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Ex Ilva, Meloni, Confindustria, economia e guerre: intervista a Fabio Storchi, pioniere della meccatronica

Parla l’imprenditore emiliano, ex presidente di Federmeccanica: su Taranto l’auspicio che “il governo trovi un gruppo di imprenditori, possibilmente italiani, disposti a risollevare le sorti dell’azienda”. Stabilità politica del governo: “La premier? Lasciamola lavorare così poi la valutiamo”. Confindustria? “Saprà esprimere un Presidente all’altezza”

Ex Ilva, Meloni, Confindustria, economia e guerre: intervista a Fabio Storchi, pioniere della meccatronica

Presidente di Federmeccanica negli anni in cui alla guida di Palazzo Chigi si sono avvicendati, non senza turbolenze, Enrico Letta e Matteo Renzi (più uno scampolo di Paolo Gentiloni prima dell’avvento dei gialloverdi), oggi sulle mosse e sulla stabilità politica di una premier di destra Fabio Storchi dice: “Giorgia Meloni? Lasciamola lavorare, così poi possiamo valutarne l’operato”. Con Maurizio Landini alla guida della Fiom – stesse salde radici emiliane ma, nei ruoli, l’uno controparte dell’altro – e assieme a Fim e Uilm arrivò a firmare il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici: era il novembre del 2016, negli Stati Uniti Donald Trump aveva appena trionfato su Hillary Clinton.

Imprenditore, sostenitore della tipicità gastronomica italiana (sua la storica Villa Manfredini a Reggiolo che per anni, prima del terremoto del 2012, ha ospitato la locanda Il Rigoletto) ma, soprattutto, pioniere della meccatronica (il presidente Sergio Mattarella lo ha insignito del Cavalierato), sullo stato di salute dell’industria italiana Storchi sottolinea: “Segnali incoraggianti provengono dalle esportazioni, che hanno un buon andamento nonostante la debolezza della domanda interna di due dei principali mercati di sbocco per l’Italia, vale a dire Germania e Francia”. E sui destini dell’ex Ilva: “Il governo individui al più presto un gruppo di imprenditori, possibilmente italiani, disposti a risollevarne le sorti”.

Storchi, secondo Banca d’Italia siamo in una fase di rallentamento ciclico: l’Italia cresce in maniera “stentata” e per quest’anno si prevede un rialzo del Pil inferiore all’1 per cento. Per di più, l’Europa è in una fase di debolezza cronica. Lei che umori percepisce?

“Il finale 2023 è stato fiacco per gli ordinativi e la situazione ad inizio anno permane difficile, proprio per la diminuzione degli ordini e l’elevato costo del denaro. Le previsioni, per ora, consigliano prudenza”.

I tassi d’interesse bancari sono ancora alti e scoraggiano gli investimenti. Previsioni fosche?

“Auspichiamo che i tassi comincino a scendere a primavera, dopo che sono state smentite le aspettative per un calo già ad inizio anno. Alcune previsioni danno un primo possibile taglio già a marzo, ma è più verosimile che si arrivi a giugno, se non addirittura al secondo semestre. A dare avvio alla riduzione dei tassi dovrebbe essere la Fed”.  

Cina e Germania si ritrovano a essere gemelle nella crisi (con la Cina che nel 2023 ha registrato la crescita più debole degli ultimi trent’anni). Negli Usa, dove terranno banco le elezioni presidenziali di novembre, per il 2024 si prevede un soft landing. Quali ripercussioni di tutto ciò sulle nostre imprese?    

“L’industria italiana affronta questa congiuntura avendo dimostrato resilienza di fronte al calo significativo del commercio mondiale e agli effetti dell’inflazione al suo apice, restando competitiva per la continua innovazione dei processi, dei prodotti e anche dei mercati. Mantenere il livello di performance degli ultimi anni non sarà certo facile, perché lo scenario internazionale vede aumentare i conflitti e le guerre che interessano anche territori come il vicino Medio Oriente. Proprio in questo quadrante gli attacchi alle navi nel Mar Rosso ha fatto schizzare alle stelle i costi di trasporto, più che raddoppiati in pochi giorni”.

Appunto. Come se ne esce?

“L’industria italiana ha le risorse per attraversare anche questa contingenza. Alcuni segnali incoraggianti provengono dalle esportazioni, che hanno un buon andamento nonostante la debolezza della domanda interna di due dei principali mercati di sbocco per l’Italia, come la Germania e la Francia”.  

Finisce l’era Bonomi e nel 2024 Confindustria è alla ricerca dell’uomo forte. Tra i candidati, tre vicepresidenti e due new entry. Di cosa, e di chi, secondo lei ha bisogno Confindustria oggi?

“Il mio ruolo – sono nei probiviri – mi impedisce di rispondere nel merito ma mi auguro e sono sicuro che Confindustria saprà esprimere una presidenza all’altezza della situazione”.

Immigrazione, la Germania ha stretto un accordo con il Kenya per gestire la carenza di personale e utilizzare i flussi migratori. Cosa ne pensa, può essere un modello da seguire anche in Italia?

“Certamente. Da tempo sottolineiamo la necessità di aprire a un’immigrazione controllata e mirata alle esigenze dell’economia nazionale, proprio richiamando l’esempio della Germania: in Emilia Romagna, per esempio, è evidente l’emergenza legata alla mancanza di manodopera. Se non si trovano soluzioni, sono a rischio il settore turistico così come diverse altre attività come la raccolta dei pomodori. Occorre trovare un punto di convergenza tra la necessità di migrare delle persone e il fabbisogno di lavoratori della nostra economia. Assicurare un flusso programmato di persone corrispondente alle esigenze dei diversi comparti produttivi significa anche garantire regolarità e tracciabilità di rapporti di lavoro, togliendo così ossigeno a fenomeni di irregolarità”.

Ex Ilva, quale soluzione sarebbe auspicabile? La strada dell’amministrazione straordinaria con il commissariamento della società  è quella giusta?

“La decisione del governo di chiedere l’ammissione della società  alla procedura di amministrazione straordinaria significa la volontà di salvare gli impianti di Acciaierie d’Italia e di andare verso il divorzio da ArcelorMittal.  Di certo, la produzione di acciaio è un asset strategico per il Paese, è una commodity di cui non si può fare a meno e oggi l’Italia ne importa già 6 milioni di tonnellate l’anno. Ogni azione del governo tesa a salvare la siderurgia italiana non può che essere guardata positivamente. L’auspicio è che il governo individui al più presto un imprenditore e/o un gruppo di imprenditori, possibilmente italiani, disposti a risollevare le sorti dell’ex Ilva”.

Tempo fa lei definì Berlusconi “un genio – nell’imprenditoria come nella politica – e un grande incantatore. Un uomo che a volte ha superato le misure, andando a sbattere”. Di Giorgia Meloni cosa direbbe? 

“Giorgia Meloni ha costruito la sua leadership nel corso di una ormai lunga carriera politica, formandosi in posizioni di opposizione e di governo, fino ad essere la prima donna a capo dell’esecutivo italiano. I numeri che l’hanno portata in quel ruolo esprimono oggettivamente una potenziale stabilità di legislatura, stabilità necessaria per introdurre nel nostro Paese le riforme  da lungo attese”.

Quindi?

“Lasciamola lavorare, per poter poi valutarne l’operato”.

Da presidente di Ucid Reggio Emilia (Unione cristiana imprenditori dirigenti), lei oggi si dice “missionario” dell’economia civile: che vuol dire? Quali sono i valori dell’economia civile?

“È un’economia di mercato che non disdegna il profitto ma lo rende giusto, fondandosi su valori come fraternità, reciprocità e solidarietà. Una dimensione di Nuova Economia dove l’Imprenditore, oltre a perseguire il profitto, indice di solidità e di stabilità aziendale, ha una responsabilità sociale nei confronti della crescita e dello sviluppo della comunità in cui opera, così come il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia del creato. Una Nuova Economia in cui il mercato è pensato come luogo di mutuo vantaggio, la società come luogo di fioritura umana, che ha come fine la promozione della felicità pubblica”.

Da padre della meccatronica, con che occhi guarda all’Intelligenza artificiale?

“È importante averne la conoscenza per utilizzarla bene e al meglio delle sue potenzialità. In ambito industriale potrà migliorare la qualità del lavoro, dando la possibilità di essere più produttivi e creativi. Dovrà esserci un impegno collettivo affinché i benefici di questo sviluppo tecnologico arrivino a tutti, non siano disponibili soltanto per pochi o lascino indietro una parte dei lavoratori e della comunità. Come gli esperti e gli operatori concordano è tempo di stabilire le regole per governare questa nuova tecnologia, per evitarne un uso distorto e far sì che l’AI sia indirizzata verso il bene comune”.

Ma l’Emilia-Romagna è ancora la locomotiva del capitalismo italiano?

“Di certo è una delle locomotive e mi auguro che lo sia anche nei prossimi anni”.

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