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Global Economic Outlook: la crescita rallenta, che succede all’export italiano?

Il commercio è sotto forte pressione per l’escalation dei dazi, il rallentamento del Pil cinese e la volatilità del petrolio – Insolvenze (+2%) e indebitamento delle imprese continueranno a crescere, mentre l’export Made in Italy per ora regge

Global Economic Outlook: la crescita rallenta, che succede all’export italiano?

Il Global Economic Outlook recentemente pubblicato da Atradius mostra come la crescita economica globale stia registrando un lieve rallentamento nel corso di quest’anno, dovuto all’esaurirsi degli stimoli fiscali negli USA. Inoltre, le incertezze legate alle politiche commerciali e le turbolenze a livello mondiale hanno messo il commercio sotto forte pressione: dopo la crescita del 3,4% nel 2018, gli analisti – più pessimisticamente del FMI (+3,3% nel 2019) – si attendono un rallentamento al di sotto del 3%, prima di una lieve ripresa nel 2020, in linea con il miglioramento delle prospettive a livello globale. Tuttavia, permangono ancora dei significativi rischi al ribasso, anche se i rischi peggiori si sono leggermente attenuati. Il rischio principale resta quello di una diffusione delle guerre commerciali: l’escalation della questione dei dazi tra Cina e USA nel mese di maggio è la dimostrazione che la situazione non è ancora risolta. Inoltre, il rischio di un’escalation con l’Europa è più vivo che mai. Un rallentamento della crescita del PIL cinese rappresenta il secondo rischio principale, senza dimenticare l’incertezza politica e le oscillazioni dei prezzi del petrolio.

Allo stesso tempo, l’Eurozona si sta confrontando con previsioni di crescita più moderate e continua a dover fare i conti con un clima di forte incertezza politica legata alla Brexit, ai problemi di bilancio dell’Italia e ai crescenti rischi commerciali. L’incertezza legata alla Brexit continua a pesare sugli investimenti delle imprese nel Regno Unito, anche se il miglioramento del contesto esterno e il moderato supporto da parte del governo contribuiscono a delineare prospettive stabili. Le previsioni di crescita nei Paesi dell’area EME sono generalmente soddisfacenti, anche se il calo del commercio globale e la persistente incertezza stanno facendo sentire il loro effetto. Mentre la crescita dell’export resta sotto pressione, l’andamento positivo continua ad essere sostenuto dalla solida domanda interna. Gli stimoli fiscali e monetari in Cina contribuiranno a favorire forti tassi di crescita dell’economia cinese, con un effetto positivo su molti altri mercati dell’area EME. Tuttavia, molte singole economie continuano a soffrire per i livelli elevati di debito, i rischi politici e le vulnerabilità esterne.

In questo scenario, come riportato da SACE, a marzo l’export italiano è rimasto stabile rispetto allo stesso mese del 2018, con un andamento positivo nei mercati UE e negativo nell’area extra-UE. A livello settoriale ha pesato la flessione dei beni strumentali, che lo scorso anno avevano registrato un forte aumento dovuto a transazioni una tantum: nel complesso del primo trimestre, il valore dell’export italiano è invece aumentato del 2%. Tra i fattori trainanti dell’export nei Paesi comunitari permane il cosiddetto “effetto scorte” per la temuta hard Brexit. La Francia registra valori sopra la media (+2,3%) grazie a farmaceutica e moda; Spagna in lieve calo (-0,6%), ma con macchinari in forte controtendenza (+8,1%). Tra i migliori mercati di destinazione ecco Svizzera (+15,6%), Giappone (+8,8%) e USA (+6,7%). In calo invece Turchia e Mercosur, stabile la Cina (+0,5%). La performance positiva in India (+7,5%) è piuttosto generalizzata a livello settoriale, con in testa metalli, gomma e plastica e farmaceutica. Quest’ultimo comparto, insieme agli alimentari, è in crescita anche in Germania, dove tuttavia la dinamica resta moderata a causa del calo di automotivo e apparecchi elettrici, gli stessi settori che stanno riportando una marcata contrazione in Polonia, a testimonianza della forte connessione tra Varsavia e Berlino.

È il raggruppamento dei beni di consumo a registrare la variazione positiva più significativa (+6,9%), trainata dai beni non durevoli (+8,2%), mentre è stato più contenuto l’incremento dei beni durevoli (+0,9%). In crescita anche l’export del raggruppamento dei beni intermedi (+2%), in lieve calo le vendite all’estero di beni strumentali (-0,2%), a testimonianza della persistente e generalizzata debolezza del ciclo degli investimenti. Dopo l’incremento di circa il 30% nel periodo 2015-18, il settore farmaceutico continua a trainare l’export italiano anche nei primi mesi del 2019 (+15,3%), sostenuto sia da mercati europei come Francia e Germania, sia da India, Russia, Cina e USA. Questi ultimi hanno favorito anche l’export di tessile e abbigliamento, insieme a Svizzera e Giappone. È stato invece più modesto l’incremento della meccanica strumentale (+1,7%), con eccezioni in India, Spagna, USA e Russia.

Già alla fine dello scorso autunno, una serie di dati economici negativi andava ad aggiungersi ai timori di un’ulteriore stretta da parte delle Banche Centrali. Il livello di fiducia dei mercati finanziari ha iniziato a mostrare segnali di peggioramento, con perdite cumulative dell’indice S&P 500 del 10% solo nel mese di dicembre. È evidente che raggiungere la pace, piuttosto di una semplice tregua, sul fronte USA-Cina, e riuscire a eliminare l’incertezza commerciale tra USA e UE darebbe un forte impulso all’economia globale; tuttavia, anche se si raggiungesse un accordo, ciò potrebbe non bastare. Secondo Atradius, i responsabili della politica monetaria potrebbero aver fatto quanto andava fatto e potrebbero aver esaurito gli strumenti a disposizione, in un contesto che vede già tassi di interesse bassi e iniezioni di liquidità. Solo di recente la Casa Bianca ha provato a sbloccare la situazione riguardo alla promessa elettorale di costruire “strade, ponti e aeroporti”, mentre si è ritirata dagli accordi di Parigi. Anche a livello dell’Eurozona gli sforzi si sono mantenuti limitati, benché la politica fiscale della Germania sia oggi moderatamente espansiva. Soltanto la Cina, che indubbiamente dispone di un più ampio margine di manovra dal punto di vista fiscale, è andata più a fondo, sia in termini di infrastrutture, con l’iniziativa “Belt and Road”, sia in termini di transizione energetica.

Ecco allora che l’economia globale perderà slancio nel 2019 e 2020. Tuttavia, nonostante un avvio tumultuoso nei primi mesi dell’anno, alcuni sviluppi delle politiche praticate hanno contribuito ad attenuare il clima di incertezza. Le Banche Centrali in tutti i mercati avanzati hanno messo in attesa le proprie politiche di normalizzazione monetaria e la Cina ha aumentato gli incentivi fiscali e monetari per stimolare la crescita. L’incertezza legata alla guerra commerciale continua ad offuscare le previsioni che, tuttavia, si confermano relativamente positive. Dopo la significativo aumento del 3,2% nel 2018, la crescita del PIL mondiale dovrebbe rallentare al 2,7% nel 2019, con una moderata ripresa (+2,9%) nel 2020. Quest’anno i mercati avanzati stanno registrando un rallentamento generale, soprattutto per quanto riguarda l’economia dell’Eurozona, che dovrebbe crescere soltanto dell’1,3% e dell’1,5% nel 2020. Con l’esaurirsi dell’effetto degli stimoli fiscali, anche la crescita del PIL degli USA dovrebbe rallentare al 2,3% quest’anno e all’1,8% nel 2020. Nei mercati emergenti, la crescita economica a margini più contenuti quest’anno, 4,3%, per poi riprendere slancio (+4,7%). Anche Asia Emergente ed Europa Orientale dovrebbero entrambe registrare un lieve rallentamento, rispettivamente al 5,5% e 2,5%. La crescita in America Latina e nei mercati dell’area MENA dovrebbe essere più deludente quest’anno, mentre l’economia dell’Africa Subsahariana dovrebbe beneficiare di un’accelerazione nel prossimo biennio. Si prevede, infine, un aumento dei casi di insolvenza: quest’anno le insolvenze dovrebbero crescere del 2%, il primo incremento annuale dopo la crisi finanziaria globale. Grazie all’allentamento della stretta monetaria e all’attuale tregua nella guerra commerciale, i rischi per le imprese si sono ridotti, ma le vulnerabilità, soprattutto in termini di indebitamento, continuano a crescere.

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