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Confindustria, le sfide del nuovo Presidente

Giovedì il Consiglio sceglierà il successore di Squinzi alla presidenza che dovrà fare i conti con un quadro politico diverso dal passato, con un’Europa senz’anima e con l’urgenza di una politica industriale nuova – Finora Vacchi e Boccia si sono mossi con spirito innovativo senza padrinaggi ma ora chi vince deve allestire una squadra all’altezza e attuare i programmi

Giovedì, nella mattinata, i 198 membri del Consiglio Generale di Confindustria nomineranno il candidato ufficiale alla presidenza: l’imprenditore che nell’Assemblea Generale di maggio succederà nella carica a Giorgio Squinzi. L’esito del voto a scrutinio segreto non è così scontato. Infatti Alberto Vacchi e Vincenzo Boccia sono usciti dal sondaggio dei Saggi quasi appaiati avendo raccolto oltre il novanta per cento delle designazioni, pescando consensi ambedue in diverse regioni, tra le categorie e le associazioni territoriali.

Un consenso trasversale che ha premiato sia il “metalmeccanico” emiliano che il “grafico” di Salerno: comunque manifatturieri. E’pertanto molto difficile immaginare un distacco significativo tra i due nello scrutinio di giovedì anche se il voto segreto potrebbe far emergere qualche indisciplina rispetto alle decisioni assunte “in patria” con piccole ma significative defezioni dell’ultimo momento.

Ciò che è certo è il fatto che i due candidati ritirati (Aurelio Regina e Marco Bonometti) non potranno giocare la carta dell’apparentamento dal momento che il pacchetto di voti disponibili nella loro volontà è veramente esiguo e, dopo il ritiro, ancor più aleatorio. Aurelio Regina ha lasciato liberi i suoi sostenitori del Lazio e Marco Bonometti dopo la sfuriata poco diplomatica che ha accompagnato il suo abbandono non è certo in grado di imporre ai sei bresciani del Consiglio alcunché.

Confindustria avrà alla sua testa un Presidente che non ha attraversato la Ricostruzione del dopoguerra, le stagioni del terrorismo in fabbrica e quella di una accesa conflittualità sindacale come quella degli anni ’70 e ‘80. Avrà un Presidente che dovrà fare i conti con un quadro politico del tutto diverso rispetto al tradizionale scenario pressato da un copione consolidato di consociativismo e di scambio reciproco sulla pelle della spesa pubblica e dell’indebitamento di bilancio.

Avrà un Presidente che dovrà affrontare la crisi di una Europa senza anima che rischia di trascinare con sé anche il libero mercato unico interno, la sua moneta, le sue libertà economiche su cui è cresciuta l’economia del continente e, in primo luogo, quella dei paesi sconfitti e distrutti dalla guerra: la Germania e l’Italia appunto.

Avrà un Presidente che dovrà affrontare questioni di politica industriale del tutto nuove (si pensi alla contrattazione aziendale come pilastro delle relazioni tra le parti sociali) e questioni di allargamento della base produttiva del Pese nell’orizzonte largo dei mercati mondiali e in quello endemico del ritardo secolare del Mezzogiorno.

Vacchi e Boccia hanno affrontato il consenso con spirito innovativo, declinando padrinaggi o millantate investiture. Ora, dopo il voto di Giunta, li aspetta l’impegno della squadra di governo e i punti programmatici non più enunciati ma rigorosamente messi in fila per essere affrontati e portati a compimento.

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