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Draghi, Meloni e la staffetta vincente per la crescita dell’Italia: SuperMario lascia un’eredità invidiabile

Il Governo Draghi lascia un’eredità ricca, con conti pubblici in rapido risanamento, forte export, ripresa più rapida degli altri Paesi. Ma soprattutto con un metodo fatto di coesione, politica industriale, lavoro di cacciavite, sostegno alla domanda e alle imprese. Conviene farne tesoro: i mercati vigilano

Draghi, Meloni e la staffetta vincente per la crescita dell’Italia: SuperMario lascia un’eredità invidiabile

Draghi e Meloni: il passaggio del testimone

È giunto il momento del passaggio di testimone. Dalla mano esperta e salda di Mario Draghi a quella giovane ed energica di Giorgia Meloni. Insieme alla campanella, usata per segnare l’avvio delle riunioni del Consiglio dei ministri, SuperMario consegna alla mattatrice delle elezioni politiche, inusualmente autunnali, un’economia italiana in salute e conti pubblici in ordine.

Spesso in passato i governanti entranti trovavano nei conti del Paese pozzi avvelenati e granai bruciati, come accade nelle ritirate in guerra per non dare al nemico nessun vantaggio logistico. L’idea era di rendere a chi subentra nella guida del Paese il più difficile possibile lavorare, sperando così di farlo durare il meno possibile, per prendersi la rivincita elettorale. Tutto questo sulla pelle del Paese.

Il Governo Draghi, invece, ha lavorato sempre e solo nell’interesse dell’Italia e, quindi, ha rovesciato la logica: lascia un’eredità ricca, non solo nel merito ma anche nel metodo. Di questa eredità è parte fondante il mettere innanzi a tutto il bene comune. Esaminiamo le altre componenti, partendo dal quadro economico generale.

Check up: +6,7% di Pil nel 2021 e +3,3% quest’anno

Il PIL è cresciuto del 6,7% nel 2021 e va verso il +3,3% quest’anno; comunque è tornato ben sopra ai livelli precedenti la pandemia e puntava a quelli che avrebbe raggiunto senza i ripetuti stop sanitari, necessari per evitare un’ecatombe di morti di Covid. Il Ministro Daniele Franco, pur parco di dichiarazioni, ha spesso indicato il raggiungimento di tali valori quale obiettivo intermedio del Governo; l’obiettivo finale essendo lo stabile aumento del potenziale di crescita. Su quest’ultimo torniamo più avanti.

Inoltre, la misura del successo della politica economica adottata è nel confronto con le altre maggiori economie dell’Eurozona, da cui si evince che la crescita italiana è stata nettamente superiore: non accadeva da quasi trent’anni.

L’occupazione, madre di ogni benessere, è vicina ai massimi storici. Il tasso di disoccupazione è tornato ai minimi pre-crisi; non quella del 2020, ma quelle del 2009 e del 2011-12. Recuperi simili non si erano avuti dopo le precedenti recessioni.

Sono risultati ancor più straordinari perché ottenuti sotto i colpi della guerra e della crisi energetica più grave degli ultimi cinquant’anni. Che si sono tradotti in un’alta inflazione, comune a tutti i paesi europei e non. Va sottolineato di nuovo il differenziale, stavolta negativo, con gli altri Paesi: come da alcuni anni accade, anche nell’attuale frangente l’inflazione italiana è inferiore alla media dell’area euro, smentendo lo stereotipo dei Paesi mediterranei pronti a sovra reagire a shock esterni, e ad andare incontro a perdite di competitività e peggioramenti delle prospettive di crescita.

Primum non nocere

I risultati sul piano della finanza pubblica non sono meno rilevanti. Il deficit pubblico scende verso il 5% del PIL nel 2022, meglio dell’obiettivo fissato la scorsa primavera (5,6%) e oltre due punti sotto il 2021 (7,2%). Il debito pubblico flette di oltre dieci punti percentuali in due anni: dal 154,9% del PIL nel 2020 al 145,4% nel 2022. E tutto ciò nonostante il Governo abbia reimmesso nel sistema tutte le risorse che la forte crescita e il tiraggio inferiore dell’atteso delle precedenti misure rendevano disponibili. Solo nel 2022 e fino a settembre sono stati oltre 66 i miliardi re-iniettati, 3,5 punti di PIL.

Qualche benpensante direbbe che tali risorse sarebbe stato meglio usate nella ulteriore riduzione di deficit e debito pubblici, così da portare il primo sotto la soglia del 3% già quest’anno. Ecco la nostra risposta: i risultati e l’azione di Draghi-Franco confermano che l’accanimento terapeutico nel risanamento delle finanze pubbliche è controproducente, perché riduce la crescita effettiva e potenziale (la seconda dipendendo in gran parte dalla prima). All’opposto, sostenere la crescita porta al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. E i risultati validano la linea sottolineata su FIRSTonline in Draghi, Scribonio e l’Italia malata di lenta crescita.   

La fase di rapida ascesa dei tassi di interesse ha caldamente sconsigliato scostamenti di bilancio. Tanto più che, comunque, PNRR e altre misure UE, più rafforzamento di fondi nazionali, hanno creato un grande serbatoio di sostegno della domanda nei prossimi anni; una domanda fatta di investimenti, ossia di capacità di crescita futura, dunque apprezzata dai mercati, che sanno che la malattia dell’Italia non è l’alto debito pubblico ma la mancanza di crescita economica.

Non smontare, ma costruire su quello che è stato fatto dal predecessore

L’azione del Governo Draghi si è sviluppata in linea di continuità con quanto già avviato. Migliorando dove c’era da migliorare, aggiustando quel che c’era da aggiustare. Per esempio, nelle campagne vaccinali, nel PNRR, e soprattutto nel dialogo con le istituzioni e con i partner europei. In Europa l’Italia è tornata a contare quanto Francia e Germania. Anche su temi sui quali non vi era esattamente grande convinzione sulle scelte pregresse, come il 110%, gli interventi sono fatti hanno mirato a tutelare il bilancio pubblico dalle truffe e hanno puntato a stabilizzare l’incentivo, pur rendendolo meno generoso.

Rafforzare il potenziale di crescita

La crescita economica non è manna che cade dal cielo, né si trova sotto i cavoli. Ma è una miscela, la cui composizione è segreta quasi quanto quella della pozione magica del druido Panoramix, ed è fatta di fiducia, competenze, inventiva, ricerca, imprenditorialità, coesione sociale, perseveranza. Con la crescita tutto diventa possibile, senza crescita anche la più bassa collina diventa un’erta insormontabile. Perciò occorre accudire e curare la crescita come una pianta preziosa e fruttuosa.

E al primo punto di questa cura c’è la non distruzione del potenziale produttivo; un punto che rimanda a quanto detto sull’accanimento nel risanamento dei conti pubblici. Al secondo punto c’è la politica industriale, molto cara al Ministro Franco, con misure di sostegno alla ricerca (nel farmaceutico, nella revisione del patent box), di agevolazione della transizione energetica (nell’automotive, per esempio) e di potenziamento della produzione di microchip. Al terzo punto c’è l’innalzamento degli investimenti, che hanno il doppio effetto di sostenere la domanda e di aumentare la capacità. Investimenti che sono specialmente importanti nell’epoca attuale di grandi rivoluzioni (digitale, verde, biofarmaceutica).

Il peso degli investimenti sul PIL, che era crollato al 17% nella doppia recessione del 2008-09 e del 2011-13, ora è tornato al 22%, in linea con quanto si osserva negli altri Paesi europei. Anche grazie al 110%.

Naturalmente per crescere occorre un tessuto di imprese vivaci e innovative, che inventino cose nuove che piacciano, come insegna Carlo Cipolla. La cartina di tornasole della vivacità imprenditoriale italiana è nell’andamento dell’export, in forte aumento e con una performance decisamente migliore dei partner europei.

L’Italia può accrescere il potenziale giocando bene la carta del ridisegno della globalizzazione. Ne ha i numeri, con filiere manifatturiere capaci di produrre qualunque bene e specialmente forti in quelle all’avanguardia tecnologica (macchinari, meccatronica, space economy).

Usare il cacciavite

L’Italia non un luogo facile dove fare impresa. La burocrazia sembra fatta per ostacolare, anziché assecondare le iniziative imprenditoriali. E anche i provvedimenti animati dalle migliori intenzioni sono lastricati di chiodi puntuti che forano le gomme a chi si avventura nel sfruttarli, secondo lo spirito e la lettera delle norme. Ma non servono grandi rivoluzioni né manifestazioni clamorose. Piuttosto occorre usare il cacciavite, intervenendo a stringere o allentare le viti là dove serve. Anche questo tipo di operazioni è parte della cassetta degli attrezzi che il Governo Draghi consegna al successore.

Rafforzare la coesione sociale

Così come la grande attenzione ad aiutare le persone e le imprese più colpite dalla pandemia prima e dal caro energia poi. Solo quest’anno i costi della crisi energetica hanno portato a mobilitare misure per 58,4 miliardi, il 3,3% del PIL, più di quanti ne abbiano messi in campo gli altri maggiori Paesi europei, soprattutto mirate alle famiglie e alle imprese più esposte. Scelte non scontate per un Paese con un debito pubblico elevato come l’Italia.

Non si tratta solo di equità, che pure fa parte dell’etica di un Governo di unità nazionale, e dovrebbe essere patrimonio di ogni governo. Ma anche di efficienza, perché migliorando la coesione sociale si accrescono la fiducia e la partecipazione alla vita economica e sociale, riducendo lo spreco di risorse causato da un tasso di occupazione più basso e dall’evitabile chiusura di molte imprese. Tale chiusura comporta la dispersione di competenze.

Perciò solidarietà e rafforzamento della capacità produttiva vanno a braccetto

Un utile intervento di cacciavite è, allora, rinominare il reddito di cittadinanza, che non è altro che una misura da paese civile di aiuto alle persone più in difficoltà. Rinominare, non cancellare. Rinominare perché quel nome fa venire in mente pasti gratis, disincentivo a lavorare, diritto a un reddito in quanto cittadini, appunto. Invece è un aiuto per combattere la povertà. E come tale è degno di un Paese avanzato quale è l’Italia; e se chiamato tale farebbe cadere tanti pregiudizi, che per loro natura non sono fondati su una valutazione corretta dei dati su chi lo percepisce e a quali stringenti condizioni.

Peraltro, una recente analisi di Massimo Baldini pubblicata su lavoce.info illustra come, là dove maggiore è stata la crescita economica in questo biennio, più accentuato è stato il calo delle erogazioni del reddito di cittadinanza. Alla faccia di quanti asseriscono che sia di ostacolo alla ripresa. In altri termini e con altri dati, le erogazioni di reddito di cittadinanza più ampi nel Mezzogiorno non hanno affatto disincentivato il lavoro, tanto che il tasso di occupazione (occupati in % della popolazione in età di lavoro) è oggi al Sud di oltre due punti percentuali più elevato rispetto alla fine del 2019, contro poco più di uno al Centro e di quasi nulla al Nord.

Lavori in corso

Dopo la cura Draghi-Franco l’economia italiana è, dunque, in miglior salute, ma non è ancora guarita dalla malattia della lenta crescita che l’ha colpita alcuni decenni fa, ben prima che si manifestassero i sintomi nel ventennio (con la «v» minuscola) precedente la pandemia.

In quel lungo periodo il reddito per abitante in Italia è rimasto inchiodato ai valori di partenza (-0,7% cumulato) mentre nelle altre maggiori nazioni europee è aumentato tra il 15% (Francia) e il 25% (Germania). Altri paesi economicamente avanzati hanno fatto perfino meglio. Dietro queste fredde statistiche si celano trilussiane differenze, opportunità, sofferenze, successi, fallimenti. 

Qui torniamo alla necessità di aumentare il potenziale di crescita. Come? Da un lato realizzando le riforme e le spese di PNRR e dintorni. Per le spese in capitale fisico sono disponibili 600 miliardi da qui al 2035. Mica bruscolini.

Per le riforme è emblematico l’affanno della macchina amministrativa nel realizzare gli investimenti programmati e nel consentire di accelerare la transizione ecologica, bloccando permessi e mettendo ogni sorta di bastone tra le ruote delle iniziative private. Esemplare il caso di Reinova, che nel comune dove ha sede voleva regalare due colonnine di ricarica alimentate gratuitamente dall’impianto fotovoltaico che ha istallato sul tetto dello stabilimento; ma il comune non sa come fare ad accettare il regalo e l’impianto è fermo perché occorrono contatori per ogni pannello, per volontà dell’Agenzia delle entrate. Per fortuna tutti i partiti hanno votato le riforme promosse dal Governo Draghi, con la sola astensione (facite ‘a faccia feroce) del partito che allora era all’opposizione e che ora guida la coalizione che governerà.

Si tratta di afferrare il testimone che abbiamo raccontato e di continuare a correre come ha fatto il Governo Draghi, che in venti mesi ha realizzato quanto altri non riescono in una legislatura. Correre lungo una strada già battuta, anche se non è un’autostrada. E noi, per il bene del Paese, tifiamo per la conclusione vittoriosa della staffetta Draghi-Meloni.

PS: là fuori i mercati vigilano e lo spread dei tassi di interesse italiani-tedeschi continuerà a misurare la credibilità dell’azione del prossimo Esecutivo, così come ha fatto con tutti quelli che lo hanno preceduto. Dimostriamo ai vigilantes che la lezione Draghi-Franco è stata ben imparata e ancor meglio sarà seguita.

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