggi di tutela del lavoro. Successivamente i cittadini hanno ottenuto il suffragio universale, l’assistenza sanitaria e una rete di sicurezza e servizi sociali. Dopo la seconda guerra mondiale, l’America ha costruito un ordine liberale globale, appoggiandosi su organizzazioni come le Nazioni Unite e il Fondo Monetario Internazionale per realizzare quest’ordine.

Nessuna visione altrettanto ambiziosa, foss’anche la metà, è riscontrabile oggi in Occidente. Questo deve cambiare. I liberali devono percorrere e esplorare le strade che la tecnologia e i bisogni sociali stanno aprendo davanti a noi. Il potere deve migrare dallo Stato alle città, che sono i laboratori delle nuove politiche. I politici devono rifuggire da ogni sterile partigianeria ricercando nuove forme di democrazia locale. Il labirinto del sistema fiscale e normativo deve essere ricostruito dalle fondamenta in modo razionale. La società potrebbe trasformare l’istruzione e il lavoro, chiedendo ai lavoratori di tornare a scuola per ricostruirsi una carriera in settori industriali completamente nuovi. Le esigenze che potranno scaturire dalla società sono ancora inimmaginabili, ma il sistema liberale, in cui la creatività individuale, il talento e l’iniziativa personale hanno piena espressione, ha la possibilità, più di qualsiasi altro sistema, di intercettarle ed elaborare una risposta.

L’ottimismo della ragione

Dopo il 2016, il sogno liberale è ancora possibile? Le basi ci sono anche se questo giornale pensa che Brexit e l’elezione di Trump si riveleranno costose e deleterie e anche se siamo preoccupati dal mix di nazionalismo, corporativismo e scontento popolare. In ogni caso l’esperienza del 2016 mostra anche una domanda di cambiamento. Non dimentichiamo la capacità dei liberali di reinventarsi. Non sottovalutiamo la capacità delle persone, malgrado la Brexit e l’amministrazione Trump, di saper uscire con il rinnovamento da situazioni difficoltose. Il compito è quello di interpretare questi bisogni urgenti difendendo la tolleranza, l’apertura e la lotta ai pregiudizi che sono le fondamenta di un mondo decentemente liberale.

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