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Fugnoli (Kairos): la speculazione, fa il gioco della Merkel

COLLOQUIO CON ALESSANDRO FUGNOLI – Lo strategist di Kairos, intervenuto all’assemblea annuale dell’Aiaf (Associazione italiana degli analisti finanziari) avverte: “Attenti al dollaro e ai bond, che sono Borse laterali” – “L’affare sta nel mattone Usa, e per l’Italia il vero rischio sta nel deficit delle partite correnti” – Bond e azioni non fanno sfracelli.

Fugnoli (Kairos): la speculazione, fa il gioco della Merkel

La speculazione torna all’attacco: spread in risalita, Piazza Affari sotto tiro. Ma davvero dobbiamo vivere sotto la perenne minaccia della speculazione? “La speculazione è efficace solo se trova il terreno adatto. Un po’ come il piromane: l’incendio si sviluppa solo se ci sono le condizioni adatte, altrimenti il fuoco non attecchisce. Insomma, è un acceleratore, non la causa”. Comincia così l’intervista pubblica di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, il “piatto forte” dell’assemblea annuale degli analisti finanziari. “La speculazione non è un male in sé. Certe volte, come nel caso dell’Italia, ha funzionato. Almeno per ora”. In che senso? “E’ stata la signor Merkel a creare le condizioni adatte, il sottobosco ideale, perché la speculazione potesse attaccare l’Italia e così costringere il governo a mettere in atto i provvedimenti necessari. Finora la strategia ha pagato”. Grazie anche all’assistenza della Bce, precisa Fugnoli il provocatore.

D’altronde, la funzione di supplenza della banca centrale non è un’esclusiva europea. “Ben Bernanke è ben consapevole di doversi far carico del vuoto dei politici che in un anno elettorale trovano più conveniente litigare che agire: Obama ha interesse a caldeggiare interventi di spesa, i repubblicani ad agitare la bandiera dei tagli fiscali. C’è stato un buon compromesso grazie al lavoro della commissione bipartisan del Congresso promossa da Obama. Ma qual è stato il risultato? Obama ha messo l’accordo nel cassetto e ha presentato un budget espansivo, di carattere prelettorale. E i repubblicani hanno risposto con un piano antitetico”.

Come andrà a finire? “Arriverà un momento, dopo il voto, in cui si dovrà affrontare seriamente il problema ei tagli al budget. Nel frattempo la Fed continuerà a monetizzare i due terzi del deficit Usa applicando tecniche monetarie che un tempo erano prerogativa, aspramente criticata, dei Paesi del Terzo Mondo. Ora gli emergenti non usano più queste scorciatoie, Washington sì”. In termini di mercato? “ Difficile che i bond americani possano reggere sui livelli attuali. Possibile che le tensioni si scarichino sul dollaro. Intanto la Federal Reserve, pur divisa tra i repubblicani e democratici, entrerà in azione quando sarà più evidente il rallentamento dell’economia. Potrà trattarsi di una replica dell’operazione twist sui titoli a lungo o un’iniziativa sui titoli delle agenzie di mutuo”. E Wall Street? “Credo che sia esaurito il rialzo, si entra in una fase laterale. Si tratta di vedere se si eviterà la correzione estiva degli anni passati. L’anno scorso fu scatenata dal braccio di ferro sul budget”.

Passiamo alle cose di casa nostra. “La crisi europea sta cambiando forma. Si sta passando dalla crisi fiscale a quella della bilancia dei pagamenti”. Ovvero? “Dal punto di vista concettuale non è difficile affrontare una crisi fiscale. Si sa che un Paese può sopportare una correzione di rotta massima del 2,5% sul pil. Il guaio è che le economie del Mediterraneo patiscono una crescente perdita della competitività che è destinata a scaricarsi nel disavanzo delle partite correnti. In passato, il fenomeno veniva compensato dagli interventi delle banche francesi e tedesche sui titoli di Stato italiani e spagnoli. Oggi, però, la Germania ha imposto conti separati: ciascuno ripaghi i propri debiti”. La conseguenza? “Semplice: si deve risparmiare di più. E qualcuno, vedi il Portogallo, non ce la fa. In questo caso l’equilibrio vene recuperato con l’emigrazione, un fenomeno che torna a farsi sentire in Spagna e Portogallo, meno in Italia data la ricchezza delle famiglie. Il problema è che non emigrano solo le persone, ma anche le imprese”. 

Non è una bella prospettiva? “Infatti non lo è. Ci vorrebbe il coraggio di tentare strade nuove per recuperare terreno: quello che non è stato fatto nel campo dell’energia dove non solo si è detto no al nucleare, ma si è anche stoppato il rigassificatore di Brindisi. Il mondo sfrutta il gas ai prezzi minimi, noi dipendiamo dal petrolio.  E ci vorrebbe più flessibilità…” Che non vuol dire solo sacrifici. In Romania, ad esempio, gli stipendi degli insegnanti tre anni fa sono scesi del 25%, ma poi, dopo le ristrutturazioni, hanno recuperato del 20%”. Non è un esempio confortante… ”Mettiamola così: l’Italia non dispone più della flessibilità della svalutazione monetaria. Per recuperare competitività occorre recuperare grazie alla flessibilità garantita da una svalutazione interna, l’unica via che ci è consentita dalla Germania. Questo si traduce in un taglio degli stipendi. Cosa quasi impossibile in Europa occidentale”. E allora? “E allora, come già sta accadendo, le aziende si liberano dei lavoratori più cari e li sostituiscono a costi minori. Stiamo assistendo ad una deregulation tanto aggressiva quanto non contrattata”.

Viene fuori un quadro abbastanza triste per chi vuole investire. O no? “Sono scettico sui bond. Per quanto riguarda l’azionariato, non vedo sfracelli ma neanche la prospettiva di un rialzo secolare come quello prospettato da Oppenheimer di Goldman Sachs. Non sono buone le prospettive delle materie prime, salvo il petrolio che fa storia a sé. Di riflesso credo che Paesi come il Brasile siano destinati a rallentare. Sulla Cina e sulla Corea del Sud comincia a pensare il saldo demografico negativo. Le aree più dinamiche sono senz’altro l’Africa sub sahariana o paesi dalla natalità vivace come Turchia e Messico. C’è un’area di investimento più solida”. Quale? “Una parte dell’immobiliare Usa. I ricchi stanno cominciando a collezionare real estate in vista di una ripresa del mercato che, tempo 2-3 anni, potrebbe essere molto forte. In parte, i Reit (i real estate investment trust, simili ai fondi immobiliari) possono sfruttare lo stesso trend”.

Finisce qui l’incontro, occasione anche per una “tirata d’orecchie” alla categoria degli analisti. “Troppo spesso – commenta Fugnoli – noi analisti siamo influenzati dallo spirito del tempo. Siamo sempre pro-ciclici, mai controcorrente. Negli anni che hanno preceduto la crisi, la moda suggeriva di indebitarsi. Ricordo centinaia di studi societari in cui si contestava l’eccessiva liquidità di un’azienda e si suggeriva di amplificare la leva finanziaria di 2, 10, anche 20 volte. Oppure di restituire cash all’azionista. Ora il trend è opposto: il debito è comunque male, anche a fronte di piani di investimento ragionevoli. Tutti da una parte, tutti da un’altra”. Il risultato? “Tante volte abbiamo visto le società procedere a buy back ai valori massimi oppure lanciare aumenti di capitale quando le quotazioni erano ai minimi. Tutto in ossequio ad uno spirito del tempo sbagliato.”.

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