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E’ il sostegno all’export uno dei compiti della nuova Cdp?

Il governo ha scelto la strada di un cambiamento traumatico per sottolineare l’urgenza di una riforma di Sace e Simest. E’ stata una scelta spericolata e ora si attendono i risultati a breve. Carlo Calenda spinge per accelerare i tempi dopo due anni di discussioni ma Salvatore Rossi mette in guardia…..

E’ il sostegno all’export uno dei compiti della nuova Cdp?

Il ricambio al vertice della Cdp sembra destinato a concludersi rapidamente. Le Fondazioni bancarie che detengono il 18,4% del capitale della Cassa, hanno chiesto spiegazioni e garanzie ma non sembrano disposte ad arrivare ad uno scontro frontale con il Governo. Renzi e Padoan devono però ancora chiarire, senza equivoci, quale ruolo si vuole assegnare alla Cassa che negli ultimi anni con Bassanini e Gorno Tempini, si è molto aperta alla pratiche di mercato ed al sostegno delle aziende italiane. Certo si può fare di più, ma occorre evitare il nascere di un nuovo carrozzone pubblico pieno di aziende decotte o di crediti deteriorati.

   Una parziale spiegazione delle ragioni del ribaltone alla Cassa è venuta ieri nel corso di un convegno sulla internazionalizzazione dell’economia italiana organizzato dalla Fondazione Masi ed al quale hanno partecipato tra gli altri il vice ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda, il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, ed il consulente della Presidenza del Consiglio Marco Simoni.

   Dalle parole di Calenda è apparso chiaro che una delle ragioni, e forse la principale, del ricambio anticipato dei vertici della Cassa sta nella mancata realizzazione di quella banca dell’export attraverso la riforma della Sace e della Simest. Secondo Calenda per mettere le aziende italiane in grado di approfittare appieno delle favorevoli condizioni dei mercati internazionali è indispensabile che l’Italia si doti di uno strumento simile a quello esistente in altri paesi che possa sostenere con garanzie, prestiti a tassi convenienti, o apporti di capitale, la presenza delle aziende italiane nel mondo. Noi abbiamo oltre 100 mila aziende che potremmo portare ad avere una maggiore presenza sui mercati internazionali, ma per farlo non possiamo perdere altro tempo. Sono oltre due anni che se ne discute, ora è arrivato il momento della realizzazione.

   Salvatore Rossi si è detto favorevole ad una razionalizzazione di tutti gli strumenti esistenti per sostenere l’export, ma ha voluto sottolineare la necessità di guardare con attenzione ai profondi cambiamenti (quasi una rivoluzione permanente) che si stanno verificando sullo scenario mondiale, per evitare di intervenire solo su strumenti che erano adeguati alle condizioni di qualche decennio fa. In altri termini per Rossi il problema di oggi non è solo quello dell’export, ma quello dell’integrazione dell’industria italiana nelle filiere internazionali del valore. E per far questo occorre che le nostre aziende sappiano tenere il passo con l’innovazione tecnologica e con i mutamenti organizzativi richiesti dalla necessità di superare la sempre più agguerrita concorrenza internazionale. E quindi il così detto” sistema paese” che deve cambiare per collocarsi  con successo nel nuovo scenario mondiale. E ci sono esempi in cui questo è riuscito. Rossi ha citato la filiera dei fornitori di componentistica auto che non potendo più vivere solo con la Fiat, si sono ristrutturati ed hanno affrontato con successo il mercato mondiale. In particolare Rossi ha citato non solo le inefficienze della Giustizia, ma l’intero ordinamento giuridico italiano che “si trova a disagio nella società moderna”. C’è quindi un compito immane per i politici e per i giuristi: quello di cambiare il diritto italiano, non solo per rendere più rapida la Giustizia civile, ma proprio per rendere adatto il vestito giuridico alle esigenze delle imprese moderne.

  Anche Marco Simoni ha insistito sulla necessità di dotarci di una banca per l’export capace di dare maggiore sostegno alle imprese. Noi esportiamo più o meno come la Francia ma il nostro sostegno creditizio e di garanzie è dieci volte inferiore. Abbiamo quindi un grande spazio da coprire. L’obiettivo è quello di arrivare ad un valore dell’export pari al 50% del Pil mentre oggi, pur con i successi degli ultimi anni, siamo ancora intorno al 35%.

   Nonostante gli attuali vertici della Cassa abbiamo fatto un lavoro egregio in questi ultimi anni, il Governo ha scelto la strada di un cambiamento traumatico per sottolineare l’urgenza di bruciare le tappe del rinnovamento degli strumenti di sostegno alle nostre imprese che devono essere aiutate ad affrontare i mercati mondiali. E’ una scelta spericolata. Ora si attendono risultati a breve.

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