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Ecobonus? Meglio i certificati bianchi

Secondo il Rapporto CESEF 2019 di Agici Finanza d’Impresa, il potenziale di efficientamento energetico del settore industriale è in Italia sottovalutato, a vantaggio dei bonus abitativi – Ma sui costi per lo Stato, in proporzione ai risultati, non ci sarebbe paragone…

Ecobonus? Meglio i certificati bianchi

A parità di risparmio energetico ottenuto, incentivare l’efficienza energetica nell’industria costa molto meno che puntando soprattutto – come si tende a fare oggi – sull’edilizia residenziale. A rilevarlo è il Rapporto CESEF 2019 di Agici Finanza d’Impresa, che quantifica in 82,5 miliardi il costo degli ecobonus abitativi, che gli ultimi orientamenti di policy sembrano privilegiare, contro i 6,8 miliardi per i certificati bianchi, a parità di risultato ottenibile.

“Le istituzioni – ha spiegato Stefano Clerici del CESEF – per raggiungere gli obiettivi al 2030 di decarbonizzazione indicati dal Piano Nazionale Energia e Clima (Pniec), hanno introdotto nuove misure e riorientato le risorse dall’industria al residenziale. Per quanto riguarda i certificati bianchi, sono a oggi la misura che risulta più penalizzata dalla nuova pianificazione al 2030: una scelta non giustificata dai risultati ottenibili”.

Prevale dunque la convinzione che il settore edilizio celi un grande potenziale di efficienza energetica ancora inespresso, mentre nell’industria rimanga poco margine di efficientamento. Ma secondo il CESEF non è così e i potenziali di efficientamento energetico restano elevati in tutti i settori: industria, residenziale, trasporti e pubblica amministrazione. E soprattutto i relativi costi per lo Stato non sono paragonabili.

Esaminando infatti gli impatti di misure e investimenti previsti dal Pniec, i certificati bianchi nell’industria generano risparmi per 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), investimenti per 13,7 miliardi di euro con un costo per lo Stato di 6,83 miliardi, mentre l’ecobonus ristrutturazioni, a fronte di investimenti per 82,5 miliardi, genera un risparmio di 18 Mtep e costa allo Stato 45 miliardi.

In altre parole, per risparmiare una tonnellata equivalente di petrolio lo Stato incentiva con 455 euro i certificati bianchi e con 2.500 euro le ristrutturazioni edilizie. Risulta quindi che i TEE hanno un costo-efficacia (€/tep) decisamente più favorevole. Per raggiungere i nuovi obiettivi indicati dal Pniec, le misure di incentivo fiscale nel settore residenziale dovranno dunque generare il 35% dei risparmi energetici al 2030, confermando la tendenza di crescita a cui si assiste fin dal 2015, mentre è prevista la progressiva riduzione della quota di risparmi da ottenere con i TEE: dal 63% nella prima formulazione del 2014 al solo 29% nel Pniec.

Questo slittamento verso le misure fiscali per la riqualificazione si traduce necessariamente in uno spostamento delle risorse pubbliche e del focus degli operatori dall’industria al residenziale. E le modifiche normative introdotte con la legge di Bilancio 2018 per le detrazioni mostrano già i primi effetti: questo incentivo ha infatti superato per la prima volta i TEE in termini di risparmi generati arrivando a 1,58 Mtep nel 2018.

Si sta quindi assistendo una sorta di competizione per le risorse pubbliche tra settore industriale e settore residenziale. Le misure, che dovrebbero essere complementari e favorire uno sviluppo organico delle filiere in ogni settore, rischiano di creare squilibri nel mercato. Molti operatori si stanno dotando delle competenze necessarie per intervenire nel settore residenziale, sfruttando le novità normative.

Altri, soprattutto le società di servizi energetici (ESCo, le Energy Service Company), in grado di fornire tutti i servizi tecnici, commerciali e finanziari necessari per realizzare un intervento di efficienza energetica, credono ancora nel potenziale del settore industriale, ma fanno sempre più fatica a convincere l’industria ad investire.

Riorientando le risorse pubbliche verso il residenziale, si è inoltre tenuta – sempre secondo il CESEF – in scarsa considerazione l’ampia gamma di possibili interventi sul processo industriale. A differenza degli interventi sulle attività ausiliarie, che hanno dimensioni medie molto inferiori, i progetti che intervengono sul processo produttivo sono caratterizzati da maggiori rischi potenziali, dall’interruzione per un certo periodo della produzione, da ingenti investimenti. Per questi motivi, gli imprenditori difficilmente accettano di realizzare interventi di efficientamento del processo produttivo.

Rendendo certi e stabili gli incentivi fiscali all’industria, l’obiettivo del Pniec di 0,7 Mtep/anno di efficienza in ambito industriale risulta sottodimensionato rispetto al reale potenziale. In base a due scenari (Conservativo e Best) elaborati dal CESEF 2019, nei prossimi dieci anni l’efficienza ancora possibile risulta essere maggiore rispetto alle indicazioni del Pniec: nel primo caso 4,5 Mtep/anno, nel secondo 6 Mtep/anno.

Per sfruttare questo potenziale inespresso è necessario però riavviare quegli interventi sulle tecnologie che in passato hanno generato i maggiori risparmi energetici: recuperi termici, reingegnerizzazione dei processi produttivi, sistemi di free cooling, produzione di energia termica da fonti rinnovabili.

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