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Dopo Brexit e Trump, ci sarà un nuovo ordine post-liberale? 

La Brexit e l’ascesa di Trump alla Casa Bianca hanno sconvolto i paradigmi della scienza politica – Ora lo studioso israeliano Yuval Noah Harari, che primeggia in libreria, suggerisce in un nuovo libro edito da goWare un nuovo ordine post-liberale ma escludendo che l’Internazionale populista possa essere un’alternativa

Dopo Brexit e Trump, ci sarà un nuovo ordine post-liberale? 

Come una palla di fuoco 

Dal voto sulla Brexit e dalla elezione di Trump, una sorta di elettroshock ad alto voltaggio ha attraversato come una palla di fuoco tutta la scienza politica e i maggiori think-tank globali. Il collasso delle idee, delle politiche e dei partiti liberal-democratici, in ambito nazionale e internazionale, è stato il più vistoso e più discusso effetto di questi eventi. Eppure l’erosione di consenso intorno alla narrazione liberale ha delle cause più interessanti degli effetti, cause che, purtroppo, sono rimaste piuttosto a margine nella discussione pubblica. Lo studioso israeliano Yuval Noah Harari – una star che in libreria rivaleggia con James Patterson – ne ha individuate quattro: le conseguenze sociali sulle economie occidentali della crescita della Cina che più di tutti ha beneficiato dell’ordine globale liberale, la rivoluzione tecnologica, le biotecnologie e il cambiamento climatico. 

Come sottolinea Harari non è certo questa la prima crisi dello schema liberale e forse, neppure la più profonda. In genere lo schema liberale ha mostrato una capacità di adattamento che nessun altro sistema politico o teoria politica ha saputo sviluppare nel corso del tempo. È proprio la genetica dell’organismo di pensiero liberale che potrebbe riscriversi per adattarsi all’evoluzione di cui c’è bisogno per affrontare le sfide del 21° secolo. 

In lingua inglese, ultimamente, sono usciti dozzine di libri, per non parlare degli articoli e dei saggi che hanno affrontato e discusso il tema della crisi del liberalismo e delle sue prospettive. In Italia, dove la tradizione liberale è molto debole e dispersa e dove non esiste più un pensiero liberale autonomo, sono arrivati degli echi tenui di questo gran discutere sulla crisi della narrazione liberale e i suoi possibili sviluppi. È un peccato perché questa discussione va ben oltre lo stretto abito del liberalismo per abbracciare la configurazione dei sistemi politici e delle relazioni tra Paesi nell’immediato futuro finora regolati da quello che è chiamato l’”ordine liberale globale” che nelle righe che seguono lo storico Hararai descrive molto bene. 

Un libro in italiano sulla narrazione liberale 

Con l’intento di riparare parzialmente a questa lacuna è da pochi giorni in libreria un libro, L’autunno della liberal-democrazia, La narrazione liberale da Stuart Mill all’Economist edito da goWare, che ripercorre l’evoluzione dell’idea liberale di società attraverso l’enucleazione, fortemente attualizzata, dei punti cruciali del pensiero dei protagonisti della narrazione liberale: John Stuart Mill, Tocqueville, la femminista Harriet Taylor Mill, gli esponenti della Scuola austriaca, Keynes, Hayek, Popper, Schumpeter, Berlin, Rawls, Nozick fino alle recenti tesi sulla rinascita del liberalismo del più importante think-tank liberale del mondo, il magazine “The Economist”. Inoltre, attraverso i contributi dello stesso Harari, del filosofo emergente Kwame Anthony Appiah e di una vecchia colonna del liberalismo come Michael Ignatieff vengono discussi i temi sottotraccia al dibattito sulle ragioni della crisi del liberalismo: identità, meritocrazia, tecnologia e immigrazione. Un saggio di uno dei maggiori studiosi del liberalismo storico, Girolamo Cotroneo, parla del peso che le due colonne d’Ercole della dottrina liberale, la giustizia e la libertà, si sono storicamente rapportate nel pensiero e nell’azione delle maggiori correnti di pensiero di questo movimento. 

Tornando all’attualità siamo lieti di proporre ai nostri lettori uno degli interventi più lucidi di Yuval Noah Harari che si interroga sulle chance e le caratteristiche di un nuovo ordine liberale globale che, come un’araba fenice, e come è già successo in passato, può risorgere dalle sue stesse ceneri. Si tratta di un contributo veramente originale proposto da una delle menti più brillanti del nostro tempo. Buona lettura! 

Un ordine superiore alle alternative 

Per diverse generazioni, il mondo è stato governato da ciò che oggi chiamiamo “l’ordine liberale globale”. Dietro queste parole sublimi c’è l’idea che tutti gli esseri umani condividono esperienze, valori e interessi fondamentali e che nessun gruppo umano è intrinsecamente superiore agli altri. La cooperazione è quindi più necessaria del conflitto per lo sviluppo umano. Tutti le persone dovrebbero lavorare insieme per proteggere i valori comuni e far avanzare gli interessi comuni. E il modo migliore per favorire tale cooperazione è facilitare il movimento di idee, beni, denaro e persone in tutto il mondo. 

Sebbene l’ordine liberale globale abbia molti difetti e tanti problemi, si è rivelato superiore a tutte le possibili alternative. Il mondo liberale degli inizi del 21° secolo è più prospero, sano e pacifico che mai. Per la prima volta nella storia umana, la fame uccide meno persone dell’obesità; le pestilenze uccidono meno persone della vecchiaia; e la violenza uccide meno persone degli incidenti. Quando avevo sei mesi, non sono morto in un’epidemia grazie ai rimedi scoperti da scienziati stranieri in terre lontane. Quando avevo tre anni non sono morto di fame grazie al grano coltivato da agricoltori stranieri a migliaia di chilometri di distanza. E quando avevo undici anni non sono stato cancellato da una guerra nucleare, grazie agli accordi firmati da leader stranieri dall’altra parte del pianeta. Se pensate che dovremmo tornare ad un’età dell’oro pre-liberale, per favore diamo un nome all’anno in cui l’umanità era più in forma che all’inizio del 21° secolo. Era il 1918? il 1718? o il 1218? 

Nonostante questo, le persone in tutto il mondo stanno perdendo la fiducia nell’ordine liberale. Le visioni nazionaliste e religiose che privilegiano un gruppo umano rispetto a tutti gli altri sono tornate in auge. I governi stanno limitando sempre più il flusso di idee, beni, denaro e persone. I muri stanno spuntando ovunque, sia sulla Terra che nel cyberspazio. L’immigrazione è bandita, le tariffe sono di moda. 

Ci sono alternative? 

Se l’ordine liberale sta collassando, quale nuovo tipo di ordine globale potrebbe sostituirlo? Finora, coloro che sfidano l’ordine liberale lo fanno principalmente a livello delle singole nazioni. Hanno molte idee su come promuovere gli interessi del loro particolare paese, ma non hanno una visione definita e sostenibile su come dovrebbe funzionare il mondo nel suo complesso. Ad esempio, il nazionalismo russo può essere una guida ragionevole per gestire gli affari della Russia, ma il nazionalismo russo non ha alcun piano per il resto dell’umanità. A meno che, naturalmente, il nazionalismo non si trasformi nell’imperialismo e spinga una potenza a conquistare e governare il mondo intero. Un secolo fa, molti movimenti nazionalisti nutrivano fantasie imperialiste. I nazionalisti di oggi, sia in Russia, Turchia, Italia o Cina, finora si astengono dal sostenere la conquista del pianeta. Il mondo sarà quindi diviso in distinti stati nazionali, ciascuno con la propria identità e le proprie sacre tradizioni.  

Al posto di instaurare con la forza un impero globale, alcuni nazionalisti come Steve Bannon, Viktor Orban, la Lega Nord in Italia e i Brexitari inglesi sognano una pacifica “Internazionale nazionalista”. Sostengono che tutte le nazioni affrontano gli stessi nemici. Sostengono che il globalismo, il multiculturalismo e l’immigrazione stanno minacciando di distruggere le tradizioni e le identità nazionali. Pertanto i nazionalisti di tutto il mondo dovrebbero fare causa comune nell’opporsi a queste forze globali. Ungheresi, italiani, turchi e israeliani dovrebbero costruire muri, erigere recinzioni e rallentare il movimento di persone, merci, denaro e idee attraverso i confini nazionali. 

Il mondo sarà quindi diviso in ben distinti stati nazionali, ciascuno con la propria identità e le rispettive tradizioni. Basandosi sul rispetto reciproco di queste diverse identità, tutti gli stati-nazione potrebbero cooperare e relazionarsi pacificamente. L’Ungheria sarà ungherese, la Turchia sarà turca, Israele sarà israeliano e tutti sapranno chi sono e qual è il loro posto nel mondo. Sarà un mondo senza immigrazione, senza valori universali, senza multiculturalismo e senza un’élite globale, ma con relazioni internazionali pacifiche e un po’ di scambi commerciali. In una parola, l’”Internazionale nazionalista” immagina il mondo come una rete di fortezze murate ma in buoni rapporti reciproci. 

Il problema chiave di questa rete di fortezze murate è che ogni fortezza nazionale mira ad avere un po’ più terra, sicurezza e prosperità dei vicini. 

Non ci sono alternative! 

Molte persone potrebbero pensare che questa sia una visione abbastanza ragionevole. Perché non è un’alternativa praticabile all’ordine liberale? Due cose dovrebbero essere dette al riguardo. In primo luogo, è ancora una visione relativamente liberale. Si basa sull’assunto che nessun gruppo umano è superiore a tutti gli altri, che nessuna nazione dovrebbe dominare i suoi pari e che la cooperazione internazionale è migliore del conflitto. In effetti, il liberalismo e il nazionalismo erano originariamente strettamente allineati l’uno con l’altro. I nazionalisti liberali del 19° secolo, come Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini in Italia e Adam Mickiewicz in Polonia, sognavano proprio un ordine liberale internazionale di nazioni pacificamente coesistenti. 

La seconda cosa da notare a proposito di questa visione delle fortezze amiche è che è già stata sperimentata e ha fallito in modo spettacolare. Tutti i tentativi di dividere il mondo in nazioni ben definite hanno finora portato alla guerra e al genocidio. Quando gli eredi di Garibaldi, Mazzini e Mickiewicz riuscirono a rovesciare l’impero asburgico multietnico, risultò impossibile trovare una linea chiara che dividesse gli italiani dagli sloveni o i polacchi dagli ucraini. 

Ciò ha preparato il terreno alla seconda guerra mondiale. Il problema chiave della rete di fortezze è che ogni fortezza nazionale tende a voler espandersi a spese dei vicini e, senza l’intervento di valori universali e di organizzazioni globali, le fortezze rivali non possono trovarsi d’accordo su nessuna regola comune. Le fortezze murate sono raramente in relazioni amichevoli. 

Ma a chi capita di vivere in una fortezza dominante, come l’America o la Russia, che cosa ne viene da questa politica? Alcuni nazionalisti in effetti adottano una posizione isolazionista estrema. Non credono né in un impero globale né in una rete globale di fortezze. Piuttosto, negano la necessità di qualsiasi ordine globale. “La nostra fortezza dovrebbe alzare i ponti levatoi – dicono – e il resto del mondo può andare all’inferno. Dovremmo respingere le persone straniere, le idee straniere e le merci straniere, e finché le nostre mura saranno robuste e le guardie leali, chi se ne frega che cosa succede agli stranieri?”.

Il mondo è un’unità 

Tale isolazionismo estremo, tuttavia, è completamente separato dalle realtà economiche. Senza una rete commerciale globale, tutte le economie nazionali esistenti crollerebbero, compresa quella della Corea del Nord. Molti paesi non potranno nemmeno nutrirsi da soli senza importazioni e i prezzi di quasi tutti i prodotti saliranno alle stelle. La maglietta made in China che sto indossando mi è costata 5 dollari. Se fosse stato prodotta da lavoratori israeliani con cotone coltivato in Israele usando macchine israeliane alimentate da petrolio israeliano inesistente, potrebbe essere costata dieci volte tanto. I leader nazionalisti da Donald Trump a Vladimir Putin possono quindi pensare di ridimensionare la rete commerciale globale, ma nessuno pensa seriamente di togliere completamente il proprio paese da quella rete. Ed, ergo, non possiamo disporre di una rete commerciale globale senza un ordine globale che stabilisca le regole del gioco. 

Ancora più importante, che piaccia o no alla gente, è che l’umanità oggi affronta tre problemi comuni che se ne infischiano di tutti i confini nazionali e che possono essere risolti solo attraverso la cooperazione globale. Sono la guerra nucleare, i cambiamenti climatici e i rivolgimenti tecnologici. Non si può costruire una muraglia contro l’inverno nucleare o contro il riscaldamento globale, e nessuna nazione può affrontare da sola la sfida dell’intelligenza artificiale (AI) o della bioingegneria. Non sarà sufficiente se solo l’Unione europea vieta la produzione di robot killer o solo l’America vieta l’ingegneria genetica. A causa dell’immenso potenziale di tali dirompenti tecnologie, se anche un solo paese decide di perseguire questi percorsi ad alto rischio e ad alto ritorno, gli altri paesi saranno costretti a seguire lo stesso percorso per paura di rimanere indietro. 

Una corsa agli armamenti basati sull’intelligenza artificiale o una corsa alle armi biotecnologiche produce il risultato più nefasto. Chiunque vinca tale corsa, sarà tutta l’umanità a perdere. Perché in una corsa agli armamenti, tutte le regole verranno meno. Pensiamo, per esempio, cosa potrebbe voler dire iniziare condurre esperimenti di ingegneria genetica sui bambini. Ogni paese dirà: “Non vogliamo condurre tali esperimenti, siamo dei bravi ragazzi. Ma come facciamo a sapere che i nostri rivali non lo stiano già facendo? Non possiamo permetterci di rimanere indietro. Quindi dobbiamo farlo prima di loro”.  

Allo stesso modo, consideriamo lo sviluppo di sistemi di armi automatiche, che possono decidere autonomamente se sparare o uccidere le persone. Di nuovo, ogni paese dirà: “Questa è una tecnologia molto pericolosa, e dovrebbe essere regolata con attenzione. Ma non ci fidiamo dei nostri rivali per regolarlo, quindi dobbiamo prima sviluppare questa tecnologia”. 

Per sopravvivere e prosperare nel 21° secolo, il genere umano ha bisogno di un’efficace cooperazione globale e finora l’unico progetto attuabile per tale cooperazione è offerto dal liberalismo. 

L’unica cosa che può impedire tale distruttiva corsa alle armi è una maggiore fiducia tra i paesi. Questa non è una cosa impossibile. Se oggi i tedeschi promettono ai francesi: “Credeteci, non stiamo sviluppando robot killer in un laboratorio segreto nelle Alpi bavaresi”, i francesi probabilmente crederanno ai tedeschi, nonostante la terribile storia dei rapporti tra questi due paesi. Abbiamo bisogno di costruire una tale fiducia a livello globale. Dobbiamo raggiungere un punto in cui americani e cinesi possono fidarsi l’un dell’altro come fanno i francesi e i tedeschi. 

Allo stesso modo, abbiamo bisogno di creare una rete di sicurezza globale per proteggere gli esseri umani dagli shock economici che l’IA potrebbe causare. L’automazione creerà una nuova immensa ricchezza concentrata in hub high-tech come la Silicon Valley, mentre i peggiori effetti si faranno sentire nei paesi in via di sviluppo le cui economie dipendono dal lavoro manuale a basso costo. Ci saranno più posti di lavoro per gli ingegneri del software in California, ma meno posti di lavoro per gli operai e i conducenti di camion messicani. Abbiamo un’economia globale, ma la politica è ancora molto nazionale. A meno che non troveremo soluzioni a livello globale per i rivolgimenti causati dall’IA, interi paesi potrebbero collassare e il conseguente caos, violenza e ondate di immigrazione destabilizzeranno il mondo intero. 

Questa è la prospettiva giusta per guardare gli sviluppi recenti come Brexit. Di per sé, Brexit non è necessariamente una cattiva idea. Ma è proprio la Brexit la questione che dovrebbe affrontare la Gran Bretagna e l’Unione europea in questo momento? In che modo la Brexit aiuta a prevenire la guerra nucleare? In che modo la Brexit aiuta a prevenire i cambiamenti climatici? In che modo la Brexit aiuta a regolare l’intelligenza artificiale e la bioingegneria? Invece di aiutare, la Brexit rende più difficile risolvere tutti questi problemi. Ogni minuto che la Gran Bretagna e l’UE spendono per la Brexit è un minuto in meno che spendono per prevenire i cambiamenti climatici e per regolamentare l’intelligenza artificiale. 

Per sopravvivere e prosperare nel 21° secolo, il genere umano ha bisogno di un’efficace cooperazione globale, e finora l’unico progetto attuabile per tale cooperazione è offerto dal liberalismo. Tuttavia, i governi di tutto il mondo stanno minando le fondamenta dell’ordine liberale e il mondo si sta trasformando in una rete di fortezze. I primi a sentirne l’impatto sono i membri più deboli dell’umanità, che si trovano senza una fortezza disposta a proteggerli: rifugiati, migranti illegali, minoranze perseguitate. Ma se le muraglie continuano a salire, alla fine l’intera umanità sentirà la morsa della garrota. 

Dalla dispersione delle identità alla identità-mondo 

Nel 21° secolo dobbiamo affrontare problemi globali che persino le grandi nazioni non possono risolvere da sole, quindi ha senso cambiare almeno una parte della nostra lealtà verso un’identità nazionale. 

Ma questo non è il nostro destino ineludibile. Possiamo ancora portare avanti un’agenda veramente globale, andando oltre i semplici accordi commerciali ed esprimendo l’attaccamento che tutti gli esseri umani dovrebbero alla propria specie e al proprio pianeta. Le identità sono forgiate dalle crisi. L’umanità oggi affronta la tripla crisi della guerra nucleare, dei cambiamenti climatici e del rivolgimento tecnologico. A meno che gli umani non prendano coscienza della loro condivisa condizione e facciano causa comune, è improbabile che possano sopravvivere a questa crisi. Proprio come nel secolo precedente, la guerra economica totale ha costruito “una nazione” da molti gruppi disparati, così nel 21° secolo la crisi globale esistenziale potrebbe dare vita a un collettivo umano superando la dispersione delle nazioni. 

Creare questa identità globale collettiva non deve rivelarsi una missione impossibile. Dopotutto, sentirsi fedele all’umanità e al pianeta Terra non è intrinsecamente più difficile del sentirsi fedeli a una nazione che include milioni di estranei che non si sono mai incontrati e numerose province che si sono mai visitate. Contrariamente al senso comune, non c’è nulla di naturale nel nazionalismo. Non è radicato nella biologia o nella psicologia umana. È vero, gli umani sono animali sociali fino in fondo, con l’istinto al gruppo impresso nei nostri geni. Tuttavia, per milioni di anni l’homo sapiens e i suoi antenati ominidi vivevano in piccole comunità raccolte che contavano non più di qualche decina di persone. Gli umani quindi sviluppano facilmente la propria lealtà verso piccoli gruppi come famiglie, tribù e villaggi, in cui tutti si conoscono direttamente. Ma non è naturale per gli umani essere solidali verso milioni di estranei. 

Le aggregazioni di massa sono apparse solo negli ultimi millenni – ieri mattina, sul calendario dell’evoluzione – e gli umani si sono coalizzati per affrontare problemi di ampia portata che le piccole tribù non potevano risolvere da sole. Nel 21° secolo affrontiamo problemi così globali che ha senso cambiare almeno parte dell’atteggiamento verso un’identità globale. Gli umani si sentono naturalmente vicini ai 100 parenti e amici che conoscono intimamente. È stato estremamente difficile far sentire gli umani vicini ai 100 milioni di estranei che non hanno mai incontrato. Ma il nazionalismo è riuscito a fare esattamente questo. Ora tutto ciò che dobbiamo fare è far sentire gli umani prossimi a 8 miliardi di estranei che non hanno mai incontrato. 

È vero che per forgiare identità collettive, gli umani hanno sempre bisogno di un nemico comune che li minacci. Ma ora abbiamo i tre di grandi nemici di cui ho già parlato. Se si riesce a far sì che gli americani serrino le fila gridando “i messicani prenderanno il tuo lavoro!” Forse si potrebbe convincere americani e messicani a fare una causa comune gridando “i robot prenderanno il tuo lavoro!”. 

Ciò non significa che gli umani abbandoneranno completamente le proprie identità culturali, religiose o nazionali. Possono essere fedeli alla propria e, allo stesso tempo, a diverse identità – alla famiglia, al villaggio, alla professione, al paese, e anche al pianeta e all’intera specie umana. 

È vero che a volte si possono scontrare differenti visioni e quindi non è facile decidere cosa fare. Ma chi ha detto che la vita è facile? La vita è difficile. Affrontarla è difficile. A volte mettiamo il lavoro prima della famiglia, a volte la famiglia prima del lavoro. Allo stesso modo, a volte dobbiamo prima mettere l’interesse nazionale, ma ci sono occasioni in cui dobbiamo privilegiare gli interessi globali dell’umanità. 

Domande ai politici 

Cosa significa tutto ciò in pratica? Bene, quando arriveranno le prossime elezioni e i politici chiederanno di votare per loro, occorre fare a questi politici quattro domande: 

1) Quali azioni intraprendi per ridurre i rischi di guerra nucleare? 

2) Quali azioni intendi intraprenderete per ridurre i rischi del cambiamento climatico? 

3) Quali azioni hai in mente per regolare le tecnologie dirompenti come l’intelligenza artificiale e la bioingegneria? 

4) E infine, come vedi il mondo del 2040? Qual è il tuo scenario peggiore e qual è la tua visione per lo scenario migliore? 

Se alcuni politici non capiscono queste domande, o se parlano costantemente del passato senza essere in grado di formulare una visione significativa per il futuro, non votate per questi politici. 

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