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Energia, l’industria punta 96 miliardi sulle infrastrutture italiane

A tanto ammonta la cifra che le aziende investiranno nel nostro Paese entro il 2030, secondo il progetto presentato da Confindustria Energia – Atteso un impatto sul Pil dallo 0,3% del 2018 allo 0,9% del 2030 – Ferraris (Terna): “Le rinnovabili dovranno crescere di 40mila megawatt” – Alverà (Snam): “Il gas è la strada più economica per sostituire il carbone”

Energia, l’industria punta 96 miliardi sulle infrastrutture italiane

In Italia, fra il 2018 e il 2030, le imprese energetiche investiranno circa 96 miliardi di euro per lo sviluppo, la manutenzione o il rinnovamento delle infrastrutture energetiche primarie. Di questa somma, la quota più rilevante sarà destinata alle rinnovabili elettriche (29,2 miliardi). Seguiranno, nell’ordine, gli investimenti per rete elettrica (14,1 miliardi), rete gas (12,5 miliardi), raffinazione e bioidrocarburi (10,9 miliardi), produzione di idrocarburi (10,9 miliardi), biometano (8 miliardi), accumuli elettrici (4,3 miliardi), stoccaggi di gas Gnl e Gpl (3,9 miliardi) e generazione di T-Gas (2,3 miliardi). I dati sono contenuti nello studio “Infrastrutture energetiche, ambiente e territorio” realizzato da Confindustria Energia e presentato martedì a Roma.

Confindustria Energia raggruppa tutte le associazioni più importanti del settore (Assomineraria, Elettricità Futura, Anev, Unione Petrolifera e via dicendo) ed è un segnale che abbia voluto presentare il suo progetto, chiamando sul podio le sue industrie più importanti come Snam e Terna, alla presenza del ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona. È un segnale perché indica la volontà di mobilitare al massimo le proprie aziende impegnate con piani di investimento di quasi cento miliardi e in grado di triplicare, nel periodo, il ritorno per la collettività. Scommessa non facile in un settore che si scontra spesso con le resistenze delle amministrazioni locali e proprio mentre, in Parlamento, il Movimento 5 Stelle sta lavorando per bloccare – con il cosiddetto emendamento anti-trivelle da inserire nel decreto Semplificazioni – la ricerca di idrocarburi dopo le ultime autorizzazioni concesse nel Mar Ionio. La scommessa comunque ha dalla sua un alleato importante: la Cdp, rappresentata al convegno di Roma da Luca D’Agnese, capo della direzione Infrastrutture della Cassa. Ma vediamo in dettaglio il progetto presentato da Confindustria Energia.

Investimenti in infrastrutture energetiche

“L’onere degli investimenti sarà sostenuto da operatori di mercato, regolato e non – si legge nell’analisi – senza alcun effetto sul debito pubblico nazionale”. Sul Pil, invece, è atteso “un impatto addizionale progressivamente crescente dallo 0,3% nel 2018 allo 0,9% nel 2030, al netto della fiscalità indiretta, royalties e canoni concessori”. Il valore aggiunto totale è calcolato in 305 miliardi, di cui 142 prima e 263 dopo il 2030. Quanto alle conseguenze sull’occupazione, lo studio parla di 140mila unità lavorative annue in più fra il 2018 e il 2030 e di altre 35mila dopo il 2030.

Valore aggiunto annuo e occupazione sostenuta

IL MIX ENERGETICO ITALIANO

Il programma di investimenti si inquadra nella trasformazione in atto del mix energetico italiano. Al momento, il nostro Paese è in linea con gli obiettivi Ue 20-20-20, la strategia europea che, entro la fine dell’anno prossimo, dovrebbe portare l’Unione a ridurre del 20% rispetto al 1990 le emissioni di CO2, a soddisfare il 20% del fabbisogno energetico con le rinnovabili e a ridurre del 20% i consumi, aumentando l’efficienza.

Nel 2017, in Italia, il 36% dell’energia proveniva dal gas naturale, il 34% dal petrolio e il 19% da fonti rinnovabili. La quota di energia importata era però del 76%, un livello molto più alto rispetto al 58% della media Ue.

LA CRESCITA DELLE RINNOVABILI

Nel suo intervento alla presentazione dello studio, l’amministratore delegato di Terna, Luigi Ferraris, ha fatto notare che nel decennio 2008-2018 la capacità installata eolica è cresciuta in Italia da 3,5 a 10,1 GW, mentre quella relativa al fotovoltaico è salita addirittura da 0,4 a 20,1 GW. Il problema è che, al tempo stesso, il margine di riserva, cioè la capacità di generazione eccedente la domanda di potenza, è scesa dal 25% del 2013-2014 fino al 7% del 2017-2018, dopo aver toccato un minimo del 5% nel 2016 (un margine considerato sicuro è al disopra del 7% del picco dei consumi).

“La strategia italiana punta a raggiungere il 30% di energia prodotta da rinnovabili entro il 2030 – ha detto Ferraris – Ciò comporta, nel periodo, una crescita della capacità istallata di generazione di energia rinnovabile di 40mila megawatt”.

MENO CARBONE, PIÙ GAS

Quanto al carbone, l’obiettivo dell’Italia è abbandonarlo entro il 2025. “Per ridurre le emissioni di CO2, il gas è il modo più economico – ha sottolineato Marco Alverà, Ad di Snam – Riconvertire una centrale da carbone a gas è la scelta meno costosa, anche se questo non vuol dire che non vadano percorse le altre strade per la decarbonizzazione”.

I consumi italiani di gas sono tornati a crescere negli ultimi anni, ma sono anche sempre più dipendenti dalle importazioni. Nel 2017 in Italia si sono consumati quasi 74,7 miliardi di metri cubi di gas (4,3 miliardi in più rispetto al 2016), di cui 69 sono stati importati (+4 su anno). Sono aumentati i flussi in arrivo dalla Russia (+6,5%), che con 30 miliardi di metri cubi è di gran lunga il nostro primo fornitore. Seguono l’Algeria (18,8 miliardi, stabile su anno dopo il +160% registrato nel 2016) e l’accoppiata Norvegia-Olanda, da dove il gas arriva in Italia via Transitgas (+7,8%, a 7,2 miliardi). Calano invece i metri cubi di gas provenienti dalla Libia (-3,5%, a 4,6 miliardi).

“La crescita demografica – spiega Alverà – spinge i Paesi nordafricani a consumare sempre più gas, riducendo progressivamente la quota destinata alle esportazioni”.

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