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Deposito nucleare, Confindustria: ecco perché si deve fare

Dopo la pubblicazione della mappa dei siti idonei, Confindustria fa i conti sui costi della non-gestione dei rifiuti nucleari e sui benefici (non solo economici) che deriverebbero al Paese dalla realizzazione del Deposito nazionale. Eccone una sintesi

Deposito nucleare, Confindustria: ecco perché si deve fare

Il nucleare è tornato a fare discutere. La pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, ha rilanciato la questione annosa della realizzazione del Deposito nazionale per i rifiuti nucleari. La Cnapi è arrivata con oltre 10 anni di ritardo, attraversando senza successo vari governi, solo Carlo Calenda al Mise con il Governo Gentiloni ebbe il coraggio di spingere per la sua approvazione ma dovette fermarsi di fronte alle elezioni. Era il marzo 2018. 

Senza andare troppo a ritroso nel tempo, le pressioni di Legambiente e il rischio concreto di una nuova procedura d’infrazione (sempre attuale) hanno portato al nuovo documento. E’ un primo passo e non è risolutivo ma segna almeno un punto d’inizio. L’Italia è in clamoroso ritardo su tutti gli altri Paesi europei e la messa in sicurezza dei 20 siti provvisori, ormai praticamente colmi dei rifiuti nucleari prodotti anche per l’attività sanitaria, industriale e di ricerca universitaria, rende sempre più urgente affrontare l’argomento.

Con quali costi e con quali benefici? Confindustria ha pubblicato un rapporto – “Il deposito nazionale: un progetto Paese. Prime valutazioni dell’impatto socio-economico” – che riepiloga le varie tappe della lunga vicenda nucleare e attraverso una panoramica anche europea, e fa un po’ di conti: non solo di quanto costa la non-gestione attuale del sistema dei rifiuti nucleari ma soprattutto di quanto invece apporterebbe in termini di benefici la costruzione del nuovo Deposito Nazionale. Se ritardarne la costruzione comporta oneri di gestione, per ogni singolo sito, stimati in 5 milioni di euro l’anno, la realizzazione dell’infrastruttura – per un costo di 1,5 miliardi – ne porterebbe circa il doppio – quindi 3 miliardi – in termini di effetti sul sistema economico italiano. Sono queste le conclusioni cui arriva il Rapporto curato dall’area Politiche industriali (Massimo Beccarello e Barbara Marchetti) e dal Centro studi (Massimo Ridà) di Confindustria in collaborazione con il Politecnico di Milano (Claudia D’Amico). Ne pubblichiamo qui di seguito l’Executive summary .

EXECUTIVE SUMMARY

A più di trent’anni dal referendum del 1987 che ha di fatto sancito la chiusura delle attività nucleari e degli impianti esistenti in Italia, i rifiuti radioattivi sono immagazzinati in depositi temporanei presso i siti nucleari di produzione che progressiva- mente, esauriranno le loro capacità ricettive e dovranno essere, oltre che costantemente mantenuti a norma, anche ampliati o raddoppiati. Anche se la situazione attuale non desta, al momento, preoccupazioni in termini di sicurezza, essa non è ottimale in quanto obbliga al mantenimento di presidi di sorveglianza in circa 20 diversi siti del territorio italiano.

Nel Deposito Nazionale, oltre al quantitativo di rifiuti già esistenti provenienti dall’attività di produzione di energia elettrica, si andranno a sommare: 

  • i rifiuti provenienti dalle attività di smantellamento delle installazioni nucleari;
  • lo smaltimento dei rifiuti provenienti dalle attività mediche, industriali e di ricerca scientifica che attualmente ven-gono raccolti e trattati da ditte specializzate generalmente sono conferiti all’ENEA1 nei depositi temporanei del Centro della Casaccia (Roma), gestiti dalla NUCLECO S.p.A2 nell’ambito del Servizio Integrato. Tali depositi sono ormai ai limiti della loro capacità di stoccaggio;
  • i rifiuti generati dal riprocessamento all’estero del combustibile irraggiato e destinati a tornare in Italia e il com- bustibile non riprocessabile ancora stoccato in Italia. Parliamo di rifiuti provenienti dal ritrattamento del combustibile irraggiato inviato in Inghilterra (Sellafield) dalle centrali di Latina e Garigliano e i rifiuti radioattivi e i materiali nucleari che deriveranno dal ritrattamento in Francia (La Hague). Questo comporta la necessità di avere la dispo- nibilità entro il 2025 di un deposito idoneo per tali rifiuti.

Queste sono le numerose ragioni per cui si rende impellente la necessità di individuare e realizzare il Deposito Nazionale che permetta, con i più moderni criteri di sicurezza e protezione, lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo (50 anni) di quelli ad alta attività.

Fonte: Deposito Nazionale

Infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività sono in esercizio o in progetto in quasi tutti i Paesi dell’UE, anche con capacità ben più grandi di quanto necessario per l’Italia. I più moderni e avanzati depositi superficiali si trovano in Francia, Spagna, Svezia, Giappone, Regno Unito e USA.

Per dare sistemazione definitiva ai rifiuti ad alta attività, l’Italia potrebbe partecipare insieme ad altri Paesi alla realizzazione di un deposito geologico di tipo consortile, in grado di accogliere i rifiuti di quegli Stati che abbiano piccoli inventari di rifiuti ad alta attività.

Inoltre occorre tenere ben presenti gli impegni derivanti dalle normative europee che non ammettono deroghe: il nostro Paese è sotto procedura d’infrazione (n. 2018/2021) con la conseguente costituzione di messa in mora ex articolo 258 TFUE. L’Italia (oltre all’Austria e alla Croazia) è stata deferita alla Corte di giustizia dell’UE per la mancata trasmissione del programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, nonché per il mancato recepimento della direttiva Euratom 59/2013. 

La realizzazione di un Deposito Nazionale con annesso Parco Tecnologico ha anche una valenza in termini di sviluppo economico. A fronte di una spesa prevista di 1,5 miliardi di euro, genererebbe infatti un impatto in termini di produzione sul sistema economico nazionale di circa 3 miliardi di euro, pari quasi al doppio dell’investimento iniziale; tale aumento della domanda si stima che possa generare un flusso di importazioni di beni intermedi per oltre 200 milioni di euro. In termini di valore aggiunto, il beneficio è stimato essere pari a 1,2 miliardi di euro (poco meno dello 0,1% quanto a PIL). Infine, è stimato che il mercato del lavoro benefici di 23 mila unità aggiuntive di occupati a tempo pieno (ULA, Unità di Lavoro Standard). 

L’applicazione dei modelli econometrici ai dati di stima connessi alla realizzazione del Deposito Nazionale restituisce un quadro di sviluppi socio economici ampio e articolato. I vantaggi non si limitano esclusivamente alla fase realizzativa, ma soprattutto a quella di esercizio operativo e, sul lungo periodo, istituzionale, con significativi effetti sulla generazione di valore, l’occupazione e la qualificazione dei settori coinvolti. 

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