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Eni, l’Egitto e il grande progetto del gas: ecco dove punta Descalzi

Dopo la scoperta del giacimento giant di Tohr, l’amministratore delegato dell’Eni ha intensificato i suoi viaggi: Cipro, Cairo, Bruxelles – Un turbine di incontri per gettare le basi di un piano strategico che trasformi il Mediterraneo orientale, con Israele, in un grande hub che porti il gas in Europa e tolga spazio alla Russia – I benefici e le incognite

Eni, l’Egitto e il grande progetto del gas: ecco dove punta Descalzi

Ha viaggiato molto Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni, nelle ultime due settimane. Cipro, Bruxelles, Egitto. Non poteva fare diversamente dopo aver annunciato, il 30 agosto, che Eni ha scoperto il più grande giacimento di gas mai individuato nel Mediterraneo. Parliamo di Zohr, il campo giant con un nome da divinità antica, 850 miliardi di metri cubi stimati a 1.450 metri sott’acqua. Al suo cospetto il giacimento israeliano Leviatano, che pure non scherza, e il cipriota Afrodite, passano in secondo piano.

  E’ una di quelle notizie che ogni major dell’oil&gas vorrebbe dare; di quelle che capitano, se capitano, una volta nella vita. E così Descalzi ha visto presidenti (di Cipro), parlamenti (europeo a Bruxelles e italiano a Roma), istituzioni. Con un’idea in testa che è anche una sfida a tutti i rischi geopolitici della zona, una delle più turbolente del mondo: fare proprio di quel tratto di mare di fronte all’Egitto un grande hub del gas in grado di rifornire l’Europa sfruttando il potenziale di metano e di impianti di rigassificazione dell’area, oggi sottoutilizzati o fermi. Un Hub che tolga un po’ di spazio alla Russia verso la quale siamo molto esposti per il nostro import. Che poi questo possa avvenire direttamente tramite Eni e i propri asset a Damietta (come evidentemente auspica Descalzi), con joint ventures locali o veda solo il Cane a Sei Zampe in un ruolo di mediatore perché il piano si realizzi, è presto per dirlo. Il fatto certo è che se il gruppo italiano riuscisse a realizzare il progetto, l’influenza dell’Eni, e dell’Italia, nell’area si rafforzerebbe in modo esponenziale anche perché, se appena la situazione in Libia desse segnali di miglioramento, anche il potenziale libico entrerebbe in gioco e sarebbe ancora Eni a garantire il collegamento.

I PUNTI DI FORZA

Perché le ambizioni dell’Eni si realizzino, molti tasselli dovranno trovare il loro posto. E stiamo parlando di direttrici di lungo termine, non c’è dubbio. Intanto però Descalzi giovedì 10 settembre è volato a Cipro dove ha incontrato il presidente della Repubblica Nicos Anastasiades. Perché Cipro è così importante? Perché il gas egiziano, qualora l’Egitto decidesse di esportarne almeno una parte considerato che la maggioranza la terrà per sé, potrebbe arrivare a Cipro e lì utilizzare gli impianti di liquefazione del gas attualmente in fermo e le navi metaniere per il trasporto in Italia e Spagna. Qui sarebbe poi rigassificato e venduto. L’altra via sarebbe quella di portare il gas dall’Egitto in Israele utilizzando l’attuale gasdotto in reverse flow. In ogni caso, l’enorme potenziale dell’area consentirebbe di ridare vita agli impianti attualmente sottoutilizzati o dormienti in tutti e tre i Paesi del Mediterraneo orientale prima di pensare a nuove infrastrutture (gasdotti). “Siamo in un momento embrionale – ha precisato Claudio Descalzi il 15 settembre di fronte al parlamento di Bruxelles – e quindi usiamo le infrastrutture esistenti dando la possibilità a Cipro e Israele di riavviarle senza grossi investimenti”. 

I NODI DA SCIOGLIERE

Tutta l’area è geopoliticamente complicata. Sia Israele che Cipro dovrebbero accelerare i tempi e avviare la produzione dei proprio giacimenti. Nel primo caso, per Tamar e Leviatano dopo un lungo periodo di esplorazione occorrerebbe passare a produrre. Nel secondo caso, invece, Afrodite è ancora ad uno stadio iniziale e il governo cipriota deve trovare un gruppo petrolifero che si accolli buona parte dei costi. Inoltre, la Turchia da anni è in conflitto con Cipro e blocca ogni tentativo di esportazione del gas cipriota: la disputa riguarda proprio la condivisione dei profitti sugli idrocarburi (i giacimenti sono in mare e ognuno dei due contendenti ne rivendica la proprietà) e il veto turco è una delle incognite da risolvere. 

Infine, l’Europa. Anche qui ci sono molte cose da fare ed è per questo che l’amministratore delegato dell’Eni è appena andato a Bruxelles. Innanzitutto, “la Ue non è connessa” ha detto Descalzi intervenendo al parlamento europeo.  Anzi, “la Ue è tagliata in due”, le direttrici dei gasdotti sono da Nord a Sud e da Est a Ovest. Spagna e Italia non sono interconnesse tra loro e hanno grandi capacità inutilizzate (l’Italia da sola può ricevere fino a 100 miliardi di metri cubi ma ne usa oggi 60-65 miliardi l’anno). “Il gas non può andare da Sud a Nord perché non c’è reverse flow”, ha precisato ancora Descalzi. “Non possiamo pensare di connettere l’Africa se non connettiamo l’Europa”. Il messaggio è chiaro e lo ha ribadito, mercoledì 16, all’eurocommissario Miguel Arias Canete, in visita a Roma, trovandolo ben disposto. Infine una considerazione arrovella Descalzi: l’Europa spende 73 miliardi l’anno per promuovere le fonti rinnovabili ma poi aumenta dell’8% l’uso del carbone, i cui prezzi sono crollati. Il gas invece è più caro ma inquina meno. Insomma, il potenziale c’è ma bisogna creare le condizioni perché l’export di gas egiziano si trasformi in una risorsa disponibile per l’Europa. Ci vorrà tempo ma Descalzi sembra determinato a fare di tutto per riuscirci.

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