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Contratto di cantiere: perché l’illegalità affonda l’edilizia

Nei cantieri edili l’illegalità diffusa sta mettendo in ginocchio le imprese che lavorano correttamente – L’allarme dell’Ance e gli impressionanti dati sul crollo dei salari e degli iscritti alla Cassa Edili – E’ ora di muoversi verso un contratto unico di cantiere e i sindacati devono fare la loro parte.

Contratto di cantiere: perché l’illegalità affonda l’edilizia

In occasione della recente assemblea dei costruttori dell’area metropolitana di Milano il Presidente dell’Ance, Claudio De Albertis, ha lanciato un allarme assai inquietante che non sembra aver raccolto soverchia attenzione (la relazione di Gianfelice Rocca all’Assemblea di Assolombarda non ha neppure citato il settore delle costruzioni) sulle condizione d’illegalità diffusa in cui si trovano a operare nei cantieri edili le imprese che lavorano correttamente, assediate dalle lobby di un settore in cui le regole sono saltate e dilaga la concorrenza sleale.

Su quali presupposti si fonda questo allarme che viene da un leader di lungo corso del mondo associativo imprenditoriale? Da una parte sembra esserci un’inversione di tendenza nel settore dopo l’infausta parentesi 2008-2015 in cui è andato perduto oltre il 40% del monte retributivo e quasi il 50% delle ore lavorate, ma i dati relativi alla massa salariale rilevati dalla Cassa Edile, alla quale dovrebbero essere iscritti tutti lavoratori che lavorano nel settore, vanno in senso contrario. Infatti si registra un’ulteriore riduzione stimata per il 2016 del’8,53%.

Nello stesso arco temporale il numero dei dipendenti passa da poco più di 34 mila a poco meno di 25mila. La stesso realizzazione di Expo non ha portato nella Cassa Edile grandi benefici. Come si spiega tutto ciò? Quello che preoccupa maggiormente è che le norme contrattuali applicate a un grande numero di lavoratori abitualmente presenti nei cantieri, sono diverse rispetto a quelle del contratto degli edili che risultano iscritti alla cassa.

Inoltre la presenza nei cantieri di imprese che, pur svolgendo lavorazioni analoghe a quella edile, se non sostanzialmente equivalenti, applicano ai lavoratori contratti collettivi di settori merceologici diversi da quello edile è un fenomeno destinato ad allargarsi perché il settore delle costruzioni sarà caratterizzato in misura crescente dall’integrazione con altre attività di impiantistica e di servizi.

In altre parole si utilizzano contratti meno costosi, anche sotto il profilo della sicurezza e dell’inquadramento previdenziale ed assicurativo, per garantirsi maggiore competitività creando una sorta di dumping sociale che aggira le normative distorcendo la concorrenza a danno delle imprese che rispettano le regole. È evidente che questo meccanismo, se non ne saranno rimosse le cause, al pari della moneta cattiva che scaccia quella buona si fermerà solo quando il contratto degli edili sarà applicato solo a fasce residuali di lavoratori. Per dirla con il Presidente De Albertis, “o ci salviamo tutti o scompariamo”.

È vero che non necessariamente tutte le attività di un cantiere sono riconducibili alle fattispecie professionali del contratto edile, ma di fronte all’evidenza di un’anomalia così grave occorrono subito proposte concrete tanto chiare quanto efficaci. Bisogna partire dalla consapevolezza che è l’impianto legislativo e contrattuale in vigore a consentire questa degenerazione.

La mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, nonostante una giurisprudenza che tende a riconoscere efficacia generale ai contratti sottoscritti dalle maggiori organizzazioni sindacali, consente non solo la sottoscrizione di contratti per aziende, settori o aree professionali, ma anche la coesistenza di contratti differenti sottoscritti per lo stesso settore da soggetti contrattuali diversi, siano essi più o meno rappresentativi. A questo si aggiunge che è stato sempre osteggiato proprio dal sindacato un provvedimento di legge che stabilisse il cosiddetto “salario minimo”.

La soluzione più lineare, avanzata dall’associazione dei costruttori e condivisa dal sindacato degli edili, sarebbe certo quella del contratto unico di cantiere, integrando i “nuovi” profili professionali ed estendendo l’efficacia di tale contratto a tutto il personale presente in cantiere cui verrebbero garantite le tutele di sicurezza e le prestazioni degli enti bilaterali, a partire dalle casse edili.

Nello stesso tempo verrebbe eliminata in radice quella che potremmo definire l’elusione contrattuale e crescerebbe il monte retributivo dei lavoratori. Si può obiettare che questo non cancellerebbe il lavoro nero o addirittura potrebbe farlo crescere ma si può anche controdedurre che i controlli per le evasioni fiscali e contributive sarebbero resi più semplici ed efficaci da un assetto contrattuale uniforme.

I veri nemici di questo progetto si annidano numerosi non solo tra gli imprenditori che, approfittando di circostanze che lo consentono, applicano contratti meno onerosi di quello delle costruzioni, ma anche tra i sindacati che organizzano e rappresentano lavoratori ai quali si applica un contratto diverso da quello dell’edilizia. Sono i soggetti che esprimono interessi legittimi ma conservatori di uno status quo che, ad avviso dell’associazione dei costruttori e dei sindacati edili, è alla base di gravi fenomeni distorsivi se non del dilagare del ricorso del lavoro nero.

Una soluzione intermedia di compromesso è però possibile. Si tratterebbe di prevedere (un provvedimento legislativo ad hoc taglierebbe la testa al toro), per tutte le imprese che svolgono attività di qualsivoglia natura in un cantiere edile senza eccezione alcuna, l’obbligo di iscrivere i propri dipendenti alla cassa edile locale ( che a Milano oggi controlla solo il 30-40% della manodopera che entra in cantiere) per consentir loro di ricevere le stesse tutele e tutte le prestazioni garantite ai lavoratori cui è applicato il contratto dell’edilizia.

Lo stesso obbligo dovrebbe valere anche per gli imprenditori individuali, nei confronti dei quali è assolutamente necessario e urgente stabilire normative rigorose e selettive di accesso alla professione. L’azione per la legalità talvolta ottiene i migliori risultati con passaggi graduali ma efficaci per neutralizzare le lobby conservatrici che si annidano un po’ dovunque e si alimentano anche per l’opacità e il sovrapporsi di norme che, magari in nome della libera circolazione della forza lavoro, consentono troppi margini di discrezionalità. Se, come dice De Albertis, è necessario e possibile trovare la soluzione entro la fine dell’anno, bisognerà affrettarsi.

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