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Confindustria tra le liturgie da Concistoro e lo strappo di Bonometti

Non era mai capitato nella storia di Confindustria che la presentazione dei candidati alla Presidenza avvenisse, come a Torino, in blindatissime riunioni extra omnes – Malgrado l’invito alla riservatezza dei Saggi, il candidato Marco Bonometti rompe gli argini al grido di “la Confindustria è quasi tutta da rifare” e presenta un programma ruvido e ondivago con una imperdonabile caduta di stile ma nessun chiarimento sui veri problemi delle imprese italiane e sulle emergenze di Confindustria (dalla Luiss al Sole 24 Ore)

Non era mai capitato nella lunga storia della Confindustria di assistere a riunioni blindate, strettamente riservate ad inviti personali, precluse alla stampa e agli osservatori. Eppure la liturgia dei Concistori e l’ordine perentorio dell’extra omnes è stata adottata a Torino nel primo incontro per il rinnovo della presidenza di Viale dell’Astronomia. L’unica notizia del confronto all’americana fra i quattro è stato il ribadito rifiuto di Marchionne di rientrare con la FCA in Confindustria e l’amara constatazione di Edoardo Garrone su “ un sistema di selezione delle candidature volontarie e di elezione della presidenza che trascina con sé motivi forti di divisioni interne e strascichi pericolosi nella vita dell’associazione”.

I saggi e i probiviri confindustriali avevano raccomandato una maggior riservatezza dei candidati nei loro comportamenti pubblici, invitandoli a non diffondere documenti o programmi, a rinunciare ad interviste o dichiarazioni in questa delicata fase dei loro sondaggi pena “l’automatica esclusione dalla partecipazione al rinnovo della presidenza”. Era ancora fresco di stampa l’invito dei saggi e in corso i lavori “carbonari” di Torino quando una lunga lettera di intenti programmatici, a firma di Marco Bonometti, ha invaso l’intero sistema confederale e le redazioni, seguita, nel week- end, da dichiarazioni ed interviste sulle tre testate della stampa bresciana. Il documento scritto (la cui analisi non ha lasciato dubbi rispetto alle penne chiamate alla sua stesura) informa che “la discesa in campo” è fatta “in nome dell’amore verso l’impresa e verso l’Italia”. Roba già sentita a suo tempo in campo politico. Nelle interviste del week-end e nel saluto ai cavatori di marmo di Botticino, Marco Bonometti ha abbandonato le finezze stilistica e le cadenze misurate del documento inviato al sistema, rimettendosi in capo il suo naturale ed originale (per questo in molte occasioni apprezzato) cappello da bersagliere.

Così “la Confindustria è quasi tutta da rifare” e, ignorato del tutto Vincenzo Regina, il concorrente collega Vincenzo Boccia viene liquidato come “un non problema”. Una caduta di stile imperdonabile. Per Alberto Vacchi “ci sono troppi applausi dalla Fiom e dalla Uilm”. Eppure sulle pagine bresciane del Corriere la candidatura viene sottolineata come un ruggito della Leonessa e il ripetuto “non voglio alleati né accordi” un orgoglioso senso di forza che non tiene conto dell’articolata struttura (merceologica, territoriale, dimensionale) confindustriale. Forse alcuni consiglieri di Marco Bonometti pensano a miracolose aggregazioni istintive, motivate al consenso dalla durezza ondivaga del linguaggio o dal barocchismo di un documento programmatico. Ma non sarà così. Infatti, fino ad oggi, sono ignorati i nodi interni di Confindustria come la LUISS e i conti in rosso dell’editrice de Il Sole 24 Ore. Non si è letta e sentita una parola capace di mettere in luce il nodo del credito bancario alle imprese né quella coraggiosa “di mettere i piedi nel piatto” gelosamente tenuto in sordina della cronica sottocapitalizzazione e degli assetti patrimoniali delle imprese italiane ormai note per essere dei conventi poveri governati da frati ricchi.

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