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Censimento Istat: Italia sempre meno popolosa e più vecchia. Culle vuote, immigrati in calo, più laureati

Rimane ancora positiva la prevalenza delle donne nella popolazione residente ma si assottiglia il saldo tra “entrate” (gli immigrati) e uscite. Nuovo record minimo delle nascite. I dati del censimento 2021 Istat

Censimento Istat: Italia sempre meno popolosa e più vecchia. Culle vuote, immigrati in calo, più laureati

La popolazione residente in Italia non solo diminuisce ma è sempre più vecchia: nascono sempre meno bambini e diventa negativo anche il saldo tra “entrate” e uscite. È questo il risultato dell’ultima edizione del Censimento Istat permanente della Popolazione e delle Abitazioni, svolta nell’autunno 2021, elaborato dall’Istat. Al 31 dicembre 2021 i residenti italiani ammontano a 59.030.133, in calo dello 0,3% rispetto al 2020. Ma ci sono anche “buone” notizie: le donne rappresentano il 51,2% della popolazione residente (superando gli uomini di 1.392.221 unità), si dimezzano gli analfabeti (dall’1,1% allo 0,5%) e aumentano i laureati (dall’11,2% al 15%).

Il quadro però rimane preoccupante. Vediamo nel dettaglio i principali dati del Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni 2021 dell’Istat.

Censimento Istat 2021: sempre in flessione la popolazione italiana

Al 31 dicembre 2021, la popolazione in Italia conta 59.030.133 residenti, in calo dello 0,3% rispetto al 2020 (-206.080 individui). Tale riduzione interessa in particolare il Centro (-0,5%) e il Nord (-0,4% in entrambe le ripartizioni) mentre è più contenuto nel Meridione (-0,2%) e minimo nelle Isole (dove la diminuzione della popolazione residente è di appena 3mila unità).

Il calo della popolazione residente è in gran parte riconducibile alla diminuzione della componente straniera. Gli stranieri censiti sono 5.030.716 (-141.178 rispetto al 2020), con un’incidenza sulla popolazione totale di 8,5 stranieri ogni 100 censiti.

Censimento Istat: nuovo record minimo di nascite

Alle conseguenze dirette e indirette dell’epidemia da Covid-19 sulla dinamica demografica osservate nel 2020 (tra il drammatico eccesso di mortalità e la forte contrazione dei flussi migratori), nel corso del 2021 si aggiungono gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite che raggiungono un nuovo minimo storico: appena 400.249 mila, in diminuzione dell’1,1% rispetto al 2020 e quasi del 31% nel confronto con il 2008, l’anno d’oro più recente per quanto riguarda le nascite. A livello territoriale, le nascite mostrano “un calo generalizzato in quasi tutte le ripartizioni, con i valori più alti al Sud (-2,7%) e un’unica eccezione nel Nord-est dove si registra un lieve incremento (+0,1% sul 2020)”. Mentre la Provincia autonoma di Bolzano si caratterizza per una natalità̀ più̀ alta della media (+193 unità).

Il nuovo record minimo delle nascite e l’elevato numero di decessi (701mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese nell’ultimo decennio. Il saldo naturale, pari a -301mila unità nel 2021; sommato alle -335mila già̀ rilevate nel 2020 determina in due anni di pandemia un deficit di “sostituzione naturale” di 637mila persone.

In calo la percentuale di comuni che si spopola, “tengono” i piccoli comuni

Su 7.904 comuni, solo 2.850 hanno registrato un incremento di popolazione sull’anno precedente, dove risiedono circa 17 milioni 600mila persone, il 29,9% della popolazione nel 2021. Rispetto al 2020 diminuisce la percentuale di comuni che si spopolano (il 61,8% del totale contro il 73,6% del 2020).

Il decremento di popolazione non riguarda in egual misura tutte le classi comunali di ampiezza demografica. Le percentuali più basse di comuni con popolazione in calo si registrano nella classe 5-20mila abitanti (57,3%) e in quella fino a 5mila abitanti (62,7%), che insieme rappresentano ben il 70% dei comuni italiani. Al contrario, tra i 44 comuni con oltre 100mila abitanti solo 5 guadagnano popolazione (erano 11 tra il 2019 e il 2020) mentre per i restanti 39 il saldo è negativo rispetto al Censimento 20203, per un totale di -115.813 residenti. Come nel 2020, anche nel 2021 Roma è il comune più grande con 2.749.031 residenti, e Morterone (in provincia di Lecco) quello più piccolo (con appena 31 abitanti).

Popolazione straniera in calo

Il calo di popolazione è da attribuire anche alla diminuzione della popolazione straniera. Gli stranieri censiti sono 5.030.716 (-141.178 rispetto al 2020), con un’incidenza sulla popolazione totale di 8,5 stranieri ogni 100 censiti. Quasi la metà degli stranieri censiti nel 2021 proviene dall’Europa (47,7%), il 22,6% dall’Africa, una percentuale di poco inferiore dall’Asia e il 7,3% dall’America. L’Unione europea è l’area maggiormente rappresentata (27,6%), seguono l’Europa centro orientale (19,3%), l’Africa del nord (13,6%) e l’Asia centro meridionale (11,6%).

Il Nord è l’area più attrattiva per gli stranieri

Nel Nord Italia si concentra il 59% della popolazione straniera censita (2 milioni 973mila): il Nord ovest, con oltre un terzo dei cittadini non italiani rilevati, è l’area più attrattiva. Il Centro Italia accoglie il 25% di stranieri rilevati (1 milione 241mila) e il Sud e le Isole, rispettivamente, l’11,6% e il 4,6%. Nel confronto con il 2020, le regioni che hanno registrato il calo maggiore sono Lombardia (-35mila), Toscana (-19mila circa), Lazio (-17mila) e Veneto (-16mila). Al contrario, Calabria, Puglia e Basilicata, anche se in misura molto ridotta, sono le uniche a registrare un aumento di stranieri.

Confermata la prevalenza femminile nella popolazione residente in Italia

Anche nel 2021 si conferma la leggera prevalenza delle donne che, superando gli uomini di 1.392.221 unità, rappresentano il 51,2% della popolazione residente. Il rapporto di mascolinità è quindi pari a 95,4 uomini ogni 100 donne. Come nel 2020, il rapporto di mascolinità più alto si registra in Trentino-Alto Adige (97,7), quello più basso in Liguria (92,6), che però è anche la regione con il più alto indice di vecchiaia (267,2).

Se in generale il rapporto di mascolinità è inferiore a 100, in circa un terzo dei comuni (contro il 23,5% del 2011) risulta invece sbilanciato a favore degli uomini.

L’Italia sempre più “vecchia”

La struttura per età̀ si conferma anche nel 2021 fortemente squilibrata: la popolazione italiana è sempre più anziana. Rispetto all’anno precedente, per entrambi i generi diminuisce leggermente il peso percentuale delle classi più̀ giovani, in particolare 0-4 e 5-9 anni, ma anche di quelle 40-44 e 45-49 anni. Sempre di poco aumenta invece l’incidenza delle classi di età̀ 50-54, 55-59, 60-64, 65-69 e 75-79 anni. Di conseguenza anche l’età̀ media si innalza lievemente, passando da 45,9 a 46,2 anni, pur con una certa variabilità̀ nella geografia dell’invecchiamento. La Campania, con un’età̀ media di 43,6 anni, continua a essere la regione più̀ giovane e la Liguria, con un’età̀ media di 49,4, anni, si conferma quella più̀ anziana.

Allo stesso modo continua a crescere l’indice di vecchiaia (rapporto tra la percentuale di popolazione di 65 anni e più e quella di 0-14 anni) che si attesta a 187,6 da 182,6 del 2020 (179,3 nel 2011). Anche in questo caso i valori più bassi si registrano in Campania (143,6) e Trentino-Alto Adige (147) mentre il valore più alto è quello della Liguria (267,2).

Il fenomeno dell’invecchiamento sembra dunque mostrare alcuni primi segnali anche tra la popolazione non italiana, che resta però molto più giovane di quella nazionale. La differenza emerge netta confrontando le piramidi delle età̀ di stranieri e italiani: quella degli stranieri ha una base ampia (dove è situata la popolazione con meno di 10 anni), un corpo centrale esteso (30-49 anni) e un vertice molto stretto (+60 anni).

Analfabeti dimezzati e aumentano i laureati

Negli ultimi 10 anni si sono dimezzati gli analfabeti, persone che sanno leggere e scrivere ma non hanno concluso un corso regolare di studi, sono diminuite le persone che non hanno proseguito gli studi dopo il primo ciclo della scuola primaria e, allo stesso tempo, sono aumentati i laureati (dall’11,2% al 15,0%) e dottori di ricerca (dallo 0,3% allo 0,5%). A livello territoriale i laureati sono il 17,2% al Centro, il 15,3% al Nord-ovest, il 14,9% al Nord-est, il 13,8% nel Meridione e il 13% nelle Isole. Mentre le quote più elevate di titoli di studio bassi si rilevano al Sud.

Con il 19,1% il Lazio è la regione con l’incidenza più elevata di laureati e di dottori di ricerca (0,8%) a cui si contrappone la Puglia (12,9% e 0,3%), al pari di Valle D’Aosta, Campania,Basilicata, Calabria e Sicilia. I grandi comuni, con oltre 250mila residenti, continuano a essere un polo di attrazione per i più istruiti: la quota di laureati registra un picco (29,1%) a Milano e Bologna, che dal 2011 guadagnano 6 punti percentuali. Più contenute, ma sopra la media nazionale del 15%, le incidenze di laureati a Palermo, Napoli e Catania, che nell’ultimo decennio sono cresciuti tra i 2,5 e i 3,2 punti percentuali.

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