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Hong Kong, cosa succede? Ecco tutta la storia

Da 5 mesi continuano incessantemente le proteste ad Hong Kong, cominciate per un emendamento sull’estradizione e proseguite con la richiesta di maggior democrazia e autonomia dalla Cina – Ecco tutto ciò che c’è da sapere

Hong Kong, cosa succede? Ecco tutta la storia

La storia delle proteste di Hong Kong ha radici lontane. Il presente però sembra sempre più buio. Il Politecnico di Hong Kong è diventato simbolo di una crisi ormai deflagrata in rivolta politica, economica e generazionale. Centinaia di manifestanti pro democrazia da tre giorni sono barricati dentro l’università circondati dalla polizia. Cibo e medicine scarseggiano e le condizioni degli occupanti sono sempre più precarie anche a causa delle violenze dei giorni scorsi. È in atto una guerriglia tra polizia e studenti fatta da un lato di cariche, gas lacrimogeni e proiettili di gomma, dall’altro di sassi, mattoni, frecce e bombe carta.

La governatrice Carrie Lam si è detta “molto preoccupata per la pericolosa situazione” del Politecnico, precisando però di voler puntare su “una soluzione pacifica” per superare lo stallo. Lam ha fatto sapere che circa 600 persone hanno già abbandonato il campus, tra cui 200 minori. La polizia ha annunciato che i manifestanti saranno arrestati immediatamente una volta usciti dal Politecnico con l’accusa di sommossa. Rischiano 10 anni di carcere.

HONG KONG: COM’È INIZIATA LA CRISI

Da mesi Hong Kong è preda di una crisi che rischia di mettere in ginocchio quella che fino a pochi mesi fa veniva considerata come la patria degli affari, del lusso più sfrenato e dell’innovazione. A far scoccare la scintilla della protesta è stato un emendamento, presentato a inizio giugno, alla legge sull’estradizione. Nel caso in cui il Parlamento locale avesse approvato la proposta, i cittadini accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio, avrebbero potuto essere processati nella Cina continentale, cosa che ad oggi non è possibile. A Hong Kong infatti sono in vigore leggi sull’estradizione basate su accordi bilaterali con venti paesi, tra cui però non figurano né la Cina continentale, né Macao, né Taiwan.

L’emendamento era stato ispirato da un crimine reale: nel febbraio del 2018 un 19enne originario di Hong Kong è stato accusato di aver ucciso la propria fidanzata a Taiwan. Il governo dell’isola aveva chiesto l’estradizione, ma si era dovuto arrendere davanti alla normativa di Hong Kong. Da qui era nata la proposta di modificare la legge. Secondo i movimenti per i diritti umani però, l’emendamento non era fine a se stesso, ma rappresentava una vera e propria ingerenza della Cina sul sistema giuridico di Hong Kong. Una legge che sarebbe stata sfruttata da Pechino per mettere a tacere i suoi oppositori, inventando accuse false allo scopo di estradare cittadini “poco graditi” per le loro idee politiche.

Il 12 giugno si sono verificati i primi scontri tra polizia e manifestanti, attirando l’attenzione dei media mondiali. Tre giorni dopo la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, ha annunciato la sospensione dell’emendamento, ritirato però formalmente solo il 24 ottobre.

CHE COS’ È HONG KONG

Per capire cosa sta succedendo realmente ad Hong Kong bisogna conoscere la sua storia. Fino al 1997 Hong Kong era una colonia britannica, con un’economia di impronta occidentale, un sistema giuridico e legislativo basato sul modello inglese. Nel 1984 Cina e Regno Unito firmarono una dichiarazione congiunta che stabiliva che il 1°luglio del ’97 Hong Kong sarebbe stata restituita alla Cina, che nel 1898 aveva ceduto ai britannici i suoi territori per 99 anni. L’accordo prevedeva anche che per 50 anni, e dunque fino al 2047, Hong Kong avrebbe dovuto mantenere una propria autonomia diventando una regione amministrativa speciale cinese. La Cina si era impegnata a rispettare questa autonomia, anche se da anni, cerca comunque di allargare la propria influenza sul territorio. L’esempio più eclatante di questa condotta risale al 2014 quando Pechino ha proposto di riformare il sistema elettorale di Hong Kong dando al Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo il compito di pre-selezionare 3 candidati per il ruolo di Capo Esecutivo. Non solo, Una volta eletto dalla popolazione tramite elezioni, il vincitore avrebbe dovuto essere formalmente nominato dal governo centrale prima di assumere ufficialmente la carica. La proposta scatenò la cosiddetta “Rivoluzione degli ombrelli” e dopo mesi di proteste il Parlamento locale decise di respingerla.

HONG KONG: COSA STA SUCCEDENDO?

Da giugno ad oggi le proteste sono andate avanti, diventando una vera e propria rivolta. I manifestanti chiedono maggiore libertà e autonomia dalla Cina, ma protestano anche contro il Governo di Hong Kong, che secondo loro sarebbe sempre più assoggettato all’influenza del regime cinese, a scapito di quanto stabilito dagli accordi del ’97. Non solo, tra gli attivisti c’è anche chi ha alzato la posta, chiedendo un referendum per l’indipendenza di Hong Kong.

Le proteste, in alcuni casi (che diventano però sempre più frequenti) sono state represse con la violenza causando centinaia di feriti e 2 morti. L’atteggiamento repressivo di polizia e governo ha però avuto come risultato un’adesione sempre più cospicua alla causa dei manifestanti e una sfiducia crescente nei confronti del Governo locale (attualmente secondo i sondaggi la fiducia nei confronti Lam si attesterebbe intorno al 20%).

Sabato 16 novembre per la prima volta sulla questione è intervenuto il presidente cinese, Xi Jinping, affermando che le proteste rappresentano “crimini radicali e violenti” che “calpestano gravemente la legge e l’ordine sociale” e ha aggiunto che “fermare la violenza e riportare l’ordine è al momento la cosa più urgente da fare”. Poco dopo il suo discorso, l’esercito cinese a Hong Kong è intervenuto spazzando le strade piene dei mattoni lasciati dai manifestanti nei giorni precedenti. Lavori socialmente utili secondo la Cina, minaccia nemmeno troppo velata per i manifestanti.

A preoccupare è anche quanto potrebbe accadere nei prossimi giorni sulla scia delle elezioni del 24 novembre a Hong Kong per eleggere i nuovi rappresentanti dei consigli distrettuali.

LE RIPERCUSSIONI ECONOMICHE

Le ripercussioni di un caos lungo cinque mesi si manifestano anche sull’economia. Dopo due trimestri consecutivi in cui il Pil di Hong Kong è sceso, nel terzo trimestre è scattata ufficialmente la recessione, per la prima volta negli ultimi 10 anni. Nei mesi luglio-agosto-settembre il Prodotto Interno Lordo è sceso del 3,2% sul trimestre precedente e del 2,9% anno su anno, dopo il -0,5% del periodo compreso tra aprile e giugno. Il governo è stato dunque costretto a rivedere al ribasso le stime. Secondo le nuove previsioni il Pil nel 2019 dovrebbe contrarsi dell’1,3%. Tutti i principali dati sono in negativo. Soffre in particolar modo il turismo, calato ad agosto del 40%. Consumi privati, investimenti fissi ed esportazioni di merci e servizi nel trimestre sono letteralmente crollati rispettivamente del -3,5%, -16,3%, -7,0% e -13,7%. Negli ultimi sei mesi la borsa di Hong Kong, la quarta piazza finanziaria al mondo dopo il Nyse, il Nasdaq e la Borsa di Tokyo, ha perso il 4,79% a fronte del rialzo dei principali indici azionari internazionali.

La crisi di Hong Kong ha avuto forti ripercussioni anche sui mercati globali, lusso in primis. Se Alibaba si prepara alla maxi quotazione, i grandi brand continuano a soffrire per il caos in atto in un territorio che è sempre stato tra le cinque maggiori destinazioni del lusso mondiale. Secondo Bernstein, nella città vengono realizzate tra il 5% e il 10% delle vendite globali di beni di lusso, stimate intorno a 285 miliardi di dollari l’anno, e il crollo verticale delle vendite (-47,8% ad agosto) impatterà pesantemente sui bilanci del 2019, come già è ampiamente palesato dai dati pubblicati dalle principali aziende sul terzo trimestre.

Anthony Chan, Chief Asia Investment Strategist di Union Bancaire Privée (UBP), ha dichiarato: “I dati del terzo trimestre 2019 sul pil di Hong Kong confermano lo shock economico causato dal protrarsi delle proteste interne e dalla persistente incertezza legata alla Trade War. Si prevede che l’impatto sarà superiore a quello verificatosi durante l’epidemia di Sars del 2003 o in seguito ai fatti di piazza Tienanmen in Cina nel 1989. A nostro avviso, in mancanza di una soluzione a breve termine, l’effetto combinato di questi due fattori rischia di essere tanto grave quanto quello della crisi finanziaria globale del 2008-2009 o della crisi asiatica del 1997-1998”. Le prospettive non sono incoraggianti.

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