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Coronavirus? Per la salute è peggio lo scioglimento dei ghiacciai

Un team di ricercatori americani ha analizzato un ghiacciaio del Tibet, dimostrando che vi sono intrappolati 33 gruppi di virus (dei quali 28 sconosciuti e dunque più pericolosi), che con il disgelo verrebbero liberati nell’aria e venire a contatto con le falde acquifere.

Coronavirus? Per la salute è peggio lo scioglimento dei ghiacciai

Cosa c’entra l’emergenza climatica, e in particolare lo scioglimento dei ghiacciai (e del permafrost) con la nostra salute? Ben più di quello che si pensa, e non solo per gli effetti delle ondate di calore e dei fenomeni meteorologici estremi. Proprio nelle settimane in cui nel mondo impazza la psicosi per l’epidemia cinese del coronavirus, è stato pubblicato uno studio che espone i risultati di un progetto di ricerca iniziato già nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi.

Gli scienziati hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nel nord-ovest dell’altopiano del Tibet, perforando uno strato di ghiacciaio fino a 50 metri, ed il risultato è stato impressionante: mentre ci preoccupiamo (in parte legittimamente) per la diffusione di un virus che non registra un tasso di mortalità significativamente maggiore di quello di una normale influenza, siamo ignari del fatto che custoditi nei ghiacciai ci sono 33 gruppi di virus, dei quali 28 sconosciuti e di origine antica, e per questo ancora più pericolosi.

Il rischio infatti è che, per effetto del cambiamento climatico che colpisce più duramente ai poli, lo scioglimento dei ghiacci liberi i batteri intrappolati per tutto questo tempo. Facendo arretrare e assottigliare anche i grandi ghiacciai himalayani l’emergenza climatica può dunque liberare nell’atmosfera antichi virus sconosciuti e quindi potenzialmente pericolosi: non avendo a che fare con quei virus e batteri da tempo, l’uomo non è più equipaggiato con gli anticorpi necessari ad affrontarli.

Inoltre, alcune di queste patologie non si sono mai diffuse da quando esiste la medicina moderna, che non dispone quindi di studi affidabili su cui basare la produzione di cure e vaccini. Il pericolo non viene solo dai ghiacciai: secondo il biologo Jean-Michel Claverie, professore emerito di Genomica e Bioinformatica all’università di Aix-Marseille, le regioni più settentrionali del pianeta, fino a oggi disabitate, a causa del disgelo sono sempre più interessate dalle ricerche minerarie di petrolio e terre rare. Scavando però si possono riportare in superficie non solo i minerali, ma anche le malattie sepolte.

Preoccupa in particolare lo scioglimento del permafrost, ossia lo strato di terreno ghiacciato costituito da biomassa vegetale stratificatasi nel tempo: è l’ambiente perfetto per conservare batteri e virus anche per milioni di anni perché è ghiacciato, privo di ossigeno e buio. Lì tra l’altro potrebbero trovarsi anche i responsabili delle epidemie globali del passato, che potrebbero dunque concretamente tornare attuali, come il vaiolo (che ha un tasso di mortalità del 35%) o la peste bubbonica, secondo quanto sostiene il professor Claverie.

Con il disgelo del permafrost, che procede ormai al ritmo di 50 centimetri ad ogni estate, e l’Artico che ogni dieci anni perde circa il 13% della propria copertura di ghiaccio, c’è seriamente il rischio che questi patogeni possano liberarsi nell’aria ed entrare in contatto con le falde acquifere. E non solo i virus. Lo studio pubblicato dal team americano dimostra che possono sopravvivere per migliaia di anni (e tornare a colpire) anche i batteri che producono spore, come quelli responsabili del tetano e del botulismo.

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