Condividi

Generali alla resa dei conti: Perissinotto sfida Mediobanca ma la vera posta in gioco è l’autonomia

Stamattina il ceo delle Generali Perissinotto affronta in cda il fronte di chi vuole sfiduciarlo, da Mediobanca ad altri grandi azionisti – Dagli Usa l’ex ambasciatore Mel Sembler (attuale responsabile della finanza per Romney) scrive al presidente Galateri: estromettere il ceo significa colpire la fiducia sull’Italia – Con lui anche Marchi (Ferak) e Apage

Generali alla resa dei conti: Perissinotto sfida Mediobanca ma la vera posta in gioco è l’autonomia

Al via alle 10.30 la resa de conti. Oggi nel cda straordinario convocato all’improvviso giovedì si vedrà qual è l’anima del Leone che avrà la meglio: lo storico ma ormai stretto legame con Mediobanca, primo azionista di maggioranza relativa, o l’autonomia manageriale perseguita dal ceo Giovanni Perissinotto. A distanza di un mese dall’intervista di Del Vecchio che chiedeva le dimissioni dell’ad (in concomitanza con l’assemblea annuale a Trieste), le tensioni al vertice della compagnia sono esplose definitivamente questa settimana, quando mercoledì scorso il Presidente e amministratore di Mediobanca, Alberto Nagel, avrebbe convocato Perissinotto per chiedergli un passo indietro. Una richiesta che il manager non è disposto in alcun modo ad accettare, come ha spiegato in una dura lettera inviata ai consiglieri.

Ecco che oggi si va alla conta in cda. Fonti vicine a Mediobanca hanno fatto notare che “ci sono i numeri”, altrimenti il consiglio non sarebbe stato convocato: a votare la sfiducia all’ad sarebbero pronti 11-12 consiglieri su un totale di 17. Assieme a Mediobanca ci sono alcuni grandi soci di Generali: Leonardo Del Vecchio e Lorenzo Pelliccioli (da cui è partita l’offensiva accolta poi da Piazzetta Cuccia) ma anche Francesco Gaetano Caltagirone. A questi nel fronte del no si potrebbero aggiungere l’ad dell’Eni Paolo Scaroni e il francese Vincent Bolloré. Perissinotto trova appoggio nel finanziere ceco Petr Kellner e in Diego Della Valle ma anche in Enrico Marchi (socio dell’azionista Ferak) e i piccoli azionisti Apage.

Non solo il fronte pro Perissinotto si allarga dagli agenti della rete Generali fino all’ex ambasciatore Usa Mel Sembler (e attuale responsabile della finanza per la candidatura di Mitt Romney) che scrive al presidente Galateri. Bisognerà vedere poi come voteranno i tre amministratori di minoranza di Assogestioni Cesare Calari, Paola Sapienza e Carlo Carraro. Non si sbilancia Sergio Balbinot (ad delle Generali) che, entrando nella sede del gruppo di Milano, non ha voluto rispondere alle domande dei cronisti su come voterà. La situazione è fluida e la tensione alle stelle. Ieri le parti in campo si sono sfidate a colpi di note e stilettate. In Borsa lo scontro al vertice ha messo le ali ai titoli: Generali +3,35% e Mediobanca +3,69%.

BOTTA E RISPOSTA TRA DEL VECCHIO E PERISSINOTTO

Le prime risposte alla lettera di Perissinotto non sono però arrivate dal salotto buono di Mediobanca. Ma da Unipol, concorrente di Generali che proprio grazie alla regia di Piazzetta Cuccia, sta cercando di portare a termine il salvataggio di Fonsai, operazione  chiamata in causa senza mezzi termini dallo stesso manager (“ho seri dubbi sulla visione strategica di questa operazione, non solo per la inquietante prova che non si può certo ignorare riguardante la salute finanziaria di quello che dovrebbe essere il salvatore”, ha sottolineato). Ma Perissinotto ha anche precisato di non ritenere opportuno essere coinvolto in alcun modo sul dossier. Una partita che tocca nervi scoperti del sistema della finanza italiano e contrappone il fronte Unipol/Mediobanca/Unicredit e quello di Sator/Palladio (con il numero uno di Palladio, Meneguzzo, storicamente vicino all’ad Perissinotto).

Ecco che l’ad della compagnia bolognese, Carlo Cimbri, ha chiesto a Perissinotto di “chiarire” le affermazioni su Unipol “rettificandone le parti che ledono arbitrariamente e ingiustificatamente l’immagine e gli interessi di Unipol”. “Voglio considerarle – ha commentato Cimbri -, per i toni e i contenuti, formulate in un momento di profondo turbamento personale, nell’ambito e a supporto di proprie posizioni riferite a questioni che, come pare evincersi dal complessivo contenuto della missiva, sono di esclusiva pertinenza del gruppo Generali e dei suoi azionisti, rispetto alle quali il gruppo Unipol è ovviamente totalmente estraneo”.

Ma a scendere all’attacco è ieri di nuovo Del Vecchio: “Ho letto con grande stupore ed amarezza la lettera di Giovanni Perissinotto ai consiglieri di Generali che è stata resa pubblica dagli organi di stampa. Da essa traspare chiaramente che già da tempo l’attuale Ceo non è adeguato a gestire le Generali”. E ancora: “Non si tratta di una mozione di sfiducia di Mediobanca ma di una parte molto rilevante del consiglio e dell’azionariato motivata esclusivamente da fatti aziendali inerenti alla Compagnia.

La vicenda Fonsai/Unipol non c’entra nulla con la sfiducia a Giovanni Perissinotto ed è tirata da lui in causa solo per coprire la mancanza di risultati accettabili”. Pronta e sferzante la replica di Perissinotto: “La Compagnia è solida. In questi anni ha superato positivamente la prima crisi generata dai subprime grazie alla sua prudente politica di investimento e oggi sta affrontando bene la grave crisi dei mercati che sta colpendo soprattutto l’Italia, paese in cui il gruppo ha un forte radicamento. Gli indici di performance assicurativi sono tra i migliori del mercato a livello internazionale così come testimoniato da varie ricerche. Questi risultati sono possibili grazie all’abnegazione, professionalità ed etica di tutti i collaboratori del Gruppo”. Con stilettata finale: “Probabilmente il dottor Del Vecchio ha, dalla sua residenza credo all’estero, una visione del nostro paese e della nostra Compagnia un po’ lontana dalla realtà”.

DAGLI USA EX AMBASCIATORE SCRIVE A GALATERI: ESTROMETTERE PERISSINOTTO
DARÀ UN COLPO ALLA FIDUCIA SULL’ITALIA

Dagli Usa si scomoda persino Mel Sembler, un ex ambasciatore Usa in Italia, attuale responsabile della finanza per la candidatura di Mitt Romney, che si dice ”preoccupato” per la notizia della possibile rimozione nel board di domani. E che per questo ha preso carta e penna e ha scritto al presidente delle Generali Gabriele Galateri di Genola. ”L’iniziativa di rimuovere Perissinotto come Ceo di Generali è mal concepita e trasmette una immagine negativa della business community italiana al mondo esterno”, ha scritto. Per Sembler Perissinotto è stato uno dei più capaci manager conosciuti, in Italia o all’estero. “Ha guidato la società per molti anni con grande capacità e integrità – ha detto –  avendo sempre a cuore il miglior interesse di Generali. Estrometterlo in questo momento, quando c’è grande preoccupazione per la stabilità delle istituzioni finanziarie italiane manda un messaggio negativo agli investitori, generando dubbi sulla corporate governance e la capacità dell’Italia di affrontare le grandi sfide che la circondano. Rimuoverlo ora e in questo modo  danneggia la reputazione non solo di Generali, ma darà un colpo alla fiducia nell’abilità dell’Italia di gestire la grave crisi finanziaria che sta ora affrontando’‘.

MARCHI (FERAK), RAGIONI POCO NOBILI DIETRO SFIDUCIA PERISSINOTTO
GLI ANALISTI  PUNTANO IL DITO SU MEDIOBANCA

Parla di “ragioni poco nobili”, Enrico Marchi, Presidente di Finanziaria Internazionale, azionista indiretto di Generali tramite le quote in Ferak e quindi in Effeti che interviene sulla vicenda in difesa di Giovanni Perissinotto. “Ho letto oggi dichiarazioni violente, ingenerose ed inaccettabili nei confronti dell’amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto – ha scritto in una dichiarazione – Concordo, invece, con quanto scrivono il Financial Times e gli analisti delle principali case di investimento, unanimi nel ravvisare non nel negativo andamento del titolo in Borsa bensì in tutt’altre e meno nobili motivazioni la ragione di quanto sta succedendo e che esprimono anzi valutazioni comunque positive sulla gestione e sulla tenuta della compagnia in un quadro di grande difficoltà. Quanti Ceo di grandi aziende quotate si salverebbero se il metro di giudizio fosse anche per loro la performance borsistica?”.

Le prime reazioni degli analisti finanziari sono infatti di perplessità. Il problema, ancora una volta non sarebbe il management del Leone, ma la governance nei delicati rapporti con Mediobanca. Parla di “sproporzionata influenza di Mediobanca” la casa d’affari Silvia Quandt, Cheuvreux mette in luce che la gestione di Perissinotto ha avuto ”risultati da migliori della classe nella redditività vita” e Crédit Suisse evidenzia che i trend operativi sono “ampiamente in linea o sopra ai competitor europei”. E anche la questione “aumento di capitale”, invocato da più parti negli ultimi tempi per rafforzare la compagnia, chiama in causa il ruolo di Mediobanca. “Probabilmente il suo più grande errore è stato quello di non eseguire un aumento di capitale qualche anno fa quando le condizioni dei mercati finanziari erano migliori, ma ancora una volta molto probabilmente questa è stata la decisione del principale azionista”, scrive Cheuvreux. D’altra parte è lo stesso Perissinotto in un passaggio della sua lettera a far intuire che lui avrebbe scelto la strada del rafforzamento patrimoniale per migliorare la percezione di solidità del titolo in una situazione di mercati difficili: “Mi aspetto di vedermi contestato il fatto che le performance dell’azione Generali sono state negli ultimi tempi insoddisfacenti. E io non posso che condividere questo punto. Tuttavia anche la più superficiale delle analisi dirà che questo non è il risultato di errori di gestione, ma è direttamente legato alla percezione dei mercati della nostra storica, attuale e significativa esposizione verso l’Italia e al fatto che siamo stati e rimaniamo leali sostenitori del debito sovrano del Governo italiano. La riprova di ciò si ricava da una comparazione con i risultati dei nostri principali competitors i quali, a tutti è noto, si sono giovati di ingenti immissioni di mezzi propri al contrario della nostra Compagnia che, per volere anche e soprattutto del suo socio di riferimento, non ha voluto scegliere questa strada”.

LA PREOCCUPAZIONE DI AGENTI, SINDACATI E PICCOLI SOCI

Attorno a Perissinotto fanno scudo gli agenti della compagnia: in una nota il Gruppo Agenti Generali, 1.350 agenti della rete, ha espresso pieno dissenso verso la decisione avanzata dal primo azionista di sfiduciare sulla sola scorta dell’andamento del titolo e in riscontro all’insofferenza espressa da alcuni dei grandi soci il group Ceo Giovanni Perissinotto. “Potrebbe rivelarsi una scelta strategica miope e profondamente nociva per la stessa salute e solidità finanziaria del gruppo”, hanno rilevato gli Agenti. Anche gli agenti Generali Ina Assitalia si sono detti stupiti da “una richiesta che non può certamente trovare una razionale giustificazione nell’andamento del titolo, in presenza di una recessione che perdura da anni e nel corso della quale abbiamo più volte assistito al collasso di gruppi assicurativi che sembravano solidissimi: il gruppo Generali invece ha saputo non solo mantenere la sua posizione di leader del mercato italiano, ma anche rafforzare la sua presenza nei rami vita e danni, migliorando tutti i più significativi indicatori di salute aziendale”.

Similmente i sindacati (Fisac Cgil, Fiba Cisl, Fna, Snfia e Uilca) esprimono “preoccupazione per la perdurante instabilità dei vertici delle Generali, che mette in discussione l’affidabilità del Gruppo, impegnato in una fase di eccezionale gravità dell’andamento economico generale”.

Non mancano i piccoli azionisti, che forse sono i primi interessati a vedere il titolo delle Generali risalire la china dagli 8,49 euro di oggi a quota 20 euro. Apage, la maggiore associazione di piccoli azionisti delle Generali, ritiene ingiustificati gli attacchi, che non farebbero gli interessi della compagnia e degli azionisti, e si schiera con Perissinotto: “Come si fa ad affermare ciò – afferma confermando la fiduca ai vertici – quando la gestione 2012 è ampiamente positiva? Si confonde, come al solito, la gestione societaria con l’andamento borsistico del titolo, andamento che tutti sanno non dipendere dal management. Se così non fosse, si dovrebbero mandare a casa i vertici di quasi tutte le società quotate”.

Commenta