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Chips, auto e porti: quanti colli di bottiglia frenano le economie

La scarsità di chips sta mettendo a dura prova la produzione di auto, come stanno sperimentando Stellantis e la Toyota – Ma anche i porti soffrono di strozzature che frenano l’economia – Ecco cosa sta realmente succedendo

Chips, auto e porti: quanti colli di bottiglia frenano le economie

L’effetto farfalla ai tempi del Covid funziona così: al porto di Los Angeles una nave galleggia inoperosa in attesa di essere caricata. Colpa della quarantena, che ha colpito i lavoratori ai dock. Ma questo ritardo si scarica sui container riempiti di soia caricata in Iowa e indirizzata ai clienti in Indonesia, con il risultato di provocare seri intoppi alle forniture di mangimi per animali in tutto il Sud Est asiatico. È l’esempio, uno dei tanti, che il New York Times usa per descrivere gli effetti dei vari scompensi e colli di bottiglia che stanno mettendo a rischio la ripresa delle economie ad ogni latitudine.

Il caso più clamoroso riguarda la carenza di chip, che, lungi dal rientrare come molti operatori prevedevano (o meglio, speravano), ha ormai contagiato tutti i produttori. Dopo l’allarme lanciato da Toyota, che ha annunciato tagli nella produzione nell’ordine del 40%, e i grandi Usa, l’emergenza ha colpito in pieno Stellantis: la Sevel di Atessa e Pomigliano prolungano le ferie, Melfi, che nella prima metà dell’anno ha sfornato il 46% delle vetture prodotte in Italia (113mila veicoli), a settembre lavorerà solo 5 giorni. Ma l’assenza di componenti ha colpito anche la produzione degli impianti francesi di Rennes e Sochaux e di quello tedesco di Eisenach. Infine, la carestia ha colpito l’ex Dodge-Chrysler: si fermano le linee di Ram, Voyages e Jeep in Michigan e in Canada. Insomma, peggio che nella prima parte dell’anno, quando la mancanza di componenti è costata al gruppo la mancata produzione di 700 mila macchine; un salasso in linea con il resto del settore, dalla Corea del Sud al Brasile ed alla Germania.

Anche con la Cina, l’economia che probabilmente per prima e con più profondità ha patito i danni dei colli di bottiglia. Non solo per quel che riguarda l’auto o, più in generale, i chip. La brusca caduta dell’attività nel settore dei servizi ad agosto (l’indice PMI elaborato dall’ufficio centrale di statistica di Pechino è sceso a 47,5 punti, il ribasso più forte dal febbraio del 2020, il mese dello scoppio dell’epidemia a Wuhan) è il sintomo di un malessere profondo emerso con il gigantesco ingorgo che a maggio ha paralizzato il porto di Shenzhen per settimane. Nemmeno il tempo di respirare ed è stata la volta dello scalo di Ningbo, il terzo porto al mondo per movimentazione di container, bloccato a metà agosto per un solo caso di Covid-19. Il blackout è rientrato dopo una settimana, ma anche così rischia di creare grossi scompensi alle forniture di merci indirizzate negli Stati Uniti in vista del Black Friday, il giorno delle vendite a sconto prima del giorno del Ringraziamento.

I problemi, insomma, non si limitano alla carenza di un prodotto, ma coinvolgono l’intera filiera dell’organizzazione mondiale del lavoro, così come è maturato negli ultimi decenni all’insegna del just in time, ovvero della riduzione degli stock in magazzino grazie ad una logistica globale. Il sistema all’apparenza così efficiente, scrive il Financial Times, rischia di rivelarsi fragile, così come accadde in occasione della crisi dei subprime, “quando i mutui dell’Arkansas vennero ceduti alle tesorerie delle città della Norvegia”. Si sa come andò a finire allora, quando titoli sempre più opachi finirono, grazie alla rapidità del sistema, nei portafogli più disparati e ignari. Oggi, scrive Peter Atwater, la pandemia rischia di generare una situazione altrettanto scomoda; prima la carenza dei chip, poi l’incidente di Suez, infine i guai dei porti cinesi. Anche qui, come in banca nel 2008/09, si paga l’effetto della “ricerca del valore” a ogni costo, minimizzando l’impiego di capitali e riducendo i tempi all’estremo.

Ora il sistema si rivolta come un boomerang, anche sull’onda del comportamento dei consumatori. Gli economisti, infatti, già parlano dell’effetto carta igienica. Durante il lockdown non poche famiglie, in Occidente come ad Oriente, hanno creato scorte di toilet paper, peraltro non giustificate dalla carenza al supermarket, contribuendo così a creare la temuta scarsità e l’aumento dell’inflazione indotto dalla penuria dell’offerta. Non resta che portare pazienza, insomma. E adattarsi all’emergenza come ha fatto Eric Poses, un produttore di giochi da tavolo americano che, di fronte al boom dei prezzi (un carico di giocattoli dalla Cina costa più del quadruplo rispetto a un anno fa), ha messo in commercio una sorta di Monopoli aggiornato. Il titolo? “Il peggior scenario possibile”.

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