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Governo Letta troppo timido sui tagli alla spesa pubblica e sulle riforme?

Il primo decreto del Governo è solo un modesto intervento volto a fronteggiare l’emergenza politica creata dal pressing del Pdl sull’Imu mentre sarebbe servita maggior decisione nel tagliare la spesa pubblica e nel riavviare il cantiere delle riforme – E’ però importante che nè Letta nè Saccomanni si siano lasciati sedurre dalla politica del deficit spending

Governo Letta troppo timido sui tagli alla spesa pubblica e sulle riforme?
Il primo decreto del Governo Letta è solo un modesto intervento volto a fronteggiare due emergenze: quella politica dovuta alla rigida posizione del Pdl sull’Imu, e quella sociale con il rifinanziamento della Cassa Integrazione in deroga e con la proroga della scadenza per i precari della Pa. C’è l’impegno a varare misure di revisione complessiva sulla casa entro fine agosto (ma per questo non c’era certo bisogno di un decreto) e c’è un debole segnale sul taglio dei costi della politica con l’eliminazione della maggiorazione dello stipendio per i componenti del governo che sono già parlamentari. Nel complesso non si tratta certo di norme capaci di ridare slancio alla nostra economia, per la quale servirebbero ben altre misure di taglio del carico fiscale e di efficientamento della macchina politica amministrativa.

Il ministro dell’economia, Saccomanni, sia pure con la prudenza dettata dalla necessità di operare con le modalità ed i linguaggi della politica, ha fatto capire che l’obiettivo primario rimane quello di mantenere i saldi invariati della finanza pubblica in modo da ottenere da Bruxelles l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo. Solo in questo modo potremo avere una ulteriore normalizzazione del mercato finanziario con la discesa dei tassi sia sul debito pubblico che, e soprattutto, sulla raccolta delle banche e quindi sui prestiti alle imprese e alle famiglie. La ripresa arriverà negli ultimi trimestri dell’anno, e si spera che essa possa essere accelerata dai rimborsi dei debiti della PA verso le imprese sulla base del decreto varato dal precedente Governo e che ora sta entrando nell’operatività.  Importanti sono poi gli accordi tra imprese e sindacati per incrementare la produttività tanto che i fondi stanziati per ridurre la tassazione sul salario di produttività solo momentaneamente vengono in parte dirottati al finanziamento della Cassa integrazione ma sono  destinati ad essere prontamente reintegrati in autunno.

Si conferma insomma una linea che rifiuta di affidare le speranze di ripresa dell’economia alla spesa pubblica in deficit come si reclama da più parti sia all’interno che all’esterno del nostro Paese. Ed è un bene che questo equivoco venga al più presto dissipato per evitare inutili polemiche tra i partiti e soprattutto per non alimentare illusioni nei cittadini su una possibile manna in  arrivo dal ministero di via XX Settembre. Del resto lo stesso Krugman, il profeta della spesa pubblica, nel suo recente libro si limita ad invitare la Germania a rilanciare la propria economia aumentando il proprio deficit. ma quando parla dell’Italia non dice affatto che per noi la ricetta possa essere diversa da quella dell’austerità più le riforme. Quanto più saranno incisive le riforme, tanto meno sarà necessaria l’austerità.

Ed è proprio questo il suggerimento che il Governo non ha voluto o potuto seguire: e cioè quello di affrontare da subito un vasto piano di riforme a partire da quelle istituzionali per arrivare a quelle necessarie per limitare l’eccesso di burocratizzazione , o il buon funzionamento dei mercati ostacolato da troppe corporazioni e oligopoli. E’ chiaro che non  si tratta di riforme ad impatto immediato, tuttavia il loro effetto sul cambiamento delle aspettative potrebbe essere davvero importante tanto da rendere possibile mosse molto più aggressive sulla riduzione del carico fiscale, come quelle suggerite da Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera, che potrebbero avere nel beve periodo un impatto negativo sul deficit corrente con la sicurezza però che esso potrebbe essere riassorbito dalle riforme già varate.

In altre parole si spera che il Governo abbia per ora preso tempo in modo da studiare nei dettagli una strategia più aggressiva da varare entro l’estate, magari con l’aiuto di un cambiamento di atteggiamento da parte delle autorità europee che dovrebbe essere deciso nel vertice di fine giugno. Tuttavia sarebbe stato meglio cominciare subito con misure volte alla riduzione della spesa pubblica effettuate non con tagli lineari ma con un rilancio della spending review, con l’eliminazione delle province, con la cancellazione di prassi burocratiche come quelle vigenti nei porti italiani che inducono tanti nostri operatori ad andare a sdoganare le merci ad Amsterdam saltando Livorno o Genova. Inoltre sarebbe stato opportuno un segnale più preciso sulla volontà di accelerare la vendita di beni pubblici anche quelli in mano agli enti locali, ed una maggiore attenzione alla competitività delle imprese attraverso la revisione della legge Fornero sulle modalità di ingresso al lavoro e sulla preferenza da assegnare alla contrattazione decentrata rispetto ai contratti nazionali. Si tratta di segnali che non solo non avrebbero comportato nuove spese pubbliche, ma anzi avrebbero messo delle credibili premesse affinché i risparmi derivanti dai tagli alle uscite dello Stato, possano essere restituiti ai cittadini ed alla imprese con una parallela riduzione della tassazione.  

In conclusione il decreto di oggi serve solo a disinnescare la mina politica sull’Imu e soprattutto a rassicurare l’Europa che l’Italia non ha nessuna intenzione di imboccare la strada della spesa facile, come era accaduto nella primavera-estate del 2011 quando Berlusconi e Brunetta misero sotto accusa Tremonti dicendo che il Pdl aveva perso le elezioni amministrative a causa dei tagli alla spesa pubblica operati dall’allora ministro dell’economia. La manovra vera deve ancora essere messa a punto. Per i ministri sarà una calda estate di lavoro. 

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