Il Governo francese di Elisabeth Borne si salva, ma per il rotto della cuffia. La mozione di sfiducia “transpartisan” presentata dal partito indipendente Liot, la più pericolosa in quanto votata da tutte le opposizioni al governo dopo la controversa riforma delle pensioni fortemente caldeggiata dal presidente Macron, si è fermata a 278 voti a favore. Nove in meno di quelli necessari per l’approvazione, ovvero 287, ma meno della metà di quelli che si pensava fosse il “margine di sicurezza” della maggioranza. Nessuna sorpresa invece per la seconda mozione di censura: quella del partito di estrema destra Rassemblement National di Marine Le Pen (con solo 94 voti a favore sui 287), che poco prima aveva dichiarato: “Borne deve dimettersi oppure il presidente deve rimuoverla dall’incarico”.
Francia, non passa la sfiducia al Governo: ecco cosa è successo
L’evento che ha condotto alla resa dei conti all’Assemblea nazionale è stato il ricorso all’articolo 49 comma 3 della Costituzione, lo strumento adottato dall’esecutivo per evitare un naufragio parlamentare che avrebbe messo la parola fine a una misura chiave per l’Eliseo (la riforma delle pensioni). Una decisione che ha scatenato un fine settimana di proteste, anche violente, in tutto il Paese.
“Il 49.3 non è l’invenzione di un dittatore” ha dichiarato la premier francese Borne, difendendo la scelta governativa nel dibattito che ha preceduto il voto. Grazie alla bocciatura della mozione di censura, la riforma delle pensioni è diventata legge.
La riforma delle pensioni è legge, ma l’ultima parola resta alla Corte Costituzionale
Ma tutto lascia pensare che la questione non finisce qui. Subito dopo il voto, i parlamentari dell’alleanza di sinistra Nupes hanno brandito cartelli con scritto “RIP” e “radunatevi nelle strade”. E intanto nella Capitale monta la protesta: alcuni cassonetti sono già in fiamme e si prevede che nei prossimi giorni la rabbia e la mobilitazione cresceranno, al di là della giornata di scioperi e manifestazioni dichiarata per giovedì 23 marzo.
Inoltre, i sindacati intendono proseguire le mobilitazioni piazza e scioperi fino al ritiro della stretta sulla previdenza. Inoltre, il leader sindacale riformista Laurent Berger, della CFDT, chiede solennemente a Macron di non promulgare la legge, congelando di fatto la riforma come fecero nel 2006 il presidente Jacques Chirac e il suo premier Dominique de Villepin con il contratto di primo impiego.
Altri, come Mathilde Panot presidente del gruppo Nupes-LFI all’Assemblea nazionale, si stanno attivando per organizzare un referendum di iniziativa popolare che abroghi la riforma. E poi c’è il ricorso al Consiglio costituzionale, presieduto dal socialista Laurent Fabius, che dovrà pronunciarsi entro un mese e potrebbe bocciare integralmente (eventualità remota) o in parte la riforma.
Cosa farà Macron?
Ma per la Borne e Macron non si tratta di una vittoria, visto che gran parte dei deputati gollisti (Republicains) ha votato a favore andando contro le indicazioni del presidente del partito, Eric Ciotti. Per non parlare del crollo verticale della fiducia nell’Eliseo. Secondo un sondaggio dell’emittente francese Bfmtv, due francesi su tre giudicano il ricorso di Macron all’articolo 49.3 come una “negazione della democrazia”. Una mossa che non è andata giù né all’opinione pubblica né alla maggioranza e ora Macron, che resterà all’Eliseo fino al 2027, dovrà trovare il modo per placare la contestazione popolare e per uscire da una profonda crisi politica. Per quanto riguarda la premier Borne, per ora resta in carica, ma lei stessa si considera “un fusibile” e Macron potrebbe decidere con ogni probabilità di sostituirla.