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Commissione Ue, anno zero

Il neo-presidente dell’Esecutivo di Bruxelles ha avviato un’autentica rivoluzione della struttura del collegio, delle competenze e delle modalità di lavoro – Ruolo di primissimo piano per il finlandese Katainen, paladino del rigore, sponsorizzato dalla Merkel – Coordinerà, fra gli altri, il francese Moscovici, commissario agli affari monetari.

Commissione Ue, anno zero

È il timbro stavolta veramente definitivo della fine delle ideologie e in prospetttiva – timore non del tutto ingiustificato – anche della scomparsa della democrazia rappresentativa con annessi i partiti politici che ne sono i necessari strumenti? Oppure l’ufficializzazione della nascita di un neo-machiavellismo del terzo millennio, forse l’ultimo e più radicale tentativo di governo di una realtà sempre più ingovernabile su scala nazionale, europea e mondiale?

Sono questi gli interrogativi che potrebbero scaturire dalla lettura del lungo elenco, reso noto ieri, di attribuzione degli incarichi ai nuovi commissari europei che, salvo improbabili colpi di scena, si insedieranno a Palazzo Berlaymont a Bruxelles il primo novembre prossimo. Nonché dalla consultazione del nuovo complesso meccanismo di pesi e contrappesi politici (e di un sostanziale anche se ovviamente non esplicito bilanciamento fra gli Stati membri) messo a punto dal neo-presidente dell’Esecutivo europeo Jean-Claude Juncker.

Con il dichiarato proposito di rendere più snello e soprattutto più efficiente il processo decisionale comunitario in un contesto di perdurante crisi economico-finanziaria che, sotto la spinta del galoppante progresso tecnologico, richiede decisioni rapide e capacità di modifica in corsa tanto delle strategie quanto delle tattiche. Proposito sostenuto da puntuali riferimenti a specifiche e non equivoche norme contenute nei Trattati europei.

Juncker, 59 anni, cristiano-sociale nel suo Paese, e quindi Ppe a livello europeo come Angela Merkel con la quale però non è stato sempre in sintonia, è un politico di lungo corso. Per diciott’anni (1995-2013) è stato primo ministro del Lussemburgo, per otto (2005-2013) presidente dell’Eurogruppo, il Consiglio dei ministri dell’Economia e delle Finanze della Zona euro. Europeista convinto, è stato uno degli autori del Trattato di Maastricht che nel 1992 ha trasformato la Cee in Unione europea. Ha fatto parte anche della Convenzione che fra il 2002 e il 2005 redasse il testo di una Costituzione europea vanificata poi dai “no” referendari in Olanda e in Francia.

Forte di un curriculum di questo livello, il neo-presidente della Commissione probabilmente deve essere arrivato alla conclusione che, per governare un’Unione di 28 Paesi che però non è una federazione di Stati sovrani, “il faut faire avec…” (“bisogna fare con…”, cioè adattarsi alla realtà, come recita un detto francese, e Juncker ha studiato in Francia). Una realtà complessa e variegata sotto i profili politico, economico, storico, geografico, culturale, linguistico.

E allora vai con un direttore d’orchestra ambizioso sostenitore di un’Europa protagonista sullo scenario mondiale. Un direttore d’orchestra che controlla l’attuazione del disegno che ha in mente per il tramite di una nuova struttura della Commissione fondata su una ragnatela di deleghe e sub-deleghe che regolano le responsabilità di ciascun commissario ma anche precisi limiti di intervento.

E allora, come anticipato in questi giorni da Firstonline, il cappello di vicepresidente – assegnato a 6 commissari oltre che a quello “di diritto” attribuito dal Trattato di Lisbona all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza (in questa Commissione Federica Mogherini) – non sarà più onorifico o quasi, ma diventerà operativo pieno titolo. Così che ciascuno di loro avrà funzioni di stimolo ma anche di controllo di uno o più commissari.  

E, fra di loro, Juncker ha nominato primo vicepresidente – “il mio braccio destro”, ha specificato – Frans Timmermans, 53 anni, ministro olandese degli Esteri uscente, del Partito laburista, l’esponente socialista europeo autodefinitosi “romano e romanista” (da ragazzo ha  studiato a Roma e ha conservato la passione per “la magica”), affidandogli grandi responsabilità decisionali e di coordinamento. E facendone quindi una sorta di “co-gestore” della Commissione.

A Timmermans, secondo l’organigramma disegnato da Juncker, è stata attribuita la responsabilità di una migliore regolazione del processo decisionale, delle relazioni interistituzionali, del rispetto dello Stato di diritto, e della Carta europea dei diritti fondamentali. In questa veste controllerà che “ogni proposta della Commissione rispetti i principi di sussidiarietà e di proporzionalità che hanno una funzione determinante nel lavoro del collegio di Berlaymont”.

Il primo vicepresidente lavorerà con “tutti i commissari”, e più da vicino con i responsabili della Giustizia, della Tutela dei consumatori e della parità di genere (la ceca Vera Jourova, 50 anni, nel suo Paese esponente dell’Alleanza dei cittadini scontenti, ministro uscente dello Sviluppo regionale), e dell’Immigrazione e degli Affari interni (Dimitris Avramopoulos, 61 anni, ministro greco della Difesa, già sindaco di Atene per 8 anni dopo aver lasciato la carriera diplomatica, del partito di centro-destra Nuova Democrazia), “in relazione allo stretto legame fra queste materie e il rispetto dello stato di diritto”, chiariscono alla Commissione. Un politico mediterraneo che, soprattutto per la collocazione geografica del suo Paese, potrebbe diventare un valido sostenitore delle buone ragioni di Angelino Alfano in tema di controllo dell’immigrazione illegale e di finanziamento degli interventi di soccorso in mare.

Quanto ai portafogli economici e finanziari, Juncker – con la presumibile previa benedizione di Angela Merkel e il molto probabile consenso di Matteo Renzi, di François Hollande e del «nemico» dichiarato (ex?) David Cameron – ha messo in piedi un organigramma di “diabolico” profilo politico e di possibile (o impossibile?) conciliazione fra rigore finanziario e sostegno della crescita.

Il portafoglio del finlandese Jyrki Katainen – strenuo sostenitore del rigore finanziario, uno dai maggiori esponenti del Ppe in Europa, 42 anni, dimessosi da primo ministro del suo Paese per andare a occupare il posto di commissario per gli Affari economici e monetari lasciato libero dal connazionale liberaldemocratico Olli Rehn trasferitosi all’Europarlamento – ha cambiato nome, ma la sostanza del suo incarico è molto simile a quella di tre mesi fa, quando si è insediato alla Commissione come vicepresidente. 

Ora, sempre come vicepresidente, Katainen disporrà di una competenza più ampia: Occupazione, Crescita, Investimenti e Competitività. Con l’aggiunta dell’obligo di guidare e coordinare l’attività l’attività di ben 7 commissari. Fra questi c’è ‘ex-ministro francese delle Finanze Pierre Moscovici, 56 anni, socialista, fan di un allentamento del rigore, e per questo motivo inviso alla Merkel. Juncker gli ha affidato – guarda caso… – proprio gli Affari economici e finanziari, che erano il suo obiettivo, e con l’aggiunta della Tassazione e dell’Unione doganale. Ma il suo incarico rientra sotto il coordinamento del rivale finlandese. Collocazione che certo non lo renderà più felice e che non sarà stata accettata con gioia neppure da Hollande. 

La lista dei commissari che rientrano nella responsabilità di Katainen continua con   l’ormai ex-eurodeputata belga Marianne Thyssen, 58 anni, cristiano-democratica nelle Fiandre, dove è stata eletta, Ppe in Europa che si occuperà di Occupazione, Affari sociali, Competenze e Mobilità lavorativa,  Poi c’è la romena Corina Cretu, 47 anni, che il primo luglio scorso era stata eletta vicepresidente del Parlamento di Strasburgo per il gruppo socialisti & democratici, che sarà responsabile della Politica regionale.   

Gli altri commissari la cui attività sarà coordinata da Katainen sono inoltre quelli per il Mercato interno, l’Industria, l’Imprenditoria e le Pmi (Elzbieta Bienkowska, vicepremier uscente in Polonia, Ppe in Europa); Servizi finanziari e Unione dei mercati dei capitali (Johnatan Hill, britannico, già leader dei conservatori alla Camera dei lord, mano tesa di Juncker a Cameron e alla capitale finanziaria d’Europa dopo aver detto che non si sarebbe “mai messo in ginocchio di fronte agli inglesi”); Economia digitale e Società (Günther Oettinger, cristiano-democratico tedesco, commissario uscente proprio per l’Energia); e Azione per il clima e l’energia (Miguel Arias Cañete, spagnolo, europarlamentare momentaneamente ancora in carica per il Ppe).

Un’altra vicepresidente “di peso” (Bilancio e Risorse umane) sarà la commissaria bulgara uscente Kristalina Georgieva, Ppe. Collaborerà con tutti i commissari avendo il compito di tenere sotto controllo l’impatto delle iniziative della Commissione sul bilancio e sul personale.

Per quel che riguarda il ruolo di Mogherini, che trasferirà il proprio ufficio a Berlaymont per sottolineare il suo ruolo di “ministro degli Esteri dell’Ue”, come l’ha definita Juncker, la scommessa di quest’ultimo è particolarmente ardua. Questa funzione dalla definizione altisonante ha avuto sempre un peso modesto nella politica europea per l’evidente motivo che la politica estera è stata geloso appannaggio dei ministri degli Esteri nazionali. 

Quindi per Mr o Lady Pesc di turno frequentissimi  viaggi in tutto il mondo e poi quasi nulla. Mentre ora il nuovo presidente della Commissione, con il nostro ministro degli Esteri uscente – che, in caso di assenza per spostamenti istituzionali, sarà rimpiazzata da Johannes Hahn, austriaco, Ppe, che dalle Politiche regionali passerà alla Politica di vicinato (oggi cruciale) e all’Allargamento (negoziati preparatori ma nessun nuovo ingresso in Ue nei prossimi 5 anni), ha preannunciato Juncker – intende giocarsi una carta importante per l’Europa. Auguri!

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