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Confindustria: “Con le misure del governo le tasse aumenteranno”

Il Centro Studi di Confindustria smonta la manovra del governo. Riviste al ribasso le stime sul pil per il 2018 e 2019. Aumento dello spread e “incapacità di incidere sui nodi dell’economia” minano la fiducia e frenano il Pil. Tria rassicura: “ridurremo il debito e dal 2020 anche il deficit”.

Confindustria: “Con le misure del governo le tasse aumenteranno”

L’analisi del Centro Studi di Confindustria (Csc) sulle misure che dovrebbero rientrare in Manovra sembra essere impietosa: la quota 100 farà aumentare “il prelievo contributivo sul lavoro”, per finanziare la flat tax non basteranno i soldi “della maggiore crescita indotta”, il condono “crea problemi all’erario”. Il reddito di cittadinanza? Secondo il Csc i prossimi governi potrebbero dover “aumentare le tasse” per finanziarlo.

Confindustria ha presentato il rapporto “Dove va l’economia Italiana e gli scenari di politica economica” e sancisce una bocciatura a tutto tondo per i provvedimenti cardine su cui si impernia il contratto di governo tra Lega e M5S. Misure per finanziare le quali lo stesso esecutivo ha deciso di far risalire il deficit al 2,4%, mandando in orbita lo spread e innervosendo i mercati.

“Il governo non torna indietro – è la risposta del vicepremier, Luigi di Maio – chi si illude, come il Centro Studi di Confindustria, sappia che si sta facendo una cattiva idea. Nella manovra ci saranno tutte le misure previste dal contratto”.

CONFINDUSTRIA: LE STIME SU PIL E DEFICIT

Il Centro studi Confindustria riduce dello 0,2% rispetto alle precedenti previsioni le stime sul PIL 2018 e 2019. Nel dettaglio, nell’anno in corso il prodotto interno lordo italiano crescerà dell’1,1%, mentre per il 2019 si prevede un +0,9%.

Le stime, sottolinea confindustria, “non incorporano le intenzioni del governo” in attesa della legge di Bilancio ma, tra vari fattori, “pesano” anche “l’aumento dello spread”, “l’incertezza sulla capacità del Governo di incidere sui nodi dell’economia” e sulla “sostenibilità del contratto di Governo” che causa “meno fiducia degli operatori”.

Passando al deficit, Confindustria stima per il 2018 un calo all’1,8% del PIL dal 2,4% del 2017 che includeva una componente una tantum legata ai salvataggi bancari. Questo risultato “è peggiorativo rispetto ad quanto immaginato dal governo uscente ad aprile, che stimava per il 2018 un rapporto deficit/Pil all’1,6% nel 2018”. Per quanto riguarda il 2019 il deficit tendenziale è previsto intorno al 2% del Pil, che incorpora il mancato aumento dell’Iva.

In questo contesto occorre evidenziare che oggi, 3 ottobre, l’Istat ha diffuso i dati sul rapporto deficit/Pil del secondo trimestre 2018. “L’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari allo 0,5%, a fronte del 2,1% dello stesso trimestre del 2017”, si legge nel comunicato dell’Istat in cui si specifica però che i dati del secondo trimestre 2017 avevano però “risentito (per 1,1 punti percentuali) dell’effetto del trasferimento in conto capitale operato per l’intervento sulla crisi delle Banche Venete”.

Infine il debito: 130,9 per cento nel 2018 e al 130,7 nel 2019, un livello che resta molto alto.

CONFINDUSTRIA: LE TASSE AUMENTERANNO

Per gli economisti di Confindustria “l’aumento del deficit” previsto dal Governo “è poca cosa rispetto agli impegni politici assunti: se le coperture non saranno ben definite – avvertono – si rischia ex post un rapporto deficit/pil più alto”. Il deficit al 2,4% potrebbe dunque non bastare per finanziare tutte le misure (costose) promesse dal Governo.

Quindi? La conclusione del Csc piacerà a pochi: “CsC “l’aumento del deficit serve per avviare parti del contratto di Governo di sostegno al welfare”, come su reddito di cittadinanza o pensioni, poi “molto difficili da cancellare se non in situazioni emergenziali. Ciò potrebbe portare a più tasse in futuro e ad aumentare il tasso di risparmio già oggi”. Parlando in parole povere, sarà molto difficile che un Governo politico abbia la forza di revocare misure del genere senza rischiare un tracollo elettorale senza precedenti, ma per mantenerle in vita potrebbe dover aumentare le tasse innescando un circolo vizioso senza fine.

NO A QUOTA 100, CONDONO E FLAT TAX

Confindustria invita a riflettere bene anche sull’introduzione della quota 100 per le pensioni e sul via libera alla cosiddetta pace fiscale.

Per quanto riguarda la previdenza, il Csc invita l’esecutivo Conte a “Non smontare le riforme pensionistiche perché ciò renderebbe necessario aumentare il prelievo contributivo sul lavoro. Se il meccanismo di ‘quota 100’, per permettere l’anticipo della pensione, venisse introdotto, andrebbe invece nella direzione opposta”.

Bocciata anche la pace fiscale: “L’utilizzo regolare del condono fiscale finisce per creare problemi all’erario, compromette le entrate future aumentando il rischio di dover adottare misure una tantum anche negli anni successivi: un circolo vizioso in cui l’autorità fiscale perde il controllo di una parte delle entrate”.

In questo contesto si inserisce anche il giudizio sulla flat tax che “potrebbe semplificare l’imposta sul reddito personale, ridurre i costi di adempimento, far aumentare la compliance e sarebbe più razionale”, si sottolinea. “Va tenuto però conto che i risultati di simulazioni del Csc indicano che è improbabile che il passaggio ad una quasi flat tax si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta”.

LE PAROLE DI TRIA

Alla presentazione del rapporto del Centro Studi di Confindustria è intervenuto anche il numero uno del Mef, Giovanni Tria, con parole volte a rassicurare la platea, ma soprattutto i mercati.

“Assicureremo dal prossimo anno ad una accelerazione rispetto al passato della riduzione del debito”, garantisce il ministro. Per il Governo, continua “è di importanza fondamentale la riduzione del debito pubblico”, nodo che “va affrontato, indipendentemente dai vincoli, per liberare spazi di bilancio” anche per le riforme fiscali.

E sul deficit chiarisce: nel 2019 ci sarà “uno scostamento dagli obiettivi concordati con la commissione europea dal precedente governo”, ma “ci sarà poi un graduale ridursi del deficit negli anni successivi”.

Parole che però vengono “attenuate” dal ministro Di Maio, che parlando in contemporanea alla Camera, per gli anni successivi al 2019 liquida la questione con un “poi vediamo”.

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