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Crisi del debito: come è cambiata negli ultimi 20 anni e quali Paesi sono più esposti

Secondo i dati dell’Fmi e della Banca mondiale, si è completamente ribaltata la geografia del debito pubblico. Gli emergenti guidati da Cina e Brasile surclassano le vecchie economie occidentali, che ci metteranno almeno 7 anni per risanare i conti. Ma chi ci rimette davvero? Circa 200 mld di dollari di debiti sovrani appartengono infatti a banche straniere

Crisi del debito: come è cambiata negli ultimi 20 anni e quali Paesi sono più esposti

C’erano una volta i ricchi e i poveri. I Paesi avanzati e quegli altri, che all’epoca non erano nemmeno chiamati, come adesso, “emergenti”, ma “in via di sviluppo” o addirittura “del terzo mondo”. Questi ultimi erano ancora gli alunni, spesso e volentieri bocciati e rimandati, dei “professori” dell’economia mondiale.

Nel 1991, secondo i dati dell’Fmi e di Eurostat, i Paesi in via di sviluppo erano fortemente indebitati e subivano i sermoni dei potenti, che volevano educarli tramite gli appositi istituti: Banca mondiale e Fondo monetario internazionale.

Per quasi 20 anni questa situazione è rimasta tale, salvo progressivamente cambiare e improvvisamente ribaltarsi negli ultimi 3 anni, da quando cioè la crisi finanziaria ha travolto i sistemi economici di Europa e Stati Uniti.

Adesso, gli allievi hanno superato i maestri, e le potenze occidentali soccombono di fronte ai nuovi ricchi, Cina e Brasile in testa. Secondo uno studio dell’agenzia di rating Moody’s, il debito pubblico medio dei Paesi occidentali è il 70% del Pil, mentre quello dei Brics solo il 45%. Addirittura negli ultimi tre anni, nella sola zona euro la percentuale è passata dal 66% di media all’85%, con già tre Paesi (Irlanda, Portogallo e Grecia) che sono dovuti ricorrere agli aiuti internazionali.

Andando a vedere la storia di questi ultimi 20 anni, si nota come Paesi che erano drammaticamente indebitati, come la Russia del 2000 (100%) e l’Argentina del 2003 (139%), si siano ora nettamente ripresi: la Russia nel 2009 era scesa addirittura all’8%, con previsioni 2011 all’11, mentre l’Argentina è ormai stabilmente sotto il 50%. La stessa Indonesia è passata in dieci anni dal 95 al 27% del rapporto debito pubblico/Pil.

Viceversa è andata sempre peggiorando la situazione dei Paesi occidentali. Nel 1991 il debito pubblico statunitense era il 68%, oggi ha raggiunto il 100%, con una cifra intorno ai 14.600 miliardi di dollari. Un ventennio fa il debito di Francia, Regno Unito e Germania era contenuto fra il 30 e il 40%, adesso le maggiori potenze europee (anche se gli inglesi non fanno parte dell’euro) superano stabilmente l’80%. Il debito italiano già nel 91 sfiorava il 100% nel rapporto col Pil, ma adesso supera il 120%.

Decisivi sono stati gli anni dal 2003 al 2008. I fattori principali di questa inversione di tendenza sono tre:  il primo è che gli emergenti hanno irrigidito la loro disciplina finanziaria intorno agli anni 2000, proprio seguendo i consigli dell’Fmi. Poi, hanno approfittato di un tasso di crescita molto più elevato di quello degli altri Paesi, il che ha contribuito a ridurre l’indebitamento. Inoltre hanno beneficiato, in particolare gli Stati dell’Africa, del cancellamento del debito da parte del Fondo e della Banca mondiale.

Al contrario, l’occidente non è cresciuto e neanche è stato troppo attento al proprio budget. Buona parte delle nazioni in questione ha iniziato il proprio processo di crisi ben prima del 2008, salvo vederlo poi definitivamente precipitare.

Secondo una stima degli analisti americani Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, ci vogliono mediamente dai 7 ai 10 anni per un Paese per risanare i propri conti. Dunque per gli ex ricchi si preannuncia un decennio doloroso, che potrebbe vedere la fine solo nel 2017.

Secondo i dati più recenti, il Paese più indebitato del mondo è il Giappone (230%) davanti alla Grecia (152%). L’Italia occupa la sesta posizione (120%), gli Usa la nona (100%), la Francia la quattordicesima (87%).

Interessante è però anche capire come si intrecciano tali dinamiche, nel senso che buona parte del debito di un Paese è detenuto da altri, tramite titoli di stato acquistati dalle banche straniere.

Non è un caso dunque che Obama, per esempio, si affretti a chiamare la Merkel per chiederle di risolvere la crisi greca, visto che non poche banche Usa sono creditrici nei confronti di Atene. O per esempio che alcuni Brics, in particolare la Cina, sono disposti a sborsare centinaia di milioni di euro per aiutare l’Europa ad uscire la crisi. Magari per salvare neanche troppo indirettamente se stessi e i propri investimenti.

Il problema di capire chi è più esposto e per quali cifre è spesso difficile, poichè questi dati non sono obbligatori. La BRI (Banca dei regolamenti internazionali) ne ha pubblicati solo alcuni. Da questi si evince ad esempio che la Cina ha quasi 3.200 miliardi di investimenti in debiti pubblici esteri. Non è dato sapere esattamente dove, ma tramite le statistiche del Tesoro Usa si sa che 1.200 sono piazzati soltanto negli Stati Uniti, mentre circa 700 milioni in eurozona.

O ancora emerge che il Regno Unito è il terzo detentore di debito Usa, che a sua volta è un grande creditore nei confronti del Giappone, mentre la Spagna ha investito sul Brasile, e Francia e Germania sull’Italia.

In totale stando a dati aggiornati a dicembre 2010, il totale del debito detenuto da banche straniere è di 200 miliardi di dollari, e il grosso della partita si gioca nel triangolo Wall Street, Londra, Pechino.

E l’Italia? L’Italia ha visto nell’ultimo anno la propria quota di debito pubblico in mani straniere passare dal 53 al 47%. Secondo il dato aggiornato recentemente (al 30 giugno 2011), il debito totale è di 1843 miliardi di euro. I principali creditori sono la Francia con 80 miliardi e la Germania con 35, mentre gli Usa hanno puntato sui titoli italiani solo per 9 miliardi.

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