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Covid-19, in marzo crollano i consumi: -31,7%

Secondo Confcommercio La pandemia da Coronavirus ha scosso in profondità il settore commercio e turismo – Cresce solo l’alimentare – Non meglio le vendite online, in discesa in Europa ma Amazon vola negli Usa

Covid-19, in marzo crollano i consumi: -31,7%

Crollano i consumi, le vendite e il PIL. L’impatto dell’attuale emergenza sanitaria sull’economia italiana è difficile da stimare, dato che ancora non si hanno date precise in cui le attività potranno riprendere a pieno ritmo. Secondo i dati elaborati da Confcommercio, il primo trimestre 2020 il PIL indica una riduzione tendenziale del 3,5 % e del 13 % nel mese di aprile. Per il primo trimestre dell’anno 2020 si stima una riduzione dei consumi del 10,4%, rispetto allo stesso periodo del 2019 e le vendite sono crollate in quasi tutti i settori, fatta eccezione per quello alimentare. In marzo addirittura il crollo dei consumi è stato del 31,7%.

“Siamo difronte a dinamiche mai viste sotto il profilo statistico-contabile, con tassi di variazione negativi in doppia cifra non visibili da almeno 60 anni“, afferma Confcommercio. Inoltre, la produzione si è adeguata con qualche ritardo rispetto al depotenziamento repentino della domanda. Fiducia e indici di attività produttiva sono crollati a marzo, insieme alla scomparsa della domanda per consumi.

Se da un lato i provvedimenti delle autorità nazionali e internazionali non possono modificare il profilo delle perdite di prodotto o di domanda, dall’altro possono però mitigare le perdite di reddito disponibile connesse al blocco delle attività, trasformandole in larga misura in deficit pubblico e quindi debito sovrano.

Se analizziamo nel dettaglio l’andamento delle diverse funzioni di spesa mettendo a confronto il mese di marzo 2020 con quello dell’anno precedente, si rilevano andamenti articolati, connessi soprattutto alle esigenze specifiche delle famiglie durante la quarantena. In crescita sono il settore alimentare (+9,6%), il comparto farmaceutico e terapeutico (+4,0%) e i servizi per la comunicazione (+8,0%).

Per quanto riguarda le altre voci di spesa, si rilevano riduzioni drastiche, fino all’azzeramento della domanda.  Secondo Confcommercio, “i dati “veri” sull’accoglienza turistica (-95% degli stranieri a partire dall’ultima settimana di marzo), sulle immatricolazioni di auto (-82% nei confronti dei privati), sulle vendite di abbigliamento e calzature (attualmente -100% per la maggior parte delle aziende, precisamente quelle non attive su piattaforme virtuali), per i bar e la ristorazione (-68% considerando anche le coraggiose attività di delivery presso il domicilio dei consumatori), appaiono di sconcertante evidenza”.

La vendita online non è stata sufficiente per molti settori a mitigare gli effetti della quarantena, e così in marzo beni e servizi ricreativi (-60,1%), alberghi e pubblici esercizi (-69,5%), abbigliamento e calzature (-67,4%), beni e servizi per la mobilità (-63,3%) indicano vistose contrazioni. Questo perché il colosso dell’e-commerce, Amazon, ha ridotto le consegne ai soli prodotti ritenuti essenziali in Europa.

Situazione ben diversa negli USA, dove gli acquisti online sono schizzati alle stelle. Da qui, l’annuncio di Bezos per la creazione di altri 75 mila posti di lavoro che si vanno a sommare alle 100 mila assunzioni fatte nelle scorse settimane.

La prima mossa per arginare l’impatto della crisi in Italia è attraverso la concessione di abbondante liquidità a basso costo. Da una parte non sufficiente a coprire le perdite subite dagli imprenditori e dai lavoratori. Per questo motivo, secondo Confcommercio, sarebbe opportuno affiancare a questi provvedimenti una serie di indennizzi proporzionali alle perdite subite, al netto delle imposte potenzialmente dovute. Senza, si corre il rischio che la liquidità eccezionale non sarà realmente domandate, almeno dai soggetti più in difficoltà, rendendo così la ripartenza meno vivace.

Il tema della ripresa è ancora pieno di domande. Considerando che la pandemia ha colpito un Paese che ancora stava facendo i conti con la crisi del 2008, bisogna evitare che la ricostruzione dei livelli di benessere economico post-Coronavirus, già depressi nel 2019, duri troppi anni. Il rischio maggiore per il nostro Paese è l’emarginazione strutturale che potrebbe derivarne, rispetto a temi come l’innovazione tecnologica, la sostenibilità e la crescita di lungo termine. E a pagarne le conseguenze sarebbero le generazione più giovani.

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