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Debito rosso, giallo e verde: ecco come rendere l’eurobond flessibile e superare le riserve tedesche

Malgrado il nein della Merkel l’eurobond potrebbe alleggerire i problemi europei del debito pubblico e gettare le premesse dell’unione fiscale dell’Europa attenuando le tensioni dei mercati – Ecco un’inedita proposta tecnica, elaborata all’Università Politecnica delle Marche, per rendere fattibili questi titoli

Debito rosso, giallo e verde: ecco come rendere l’eurobond flessibile e superare le riserve tedesche

Con 1.902 miliardi di euro di debito e 1.560 miliardi di euro di reddito, l’Italia ha un rapporto debito/PIL poco sotto il 122 per cento. Peggio di noi c’è il Giappone, ma la crisi ha fatto decollare anche il debito/PIL di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Il contenimento del debito, quindi, accomuna tutte le grandi democrazie.

Maggiore crescita, più entrate fiscali, svalutazione, alta inflazione e ristrutturazione del debito non sembrano soluzioni attualmente applicabili in Italia perché le riforme necessarie allo sviluppo richiedono tempi eccessivi e scelte impopolari, l’imposizione fiscale è molto elevata, l’Euro ha trasferito la politica monetaria nelle mani della BCE e l’effetto contagio della ristrutturazione del debito di uno stato membro trascinerebbe l’intera Unione Europea nel baratro. Nella rincorsa del debito, quindi, il nostro stivale non solo parte da più lontano ma sembra anche avere le scarpe più rotte.

La crisi finanziaria ha demonizzato i prodotti finanziari complessi e la cartolarizzazione che li ha prodotti. Tuttavia, una soluzione al problema del debito potrebbe venire proprio dall’applicazione di questo meccanismo ai debiti dei paesi dell’Unione Europea aggiungendovi alcuni elementi tipici della microfinanza. L’idea sfrutta i vantaggi della diversificazione, della responsabilità congiunta e della discriminazione di prezzo.

Ogni paese membro dell’UE che voglia partecipare a un fondo comune europeo per la ristrutturazione dei debiti sovrani emette debito secondo varie categorie di rischio di credito. Ad esempio, ipotizziamo tre categorie: il debito “verde”, che avendo priorità assoluta di rimborso è il più sicuro, il debito “giallo”, meno sicuro del precedente, ma con precedenza di pagamento sul debito “rosso”, la più rischiosa e ultima parte del debito. In pratica, all’acquisto di un BOT, ogni investitore sceglierà in base alle proprie preferenze se avere un rendimento più elevato con un rischio maggiore (BOT “rosso”) o dormire sonni più tranquilli accontentandosi di interessi più bassi (BOT “verde”).

Poiché al variare del rischio di credito cambiano anche i rendimenti, l’emittente può praticare una discriminazione di prezzo: ogni investitore acquista a un prezzo più vicino a quello di riserva e lascia parte del proprio surplus all’emittente che, a parità di debito, pagherà interessi complessivamente inferiori. Attualmente, investitori con preferenze al rischio diverse che acquistano lo stesso titolo di stato ricevono gli stessi rendimenti: l’investitore più avverso al rischio però è disposto ad accontentarsi di interessi inferiori pur di avere rendimenti certi. Offrendo all’investitore avverso al rischio titoli in linea col suo profilo di rischio e rendimento, lo stato verrebbe a risparmiare sugli interessi da pagare. La suddivisione in diverse categorie di rischio può anche facilitare la diversificazione che oggi può avvenire solo sostenendo i costi di informazione connessi ai diversi titoli inclusi nel portafoglio e i costi di transizione per ogni operazione.

Il passo successivo richiede che i paesi aderenti decidano di mettere insieme nel fondo comune per la ristrutturazione dei debiti sovrani i loro debiti “verdi”, a fronte dei quali il fondo emetterebbe un eurobond le cui quote di debito conferite da ciascun paese vengono negoziate tra i partecipanti ad ogni emissione. La natura dinamica dell’eurobond permette non solo di adeguare velocemente la composizione del titolo al mutare delle condizioni economico-finanziarie dei paesi partecipanti, ma implicitamente dà un forte segnale ai mercati sulla direzione e l’entità dell’intesa politica raggiunta.

La trasformazione finanziaria così attuata abbasserebbe i tassi di rendimento rispetto al tasso medio ponderato dei singoli bond sottostanti e il risparmio potrebbe essere ripartito pro-quota tra i paesi aderenti riducendone gli oneri finanziari. Il beneficio finanziario incoraggerebbe l’adesione all’eurobond mentre la contrattazione delle quote eviterebbe la selezione avversa, cioè la mancata adesione dei paesi meno indebitati che temono di pagare per quelli meno affidabili. Ripetendo il gioco a ogni emissione, si elimina anche il moral hazard, cioè il comportamento opportunistico di chi pur potendo onorare il debito va in default strategicamente per accollarlo ai partner.

Eventuali comportamenti opportunistici da parte di un paese verrebbero puniti attraverso meccanismi simili a quelli operanti nella microfinanza. Qualora un paese aderente non pagasse il proprio debito, infatti, verrebbe automaticamente sanzionato con l’esclusione dalle successive emissioni di eurobond, esattamente come avviene nei contratti di group lending. Facendo default strategico si rinuncerebbe anche alla possibilità di aumentare la quantità di debito “verde” conferito all’eurobond su cui si paga un tasso di interesse inferiore, un meccanismo simile al progressive lending. Infine, analogamente a quanto avviene nella microfinanza, la responsabilità congiunta incentiverebbe ciascun paese a monitorare i partners premendo per raggiungere obiettivi di bilancio, trasparenza e politiche di sviluppo. Questo reciproco monitoraggio spingerebbe i paesi verso l’unione fiscale per via graduale consentendo in questo modo a quelli “virtuosi” di sanzionare eventuali comportamenti opportunistici dei paesi “viziosi” e a questi ultimi di adottare misure più rigorose sul piano finanziario.

Che ruolo avrebbero debito “giallo” e “rosso”? Oltre a sfruttare i vantaggi della discriminazione di prezzo, servirebbero a limitare il potere delle agenzie di rating. Nella condizione attuale, un declassamento del merito di credito penalizza tutto il debito allo stesso modo. Con una obbligazione al rischio progressivo, le tranche verrebbero valutate individualmente: abbassare contemporaneamente e uniformemente i loro rating sarebbe una operazione giudicata troppo superficiale dai mercati e l’agenzia di rating rischierebbe di danneggiare la propria reputazione. Il debito “giallo” potrebbe essere cartolarizzato per affinità geografica, ad esempio un Sud-Eurobond e un Nord-Eurobond. Le minori differenze tra stati renderebbero la contrattazione più facile e data la complementarietà con la contrattazione a livello comunitario, ciò potrebbe ridurre la conflittualità anche in quest’ultima. Il debito “rosso” sarebbe un volano: in caso di forte attacco speculativo, andrebbe rapidamente in default allentando in tal modo la pressione sul resto del debito.

Per rendere la proposta più concreta, si consideri il seguente esempio. Si emette un eurobond a due anni con cedola annuale del 5 percento a fronte di due analoghi debiti nazionali “verdi” sottostanti, uno tedesco e uno greco: ai valori correnti, il primo quota 106,96 con un rendimento implicito dell’1,44 percento e il secondo 81,87 con un rendimento del 16,35 percento. I governi di Atene e Berlino negoziano le quote accordandosi per il 94 percento alla Germania e 6 percento alla Grecia. Se l’asta dell’eurobond fissasse un prezzo di 105,30, il rendimento implicito sarebbe dell’2,26 percento, 8 punti base inferiore al rendimento medio ponderato dei due titoli sottostanti cioè 2,34 percento. Il mercato prezza i minori costi di informazione e transazione per ottenere la diversificazione. Dato che la responsabilità congiunta rende l’eurobond meno rischioso di un analogo portafoglio degli stessi titoli, il suo prezzo potrebbe salire, ad esempio, a 105,6. Infine, l’accordo raggiunto tra i paesi darebbe un importante segnale di coordinamento politico: ipotizziamo che il prezzo arrivi a 105,75. L’eurobond avrebbe quindi un rendimento del 2,04 percento. Il risparmio di 30 punti base rispetto al rendimento medio ponderato verrebbe ripartito pro-quota: 28 punti base alla Germania che pagherebbe un interesse dell’1.16 percento e 2 alla Grecia portando il suo tasso di interesse al 16,33 percento. I vantaggi dell’eurobond si amplificano esponenzialmente all’aumentare dei partecipanti. Il titolo riceverebbe un rating di AAA di fatto isolando parte del debito dai giudizi (a volte discutibili) delle agenzie di rating. Infine, un eventuale default sul debito rosso di un paese partecipante aumenterebbe la probabilità di ripagare il suo debito verde con conseguenti risparmi sui tassi di interesse dell’eurobond e un effetto stabilizzante sul titolo europeo. Insomma, i benefici complessivi, pur difficili da quantificare, dovrebbero essere rilevanti e meritano di essere sfruttati.

Malgrado il vertice Sarkozy-Merkel abbia deluso le attese e non abbia compiuto passi avanti sostanziali per le riserve tedesche, gli eurobond potrebbero alleggerire i problemi europei di debito pubblico e gettare le premesse per un’unione fiscale. Un primissimo passo verso l’eurobond può essere considerato il recente fondo salva-stati. I limiti dell’Efsf sono noti: risorse insufficienti per affrontare crisi di debito e bancarie in più paesi, soprattutto nel caso di paesi non periferici come l’Italia. Ma, il vincolo maggiore dell’Efsf potrebbe derivare dal fatto che è frutto di un accordo politico discrezionale una tantum e non della negoziazione economico-finanziaria e quindi il suo aggiustamento agli shock finanziari potrebbe essere troppo lento per i ritmi frenetici dei mercati.

È chiaro che allo schema proposto dovranno seguire misure di medio termine che contengano il debito e soprattutto promuovano la crescita in maniera strutturale. Insomma, un po’ di convivenza prima di sposarsi potrebbe evitare rovinosi immediati divorzi e permettere di superare le prime burrasche della vita di coppia ma per un matrimonio europeo duraturo servono elisir più potenti di un semplice escamotage finanziario.

*Economista dell’Università Politecnica delle Marche


Allegati: Francesco_Marchionne.doc

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