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Export: le occasioni che l’Italia non può perdere in un mondo che cambia. Parla Alessandra Lanza di Prometeia

La Cina sta tornando a giocare un ruolo importante nello scacchiere commerciale mondiale. In modo diverso però rispetto a quando nel 2001 è entrata nel Wto. Che ruolo ha ora l’Italia in mezzo ai giganti ? Parla Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia

Export: le occasioni che l’Italia non può perdere in un mondo che cambia. Parla Alessandra Lanza di Prometeia

L’Italia ha buone chance di giocare un ruolo di tutto rispetto nello scacchiere economico internazionale. La Cina sta tornando dopo la chiusura per il lockdown, ma con un approccio molto diverso rispetto a 20 anni fa, quando aveva fatto il suo ingresso nel Wto. L’Italia sarà in grado, come allora, di far leva sulla sua alta competenza in ambito manifatturiero? Si, ma stavolta avrà bisogno di sostegni, di una visione europea e integrata, senza farsi sfuggire nessuna occasione.

Sono passati più di vent’anni da quando l’ingresso della Cina nel Wto ha creato disorientamento nell’economia italiana e ha fatto registrare non poche perdite produttive. “Tuttavia gli imprenditori italiani hanno reagito molto bene e sono riusciti a riposizionare tutte le produzioni su beni ad alto valore aggiunto” – dice Alessandra Lanza, senior Partner della società bolognese di consulenza e ricerca economica Prometeia. “Abbiamo dimostrato di essere un Paese in grado di competere bene nel mondo da un punto di vista produttivo”. Tant’è che oggi, come è stato illustrato nel Rapporto sull’analisi dei settori industriali presentato nei giorni scorsi dalla stessa Prometeia insieme all’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo, la metà della produzione italiana viene esportata.

Non è più la Cina del 2001. Ora è un competitor più temibile

Era una Cina diversa quella del 2001. A quei tempi era considerata la fabbrica del mondo e si collocava su una produzione a tecnologia medio/bassa. “L’Italia ha fatto la sua parte grazie a una grande competenza soprattutto nella manifattura. E infatti siamo il secondo paese in Europa per questo settore” dice Lanza. ”Oggi il quadro è diverso e forse solo ora lo vediamo in modo plastico. La Cina ha investito moltissimo, con consistenti risorse Statali, in education e in tecnologia. Ora è un competitor molto più temibile e si colloca su livelli medio-alti. Sempre con gli aiuti di stato ha fatto scelte di posizionamento globale sul fronte delle materie prime.
Già da 10-15 anni ha puntato sulle materie prime dell’Africa: in cambio di investimenti importanti in infrastrutture e nello sviluppo di quel paese, si è garantita l’accesso a quelle materie, diventate strategiche nella rivoluzione digitale e green. E ora è la Cina a sfornare un gran numero di brevetti nel settore green, proprio quello per cui l’Europa si era assunta il ruolo di paladina della conversione ecologica.

I nuovi assetti commerciali: si rafforza l’asse Cina-Russia

E poi ci sono nuovi rapporti commerciali che stanno trovando nuovi assetti in conseguenza della guerra russo-ucraina e le conseguenti sanzioni. C’è stato un rafforzamento dell’asse Cina-Russia nei rapporti commerciali con una crescita significativa del loro interscambio”. “E’ un riposizionamento geopolitico e strategico che ci deve preoccupare. Soprattutto perché l’Europa, che da una parte ha deciso di combattere la battaglia del cambiamento climatico, dall’altra risulta essere il continente meno pronto ad affrontare tale sfida”. Ora il Vecchio Continente si sta rendendo conto dell’importanza di avere un’indipendenza strategica. “Il RepowerEu è lo strumento chiave in questo ambito, sia per la ricerca delle fonti, sia per l’autoproduzione. Tuttavia l’Europa parte in ritardo.”

L’Italia sta facendo bene la sua parte

L’Italia sta facendo bene la sua parte, come dimostrano per esempio l’aumento dei brevetti green emessi, e anche il suo posizionamento in termini di costi per raggiungere il net-zero. Le nostre imprese sono strutturate meglio dei competitor. Ma essere piccoli in un mondo di giganti, come Usa, Cina e India, deve far riflettere sul fatto che occorre una dimensione europea per riuscire a stare nello scacchiere mondiale. Ci si domanda, che cosa può fare l’Italia in questo contesto. “Difficile pensare che il nostro paese possa diventare un leader nello sviluppo tecnologico. Invece certamente l’Italia ha dimostrato di essere molto brava a utilizzare le nuove tecnologie per mantenere un posizionamento competitivo. Considerato anche il fatto che diventeremo un paese sempre più piccolo, viste le previsioni di calo demografico, possiamo ambire a consolidare il ruolo in cui abbiamo sempre brillato: di paese trasformatore di manifattura facendo leva sulle nostre competenze”.Vent’anni fa le nostre imprese sono state in grado di cavarsela da sole, ma oggi non è più possibile. Che cosa serve? Serve investire soprattutto in education e nella managerialità che deve essere all’altezza non solo di sviluppare nuove tecnologie, ma anche di saper scegliere quella più opportuna al business, in un settore che si rinnova alla velocità della luce.

Il Giappone ha scelto di saltare un’onda

A meno di non fare come il Giappone: un paese, con le stesse nostre caratteristiche demografiche, che ha fatto scelte estremamente coraggiose. Resosi conto che l’onda di sviluppo tecnologico, che ai tempi della rivoluzione industriale durava circa 60 anni, si è ora ridotta a 3 anni ha preferito, invece di rincorrere gli aggiornamenti, saltare a piè pari un’intera onda e puntare direttamente sull’Intelligenza artificiale e sui big data. “Nonostante siano due paesi molto simili demograficamente, il Giappone però si differenzia per aver puntato su R&S e in innovazione arrivando a investire il doppio rispetto a noi in proporzione al Pil”.

Le imprese italiane non possono essere lasciate da sole

Non si può pensare di lasciare le imprese da sole, soprattutto se, come da noi, più del 90% è rappresentato da piccole e medie imprese. “Noi abbiamo due opzioni: o adottiamo dall’estero la tecnologia, oppure possiamo dare un contributo domestico, ma solo se c’è una visione d’insieme integrata.
Proprio in questo quadro si muovono i programmi e la visione del “Pnrr che dovrebbe essere l’occasione per fare il salto di qualità e posizionare l’Italia nella nuova arena globale, se non con la creazione di nuova tecnologia, almeno con l’adozione massiccia di nuova tecnologia. L’Italia può giocare un ruolo significativo. Ma non può permettersi di perdere nessun treno”.

L’analisi dei bilanci internazionali conferma un significativo processo di convergenza tra l’industria italiana e i competitor europei di Germania, Francia e Spagna, in termini di rafforzamento della redditività, della patrimonializzazione e degli equilibri finanziari.

Nel 2023 l’export italiano crescerà del 2,4%, con miglioramento anche dell’avanzo commerciale

Per quest’anno, in un contesto mondiale in rallentamento, ci aspettiamo che anche l’Italia segni leggermente il passo nell’export, mantenendo però quella quota del 50% sulla produzione totale in termini di valore. Nel 2024 si vedrà un miglioramento anche se meno brillante del 2022. “Le esportazioni si riconfermeranno in crescita nel 2023, del 2,4% a prezzi costanti per il complesso del manifatturiero, nonostante una domanda mondiale in netto rallentamento. Tale risultato riflette i processi di rafforzamento competitivo attuati dalle imprese italiane nell’ultimo decennio, che consentiranno alle vendite estere di manufatti di superare, per la prima volta, la soglia del 50% sul totale del fatturato. In miglioramento anche l’avanzo commerciale, nonostante un import che si manterrà su livelli elevati, soprattutto nei settori energy intensive (Intermedi chimici, Metallurgia, dove le imprese continueranno ad approvvigionarsi da siti produttivi più competitivi sul fronte del costo dell’energia), e nei settori produttori di componenti chiave per la transizione ambientale ed energetica. Nel campo delle batterie, ad esempio, l’Italia sconta un grave deficit con l’estero, che ha raggiunto i 2,5 miliardi di euro nel 2022” dice il rapporto sull’Analisi dei settori industriali.

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