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Cambiamenti climatici, dalla Bei 160 miliardi in arrivo

Alla vigilia della conferenza di Katowice, pubblicato il 2° Rapporto sul clima: italiani preoccupati per gli effetti economici dovuti alle misure contro i cambiamenti climatici.

Cambiamenti climatici, dalla Bei 160 miliardi in arrivo

Centosessanta sono i miliardi di euro di finanziamenti della BEI nella lotta ai cambiamenti climatici, ma solo per un terzo degli italiani sono sufficienti a cambiare passo. La Banca europea per gli investimenti si è candidata ad essere tra i maggiori finanziatori nella lotta ai mutamenti ambientali. Già oggi su questo presupposto, presenta un lusinghiero bilancio. Negli ultimi sette anni ha sostenuto investimenti per 600 milioni di euro in tutto il mondo. Un ammontare equivalente al PIL polacco, dicono i suoi manager. Non ancora del tutto soddisfatti, pero, si interrogano e interrogano l’opinione pubblica sugli effetti del loro impegno.

Insieme alla YouGov – società  di analisi – la Banca ha pubblicato i risultati del secondo sondaggio sul clima. Su come una vasta platea di persone in Europa, Stati Uniti e Cina percepisce i cambiamenti. Il 3 dicembre si apre a Katowice in Polonia, COP 24, la nuova conferenza mondiale sul clima. Fino al 14 dicembre si analizzeranno i percorsi più virtuosi per arrivare agli obiettivi sul clima stabiliti dall’Accordo di Parigi del 2015. Gli europei, dopo le marce indietro di Trump negli Usa, sono una platea fondamentale per capire dove si sta andando, con quali soldi e con che grado di fiducia. E non solo perché parliamo di una istituzione finanziaria europea, ma perché i popoli del vecchio continente sono stati i più decisi a voler imboccare un nuovo corso.

Stanno accumulando contraddizioni, come ci dicono anche le proteste francesi di questi giorni. Ma il sondaggio dice che gli europei sono i più preoccupati dalle ripercussioni finanziari generate dai mutamenti ambientali. Superano in paura gli americani e i cinesi, nonostante le politiche non affatto green dei governi di questi due colossi. Incuriosiscono gli americani che si dichiarano ottimisti riguardo ai benefici economici collegati alle misure per contrastare i cambiamenti climatici. Quasi un terzo di loro – il 26% – pensa che le decisioni federali faranno bene all’ economia. I cinesi fiduciosi, al cospetto degli Usa, invece sono appena l’11%.

Nel panel europeo spiccano gli italiani con una metà convinta che se davvero si decide di arrestare gli ammorbamenti climatici, toccherà a loro sostenere maggiori spese assicurative, nuovi costi energetici, tasse impreviste. Solo un 4% dice di non avere idea – positiva o negativa che sia – dinanzi a decisioni del governo. Ma spiccano anche le condizioni economiche di partenza. Il 46% con un reddito annuale lordo sotto i 12 000 euro è convinto che le buone pratiche contro il clima gravino sull’economia. Coloro che guadagno il doppio e la pensano allo stesso modo, sono invece il 28%. Si capisce perchè i soldi della BEI sono ritenuti poco efficaci.

Siamo davanti ad una platea differenziata su scala mondiale dove la lotta ai cambiamenti climatici procede tra alti e bassi e ventate autarchiche. Gli Stati che dalla Conferenza di Parigi in poi hanno messo in campo politiche e strategie coerenti si stanno riducendo di numero. E la regressione provoca sentimenti diversi nelle classi sociali, prima ancora che nell’economia. Da un lato si è tutti certi che i gas serra, il carbone, l’uso massiccio delle energie fossili fanno male alla salute e al pianeta. Dall’altro si ha paura che tutto ciò che può far migliorare le cose fa affidamento solo sulle  tasche dei contribuenti.

La BEI fa bene a promuovere iniziative così cospicue, mettendo a disposizione risorse e competenze? I governanti da soli non sono nelle condizioni di prendere strade virtuose. Hanno capitoli di spesa esigui, sono lacerati da visioni diverse, sono mobili sulle poltrone che contano. Diventa difficile non condividere l’opinione di Monica Scatasta, responsabile della politica ambientale della BEI. Dice che i finanziamenti pubblici, da soli, anche quando provengono dalle istituzioni internazionali, non sono sufficienti a tracciare un percorso di fiducia. Ci vuole altro. Investitori, imprenditori, forze economiche, tutti consapevoli di affrontare una partita epocale che se giocata bene si concluderà con risultati positivi.

Finanziare l’azione per il clima può produrre benefici di lunga durata e posti di lavoro. Ancora una volta, torna utile qualche percentuale rilevata tra gli italiani. Nei prossimi dieci anni, hanno detto, le ripercussioni finanziarie dei cambiamenti del clima si materializzeranno. Il 62% degli intervistati teme effetti sulla salute per l’arrivo di nuove malattie o il peggioramento di quelle esistenti. Più della metà ha paura di sopravvivere ad alluvioni, carenza idrica, eventi straordinari. Il 18% intravede la necessità di trasferirsi dal posto in cui vive a causa di inquinamenti ambientali. I soldi ci vogliono.

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