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Diritto societario: come riformarlo in 20 mosse

Il professore Luca Enriques, ordinario di Diritto commerciale alla Luiss di Roma ed ex commissario della Consob , spiega in 20 punti le riforme necessarie a rendere il diritto societario più idoneo a servire la crescita e gli interessi dell’economia nel suo complesso: “Meno rendite, più crescita: ecco come”.

Diritto societario: come riformarlo in 20 mosse

Oggi più che mai il fine ultimo di una ambiziosa riforma del diritto delle società di capitali dovrebbe essere quello di favorire la nascita e la crescita delle imprese, agevolandone la capacità di raccolta di capitali. A questo fine, è necessario, come in ogni tentativo di riforma che si rispetti, “colpire le rendite” che l’ordinamento societario, anche nella sua conformazione attuale, consente di estrarre dalle imprese esistenti. [1]

In altra sede ho puntualmente indicato quali norme della riforma del 2003 hanno accresciuto le rendite di chi presta servizi legati al diritto societario. A questi si aggiungono, da sempre, i soci di controllo, che estraggono benefici privati a danno degli investitori, rendendo meno appetibile l’investimento esterno in società italiane.

Qui elencherò una serie di possibili riforme volte a modernizzare il diritto societario, rendendolo più idoneo a servire gli interessi dell’economia nel suo complesso.

Per comodità e brevità, e a costo di suonare apodittico, riassumerò i miei spunti per una riforma in venti proposte per un diritto societario orientato alla crescita. Altre se ne potrebbero aggiungere, ma ragioni di brevità e di ossequio alla diffusa predilezione per le cifre tonde inducono alla moderazione (come si vedrà, solo quantitativa). L’elenco è questo:

  1. Esplicitare che la disciplina delle società di capitali è inderogabile solo quando sia così espressamente stabilito, che le relative norme sono di stretta interpretazione e che ne è vietata l’applicazione analogica, inserendo un principio generale per cui tutte le clausole statutarie e parasociali che non sono espressamente vietate sono valide. [2]
  2. Consentire la creazione di società di persone a responsabilità limitata, secondo il modello della limited liability partnership.
  3. Rivedere la disciplina degli obblighi di pubblicità nel registro delle imprese, limitandoli a quelli imposti dalla disciplina europea.
  4. Sopprimere la disciplina dei patti parasociali nelle società non quotate.
  5. Per le sole società di futura costituzione, eliminare i limiti alle deviazioni dal principio un’azione, un voto, incluso il divieto delle azioni a voto multiplo, consentendo altresì (anche in relazione alle società già esistenti) ai titolari di specifiche categorie di azioni di nominare uno o più amministratori in assemblea separata.
  6. Rivedere, perlomeno quanto alle società di nuova costituzione o a quelle di futura quotazione, i quorum previsti per l’esercizio di diritti delle minoranze, portando la soglia suppletiva a zero e prevedendo una soglia statutaria massima non superiore alla soglia attualmente prevista.
  7. Consentire agli amministratori di sottoporre determinate proposte all’assemblea; escludere viceversa l’approvazione del bilancio dalle materie di competenza assembleare, salvo che lo statuto disponga diversamente.
  8. Ripristinare in modo chiaro il divieto, originariamente previsto dal codice civile del 1942, di esprimere il proprio voto per il socio in conflitto di interessi, tipizzando altresì talune ipotesi (es. operazioni con parti correlate, incluse le fusioni con la società controllante).
  9. Prevedere che il modello monistico divenga il modello di default, dettando una disciplina completa del medesimo priva di rinvii specifici o generici ad altri modelli. Nelle società non quotate, non dovrebbero prevedersi disposizioni particolari in tema di controlli interni (in altre parole, la disciplina sarebbe quella del modello tradizionale, al netto delle norme sul collegio sindacale, fermo il vincolo europeo circa la revisione legale dei conti), mentre per le quotate sarebbe sufficiente prevedere l’obbligatorietà di un comitato di controllo interno composto da amministratori indipendenti, uno dei quali con competenze contabili, oltre a quanto ulteriormente imposto al riguardo dalla direttiva 2006/43/CE.
  10. Rivedere la disciplina della responsabilità degli amministratori, introducendo in modo chiaro la business judgment rule (nessuna responsabilità, neppure per inadeguatezza dell’assetto organizzativo ovvero per difetti nel processo decisionale, se non c’è prova di mala fede, palese irrazionalità o conflitto d’interessi),  consentendo altresì agli statuti di esimere gli amministratori da responsabilità per violazione anche con colpa grave perlomeno dei doveri previsti dall’art. 2381, commi quinto e sesto, c.c.
  11. Prevedere una disciplina delle operazioni con parti correlate di maggiore rilevanza, in cui la conduzione delle trattative e la decisione sull’operazione spettino a un comitato di amministratori indipendenti, a cui dovrebbe però seguire, salvo che gli statuti dispongano diversamente, l’approvazione in assemblea secondo il modello del whitewash. In ogni caso, l’informazione sull’operazione dovrebbe essere data al mercato con un congruo anticipo rispetto alla decisione da parte del comitato. Reintrodurre il dovere di astensione per gli amministratori in conflitto d’interessi, anche con riferimento a ipotesi tipizzate.
  12. Liberalizzare l’emissione di obbligazioni, fermi i limiti necessari qualora sia svolta in via prevalente attività finanziaria riservata sul lato dell’attivo.
  13. Allineare alle norme europee le disposizioni che configurano il c.d. “sistema del netto”, eliminando le norme puramente domestiche al riguardo (es. riserva legale).
  14. Rivedere la disciplina del diritto di recesso, identificandone i presupposti in situazioni chiaramente tipizzate di potenziale abuso, anche prospettico, da parte del socio di maggioranza o degli amministratori e rivedendo i criteri di determinazione del valore di rimborso in modo da attribuire ai soci recedenti il valore equo della loro partecipazione.
  15. Sopprimere la disciplina della riduzione del capitale al di sotto del limite legale (art. 2447 c.c.) e i riferimenti alla stessa contenuti in altre norme.
  16. Ampliare l’autonomia statutaria delle società a responsabilità limitata fino ai limiti consentiti dal diritto europeo. Tutte le norme non imposte da quest’ultimo dovrebbero essere suppletive, salvo eccezioni ben circoscritte che coinvolgono i terzi (come ad es. gli art. 2471 e 2471-bis, c.c.).
  17. Prevedere che l’accesso alla disciplina dell’attività di direzione e coordinamento sia subordinato a una deliberazione dell’assemblea straordinaria, attribuendo ai soci dissenzienti il diritto di recesso.
  18. Escludere, in ogni caso, l’applicazione delle disposizioni in tema di direzione e coordinamento alle società con azioni quotate, nelle quali l’influenza del socio di controllo non deve poter legittimamente ledere l’interesse sociale; introdurre la responsabilità (anche al di fuori dei gruppi) del socio di controllo per i danni che la società quotata controllata o i suoi soci di minoranza abbiano subìto in conseguenza di comportamenti in conflitto d’interessi o contrari al dovere di correttezza del socio medesimo o di esponenti della società controllata che abbiano agito nel suo interesse.
  19. Per le società quotate medio-piccole (in base alla capitalizzazione) e per quelle di futura quotazione, rendere suppletive le disposizioni in materia di amministratori di minoranza e quelle in materia di quote di genere.
  20. Estendere il potere previsto dall’art. 2409 c.c. (denuncia per gravi irregolarità) alle banche e alle assicurazioni, nel caso di violazione dei doveri degli amministratori in materia di conflitti d’interessi e operazioni con parti correlate.

[1] V. Scelte pubbliche e interessi particolari nella riforma delle società di capitali, in Mercato, concorrenza, regole, 2005, pp. 145 ss.

[2] Più in generale, ossia oltre l’ambito societario, sarebbe utile prevedere, attraverso una modifica dell’art. 1418, che le norme da considerare imperative ai fini della nullità dei contratti siano solo quelle espressamente individuate come tali dalla legge. Per rendere più facilmente approvabile una simile modifica, essa potrebbe farsi accompagnare da una ricognizione delle norme oggi vigenti che si ritenga di dover ritenere inderogabili anche in futuro (prevedendo una delega al governo a “salvare” entro sei mesi, con decreto legislativo, le nullità virtuali che si ritenessero essenziali per la tutela degli interessi protetti dalle norme medesime).

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