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Deutsche Bank divide la Germania

L’attenzione dei mercati si concentra sulla crisi della Banca tedesca e la Faz avverte: “Dopo le lezioni all’Italia niente aiuti alla Deutsche” – Sterlina a picco – Italia, arriva il rating di Moody’s – Il dramma del Sole 24 Ore arriva a Piazza Affari – La Borsa dà l’addio a Italcementi.

Deutsche Bank divide la Germania

Si apre con una nota di fiducia l’ottobre finanziario. Salgono i listini asiatici, trascinati da Tokyo: +1% abbondante dopo i dati del Tankan, da cui emerge il rischio di un nuovo indebolimento della congiuntura, circostanza che costringerà la banca centrale a nuovi interventi. Bene anche Hong Kong (+1,3%) e l’Australia (+0,8%). In vacanza invece i listini cinesi. Ma quella di oggi è comunque una giornata storica per Pechino: da stamane lo yuan fa parte del paniere delle monete alla base dei diritti speciali di prelievo. E la Cina festeggia a modo suo la crescita del suo potere finanziario: Shanghai ha annunciato il prossimo acquisto del 40% della Borsa del Pakistan.

LA FAZ: “DOPO LE LEZIONI ALL’ITALIA NIENTE AIUTI A DB”

Un caso fortunato ha atto sì che oggi Francoforte sia chiusa per la festa della riunificazione. Anche per questo l’apertura dei listini europei dovrebbe registrare una lieve ripresa. Ma l’attenzione è ancora concentrata su Deutsche Bank e l’impatto della sua crisi sul futuro delle banche che, parola del Ceo del Crédit Suisse Tidjane Thiam, “soffrono di una condizione di grande fragilità”.

Dopo il rimbalzo di venerdì del titolo (che ha comunque lasciato sul terreno il 12,4% nel corso di settembre) i mercati danno per assai probabile l’acconto con Washington sulla multa “scontata” (da 4 a 5,4 miliardi). Ma l’emergenza resta. Primo, perché nel mirino Usa ci sono anche Barclays e Crédit Suisse, che dovranno pagare penalità simili per le irregolarità emerse dalla crisi dei subprime. Secondo, perché la crisi bancaria ha spaccato in due l’opinione pubblica tedesca.

Sigmar Gabriel, vicepresidente del consiglio, si è scagliato contro i vertici dell’istituto, “speculatori che ora accusano la speculazione per i propri guai”, ribadendo che lo Stato non interverrà. I grandi dell’industria tedesca (Basf, Daimler, Siemens, Eon e Rwe) hanno invece lanciato un appello: non possiamo fare a meno di Db, “aggredita” dalla giustizia Usa. Ma, recita l’editoriale della Frankfurter Allgemeine, “la Germania, così severa nei confronti dell’Italia e delle banche di altri membri della Ue, non può permettersi un atteggiamento morbido nei confronti della sua banca simbolo”.

LONDRA: DIVORZIO SENZA COMPROMESSI DAL 2019

Sotto tiro stamane la sterlina, scesa 1,2933 sul dollaro, ai minimi da agosto. È la reazione all’intervento di Theresa May, che al congresso conservatore ha precisato le richieste in vista della Brexit: Londra farà scattare l’articolo 50 del trattato (ovvero la clausola del divorzio) “non più tardi di marzo” con l’obiettivo di completare il divorzio dalla Ue entro il 2019. La Gran Bretagna, oltre a rivendicare la sua parte delle cantine comunitarie (ci spettano, dicono i britannici, 5.000 bottiglie di vino più 250 di superalcolici di gran regio) , non intende scendere a patti sull’immigrazione anche a costo di rinunciare ai vantaggi del mercato unico di beni e servizi.

SORPRESE ELETTORALI: LA COLOMBIA DICE NO ALLA PACE

Intanto sul fronte geopolitico si è verificata una nuova sorpresa, altrettanto clamorosa della Brexit: i cittadini della Colombia, con una risicata maggioranza (il 50,2%) hanno detto no alla pace siglata con i ribelli delle Farc a chiusura di un conflitto durato 52 anni. Difficile per ora valutare le conseguenze pratiche del rifiuto dell’accordo per cui, tra l’altro, si erano spese le diplomazie del Vaticano, degli Usa e di Cuba. Resta il fatto che, a voler fare previsioni in un momento così confuso, in cui sono saltati i punti di riferimento più radicati, si rischiano pessimo figure.

Altra sorpresa: il referendum anti-immigrati promosso dal premier ungherese Viktor Urban non ha ottenuto il quorum: finalmente una buona notizia.

TRUMP NON PAGA TASSE DAL 1995. VENERDÌ I DATI SUL LAVORO

Wall Street, dopo aver chiuso alla grande il terzo trimestre (+3,3%, miglior risultato da metà 2015) , torna ad occuparsi del duello per la Casa Bianca. Un’inchiesta del New York Times ha accertato che Donald Trump non ha pagato un dollaro di tasse allo Stato federale dal 1995.

Intanto scendono in campo i vice. Alla Longwood University di Farmville, Virginia, si affronteranno davanti alle telecamere Mike Spence, il candidato repubblicano scelto da Donald Trump, e Tim Kaine, che affianca Hillary Clinton nella marcia verso la Casa Bianca.

Sul fronte macro il dato americano più importante della settimana riguarda il mercato del lavoro, la statistica-chiave in vista di un eventuale aumento dei tassi (forse già a novembre). La previsione è per un aumento di 171 mila occupati contro i 151 mila di agosto. Il tasso di disoccupazione dovrebbe restare invariato al 4,9%. Non meno interessante sarà l’aumento dei salari previsti in aumento del 2,6% rispetto a dodici mesi fa.

Al via a Washington da venerdì l’assemblea d’autunno del Fondo Monetario Internazionale, preceduto in settimana dall’outlook sullo stato dell’economia mondiale ormai immersa, secondo il giudizio del Broking Institute, “in una sorta di palude”.  Segna il passo l’Europa, rallenta l’economia Usa. La crescita è garantita solo dalla riscossa dei Bric: avanza senza battute d’arresto l’India, rimbalzano Russia e Brasile.

ITALIA: ARRIVA IL RATING DI MOODY’S. UBI -15% A SETTEMBRE

Non è purtroppo altrettanto brillante la congiuntura italiana, come conferma il deludente andamento della Borsa italiana a settembre (-3,2%) sotto la pressione delle vendite sulle banche. La peggiore è stata Ubi, scesa nel mese del 15% in vista dell’ingresso nelle good banks, eredi degli istituti posti in risoluzione lo scorso novembre.

Ma la partita è ancora aperta: l’Autorità di Vigilanza europea ha concesso una proroga sull’operazione che presenta delicati profili fiscali e dubbi su eventuali Npl residui. In forte calo anche Mediobanca (-12,9%), Unicredit (-10,1%) e Intesa (-7,3%).

Acquista particolare rilievo in questa cornice il fatto che venerdì Moody’s, a Borse chiuse, aggiornerà il rating Italia. L’appuntamento macro più importante di oggi riguarda rilevazione dei dati Pmi dell’Eurozona, Italia compresa.  

IL SOLE 24 ORE ALLO SBANDO SI AFFIDA A ROBIGLIO

Va in scena oggi a Piazza Affari il dramma del Sole 24 Ore. Titolo: “Dall’ultimo miglio all’orlo del baratro”, come recita il duro comunicato del Cda a seguito degli ultimi tragici eventi di quello che è stato (e, speriamo, tornerà ad essere) un gioiello dell’editoria italiana.

Dopo le dimissioni del presidente Giorgio Squinzi e dei consiglieri Carlo Pesenti, Claudia Parzani, Livia Pomodoro e Mauro Chiassarini, ad di Bayer Italia, e quelle di Carmela Colajacovo (che resta in carica pro tempore), ieri il Cda ha nominato Carlo Robiglio presidente e il presidente di Bnl Luigi Abete quale suo vice. Confermato invece l’ad Gabriele del Torchio, però ricoverato d’urgenza in ospedale venerdì sera. Lo strappo è stato motivato da Pesenti, Pomodoro e Parzani con la “richiesta irrituale” arrivata da Confindustria sulla disponibilità a lasciare l’incarico. Il presidente Vincenzo Boccia, nel ribadire il valore strategico della casa editrice (1.263 dipendenti) aveva voluto sottolineare, rispondendo alle richieste del consiglio, che l’azionista “seguirà da vicino il buon andamento del progetto di risanamento”. Osservazione superflua che aveva il sapore di una bocciatura.

All’origine dello psicodramma ci sono le perdite dei primi sei mesi: 49,8 milioni che si confrontano con un risultato negativo rideterminato di 11,7 milioni di euro del 2015. Il piano industriale varato dall’ex presidente Benito Benedini e dall’es ad Donatella Treu (non è esclusa l’azione di responsabilità verso entrambi) è stato così clamorosamente disatteso. Emerge una situazione di assoluta opacità nella governance che imbarazza il vertice del capitalismo italiano ed ha già sollevato l’attenzione della Consob.

PIAZZA AFFARI DÀ L’ADDIO A ITALCEMENTI

Piazza Affari si accinge a dare l’addio a Italcementi. L’Offerta pubblica di acquisto di HeidelbergCement si è chiusa con adesioni pari all’86,087% (165.371.229 azioni). Le azioni apportate corrispondono al 47,3% del capitale complessivo che, sommandosi al 45% già detenuto, permettono al gruppo tedesco di oltrepassare il 90% (92,3%). 

Superata la soglia del 90%, HeidelbergCement procederà ora all’obbligo di acquisto in vista del delisting del titolo. Il costo dell’operazione è di 1,75 miliardi di euro, che si sommano agli 1,6 miliardi circa girati a Italmobiliare. I soci che hanno portato in adesione le loro quote saranno liquidati il prossimo 7 ottobre.

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