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Fabrizia Meroi, il suo Laite come una strada nel bosco

Innamorata delle sue montagne, dei suoi boschi, Fabrizia Meroi, chef del Laite di Sappada, una stella Michelin, ha portato ad alti traguardi la cucina del territorio seguendo il suo istinto creativo e la sua sensibilità. La Michelin l’ha eletta Chef donna dell’anno 2018.

Non so cosa ne pensiate voi, ma da una bambina che a 11 anni si impadronisce dei fornelli in famiglia e ti tira fuori un piatto di “Braciole di maiale al cognac, ananas e pancetta croccante”, che cosa ci si poteva aspettare che facesse da grande? La risposta la trovate andando a Sappada, un paese da cartolina incastonato nelle Dolomiti tra il Cadore e la Carnia al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, circondato da pascoli e boschi di conifere, cascatelle e laghetti alpini dove pullulano il gallo cedrone, il fagiano di monte, la pernice bianca, l’ermellino, la volpe rossa, la lepre alpina e lo scoiattolo. In questo paesaggio da favola c’è un ristorante ricavato da una vecchia costruzione in pietre e legno che risale al ‘600 che nel 1997 due giovani “belli e l’un dell’altro ardenti” ma soprattutto innamorati di quel territorio incontaminato che è un trionfo di natura, ricavarono un ristorante gourmet sul quale si posò una stella Michelin, il Laite.

Le cucine di quel ristorante sono il regno di Fabrizia Meroi, la bambina delle braciole che di strada professionale ne ha fatta tanta da allora, mentre la sala è territorio incontrastato del suo compagno di vita Roberto Brovedani, Sommelier dell’anno nel 2015 per la Guida “I Ristoranti d’Italia dell’Espresso. Già il nome del ristorante “Laite” è un biglietto da visita della cucina di Fabrizia Meroi, in sappadino con questo termine, derivato dal tedesco medievale parlato in Austria attorno all’anno Mille, si definiscono i prati ripidi attaccati alle rocce. E dunque questo ristorante parla la storia di queste terre, dei loro profumi, delle loro erbe. Non a caso Fabrizia per le erbe delle sue montagne ha più che una passione un vero e proprio culto. Passeggiare con lei nel bosco è una esperienza indimenticabile. Sa riconoscerne una a una più di cinquanta differenti specie di verdure e di tutte sa descriverti profumo, sapore e suggerirti possibile abbinamento in cucina.

“Non ho fatto corsi specifici – ha ammesso in una recente intervista – sono un’amatoriale. Ma sono innamorata delle erbe: in una piccola dimensione, in una fogliolina, c’è una forza straordinaria. Le amo tutte, ma il levistico, secondo me, è proprio la mia erba! Se lo conosci bene, puoi utilizzarlo al meglio per esaltare moltissime portate: antipasti, primi, carni, dolci…”.

La storia della sua professione in fin dei conti sembra seguire un po’ il ritmo di una passeggiata nel parco dove a mano a mano si fanno piccole scoperte, piccoli passi, con un andamento cadenzato dall’allegria degli elementi naturali che poi si combinano splendidamente nelle sue preparazioni.

Fu per caso infatti che, quando decise di trasferirsi dalla sua Cividale del Friuli per uno stage in un ristorante di Sappada, incontrò Roberto; fu per caso che i due desiderosi di costruirsi un percorso comune pensarono alla ristorazione, più che altro per mettersi alla prova trasferendo in tavola quello che vedevano guardandosi attorno nelle loro passeggiate.

“Ad un certo punto ci siamo detti – ricorda Fabrizia – che sarebbe stato bello aprire un piccolo ristorante dove Roberto si sarebbe occupato dell’accoglienza e del servizio vino/sala, e io della cucina. La ripartizione dei nostri ruoli è stata istintiva senza alcun timore, mi piaceva molto cucinare ma non ci avevo mai pensato prima che questa passione potesse diventare qualcosa di più concreto. La cosa bella è che nessuno dei due pensasse troppo al successo o al futuro, ma vivevamo con entusiasmo il presente cercando di migliorarci sempre”.

Certo quelle braciole cucinate a 11 anni un senso lo avevano. Ancora oggi se ne dichiara soddisfatta anche se non riscontrarono l’entusiasmo dei suoi parenti: “secondo me erano davvero molto interessanti, per i miei famigliari era un piatto buono ma ardito. Mio papà affermò che personalmente non era molto incline per i cibi troppo particolari”.

Così come un senso lo aveva l’effetto che le fece a 12 anni una cena gourmand con la sua famiglia, “presso un ristorante vicino a casa dove ho assaggiato diversi piatti, molto diversi da quelli della mamma (senza nulla togliere). Qualcuno di essi, piuttosto esotico e strano… mi ha stuzzicato vista, olfatto ma, soprattutto, la mente. Ricordo un brodo di tartaruga, una cappella di porcino ripiena, dell’ananas flambè”. Insomma una predestinazione era nell’aria anche se si sarebbe manifestata molto più tardi.

La curiosità, ecco, è una delle caratteristiche principali del suo carattere che si porta appresso dalle sue passioni giovanili di una ragazza un po’ timida e sognatrice. “Ho sempre amato gli animali – dice – e volevo essergli vicino, aiutare le persone, rendermi utile per farle stare meglio in qualunque forma o genere. Allo stesso tempo, mi attraeva molto la pittura, l’arte, l’estro dell’essere. Ho sempre voluto viaggiare, scoprire posti nuovi”. Tutto questo forse le derivava dalle sue origini cividalesi, una città che ha mutato nel tempo appartenenza e culture: veneta prima, napoleonica poi, quindi austroungarica, poi austriaca e finalmente italiana. Un passato che ti segna, che ti allarga la mente a cose nuove, ma che ti insegna anche a temperare scelte ed emozioni.

“In casa mia ci sono sempre state tante cose buone, anche se da piccola non avevo mai molto appetito. Grazie all’orto, al frutteto e agli animali da cortile a portata di mano, ho avuto l’opportunità di assaggiare e memorizzare i gusti e profumi, le consistenze di materie pure colte al momento giusto a km0, manipolate dalle sapienti mani della mamma, la quale cucinava soprattutto per diletto”.

Fu galeotto quindi l’incontro con Roberto nel 1987 se questi ricordi di sensazioni, di atmosfere, di percezioni presero forma e consistenza, tre anni dopo, nel loro primo ristorante aperto a Sappada: il “Keisn” un vocabolo sappadino un tempo d’uso comune, oggi pressoché sconosciuto alle giovani generazioni, un modo per sottolineare il legame forte con il territorio. Ed è questo il momento in cui dal cuore e dalla mente di Fabrizia, che ama definirsi “cuoca autodidatta” riaffiorano prepotentemente i ricordi della sua infanzia quando ha avuto due valide maestre, la mamma e la nonna materna, che a Cividale gestiva una rinomata osteria.

Da quel momento la vita di Fabrizia prende ben altro abbrivio che non le lente passeggiate fra i boschi dolomitici. La cucina è qualcosa che le permette di esprimere tre sentimenti che si porta dentro da sempre, la curiosità, l’estrosità, il coraggio.

Il piccolo Keisn, nato quasi sottovoce, come un figlio che ti viene a sorpresa piuttosto che a lungo desiderato, prende subito il volo. Piace alla gente addentrarsi nei percorsi culinari della chef che mettono in una luce effervescente e creativa le vecchie tradizioni gastronomiche della zona, e piace anche il fondamentale contributo di Roberto nel saperti assistere con grande familiare professionalità nel consigliare abbinamenti ragionati con una cantina che ha costruito bottiglia dopo bottiglia con pezzi unici.

L’autodidatta Fabrizia a questo punto comincia, da buona montanara a vedere la cima della montagna della ristorazione di qualità, e inizia a scalarla con determinazione facendo scelte oculate come è nel suo carattere. L’inizio è uno stage di 15gg da Enzo de Prà del ristorante Dolada di Belluno, “dove ho potuto vedere come si operasse in un ristorante vero e proprio”. Il passo successivo è uno stage da Gianfranco Vissani a Casa Vissani a Baschi , “molto utile per quanto riguarda l’assemblaggio degli ingredienti”. Poi è la volta del mitico Roma di Cosetti a Tolmezzo, stella Michelin, di cui Luigi Veronelli, scrisse: è «il cuoco più moderno che l’Italia abbia mai avuto, perché ha intuito primo fra tutti il valore assoluto delle sue erbe, dei suoi funghi, dei prodotti delle sue malghe». Da qui è passata per Sissy Sonnleiter a Mauthen, la raffinata casa di campagna frequentata da un pubblico esclusivo, da cui la chef austriaca stellata sviluppò la cosiddetta cucina alpino-adriatica. Mettiamoci ancora un paio di incontri internazionali presso Madrid Fusion il grande evento multiculturale dove si ritrovano chef di fama internazionale e nuove promesse provenienti da tutti i paesi e abbiamo così completato il percorso formativo di Fabrizia Meroi che nel frattempo è entrata a far parte del circuito dei Jeune Restauranteurs d’Europe, ha conquistato le Tre Forchette del Gambero Rosso, e ha ottenuto dalla Guida dei Ristoranti dell’Espresso l’ambitissimo voto di 18/20.

Finalmente nel 1997 il grande traguardo tanto atteso, la Stella Michelin.

Il vecchio Keisn va ora decisamente stretto al duo Meroi-Brovedani. Una suggestiva location di origine secentesca per una parte, non grande ma piena di fascino e di storia contadina, con un’immensa stube a riscaldare l’atmosfera, diventa il posto ideale per continuare la scalata e concentrarsi sempre più sulla qualità. E due anni dopo l’apertura del locale arriva nuovamente la stella Michelin. A colpo sicuro. Oramai Fabrizia Meroi siede alla tavola dei grandi Chef italiani, è una delle 44 Chef italiane a capo di ristoranti stellati. In tutto il mondo sono solo 141. La sua scalata prosegue senza sosta. Ancora un pugno di anni e Fabrizia Meroi riceve dalla Michelin – è storia recente, stiamo nel 2018 – il Premio Donna Chef Michelin dell’anno. Un bel risultato, non c’è che dire.

La motivazione è una bella medaglia che può appuntarsi in petto: “Gli anni di formazione in Friuli, Veneto e Carinzia hanno costruito la sua sapienza gastronomica. I sapori di queste terre e i prodotti di ogni loro stagione caratterizzano i suoi menù. Lavora con semplicità e precisione, regalando una suggestiva esperienza di gastronomia locale dal tocco femminile deciso sia nei sapori sia negli accostamenti. Un’esperienza che ha conquistato gli ispettori come chiunque si sieda alla sua tavola”.

In ristorante o cogliendo erbe odorose, sola nella neve o in un attimo di serenità familiare: è dal vissuto quotidiano che Fabrizia trova ispirazione per immaginare, creare, perfezionare i suoi piatti. Alle radici della sua cucina ci sono profumi, colori, sapori e sensazioni legate al territorio e alle stagioni, accostati e reinterpretati da una sensibilità istintiva, affinata in oltre trent’anni di attività, di studio e di ricerca.

“Le stagioni dettano i nostri menu”, dice Fabrizia. Per la Sappada del turismo un tempo erano due, quella estiva e quella invernale. Al Laite trionfano tutte e quattro, ciascuna con i suoi prodotti, i suoi profumi, i suoi sapori. Quando Sappada veste la livrea autunnale, nel menu del Laite ritornano i funghi, la selvaggina, le castagne…

E ogni profumo, ogni sapore, ogni ingrediente si devono sentire nei suoi piatti, sapori dimenticati, a volte, che poi all’improvviso prendono il volo in composizioni dove ogni contrasto iniziale si stempera in un equilibrio delicato. Come accade nel suo Merluzzo, finocchio, latte “un pensiero diverso che rappresenta il nutrimento primario in diverse forme e consistenze” nel suo Tortello all’uovo che è una vera e propria esplosione di dolcezza e sapidità o nel Cervo fondente, tuberi e radici “massima espressione del mio territorio, ricrea una passeggiata nel bosco”.

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