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Colf, tate e periti contro la disoccupazione

Secondo una ricerca commissionata al Censis da Assindatcolf, se le spese per colf, baby sitter e badanti venissero dedotte dall’imponibile, si permetterebbe l’emersione dal nero di 340mila lavoratori e la creazione di circa 200mila nuovi posti di lavoro – Per il presidente di Assolombardia Gianfelice Rocca è necessario tornare a formare nuovi periti.

Colf, tate e periti contro la disoccupazione

Il problema della disoccupazione è una delle cause principali della stentata ripartenza dell’economia italiana. Alcuni modi per rilanciare l’occupazione, però, sembrano esserci: ad esempio basterebbe dedurre dall’imponibile le spese per colf, baby sitter e badanti. A dirlo è una ricerca commissionata al Censis da Assindatcolf, associazione che opera nel campo dei servizi alle famiglie datori di lavoro, e presentato a Roma.

Secondo la ricerca, ad oggi ci sono 2 milioni 143mila famiglie in Italia che si avvalgono di un aiuto domestico e altre 2 milioni 900mila che ne avrebbero bisogno, ma non se lo possono permettere. “L’unico strumento per aiutare le famiglie meno abbienti – spiega Renzo Gardella, presidente di Assindatcolf – è quello delle deducibilità totale, che potrebbe essere una misura da inserire nella legge di Stabilità”.

Una misura che, secondo i dati Censis, sarebbe assolutamente sostenibile per le casse dello Stato: a mitigare l’onere degli sgravi fiscali per le case pubbliche, infatti, interverrebbero i versamenti contributivi legati alle nuove assunzioni in tutti i settori e il gettito Iva generato dall’aumento dei consumi.

Secondo i dati, infatti, la misura comporterebbe l’emersione dal nero di 340mila tra colf, tate e badanti; la creazione di 104mila nuovi posti di lavoro nel settore e la creazione di circa 80mila altri posti di lavoro a causa dell’aumentato potere d’acquisto delle famiglie.

Un altro fronte lavorando sul quale si potrebbe erodere una quota consistente dell’attuale disoccupazione è quello dei periti. Secondo presidente di Assolombardia Gianfelice Rocca ci sarebbero “un terzo di disoccupati in meno se la scuola formasse i periti” e se si desse vita ad un legame più stretto tra scuola, università e aziende.

Secondo un rapporto della Fondazione Rocca e di Associazione TreElle, infatti, il rilancio dell’occupazione passa per il rilancio dell’istruzione tecnica e della formazione dei Periti e ad una forma di istruzione non più ancorata ai retaggi del ’68 o ad un approccio “strettamente scientifico-umanistico”, ma  in cui “tutto è connesso: meccanica e medicina, tecnologia dei sensori, connettività, big data”.

A mancare, per far decollare questo genere di modello, sono le “eccellenze intermedie”, i cosiddetti “super periti”, che vengono formati in misura molto minore rispetto all’esigenza che il tessuto economico ne ha. Una zona grigia che, teoricamente, è il territorio della laurea triennale, un modello, per Rocca, molto meno funzionante dei “diplomi universitari” che “gestiti da università e aziende, si traducevano in tassi di occupazione altissimi. 

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