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Brexit: quale destino per l’export Made in Italy?

Il Regno Unito rappresenta il quarto più grande mercato per l’Italia (5,4% del totale). Se quest’anno gli effetti si limiteranno a un calo di 1-2 pp, per il 2017 si stimano perdite tra il 3% e il 7%, vale a dire tra 600 mln e 1,7 mld di euro.

Brexit: quale destino per l’export Made in Italy?
L’uscita della Regno Unito dalla UE ha destabilizzato i mercati, preoccupando per le conseguenze sull’export Made in Italy. Gli analisti sono concordi sul fatto che il calo delle esportazioni si farà sentire dal 2017, quando dovrebbero essere chiusi i primi accordi tra Londra e Bruxelles in vista dell’uscita vera e propria. In questo contesto, il Regno Unito rappresenta il quarto più grande mercato per l’Italia, per una quota del 5,4% del totale export. Allo stesso tempo, il Paese rappresenta il 2,9% delle importazioni italiane, classificandosi al decimo posto tra i principali partner commerciali del Bel Paese. In termini settoriali, il Regno Unito e l’Italia hanno cooperato molto proficuamente nei campi della ricerca aerospaziale e della difesa, due aree che ben potrebbero essere influenzati negativamente dalla rottura del legame comune. Si prevedono inoltre impatti negativi per quanto riguarda istruzione e flussi migratori di lavoratori. Al momento si segnalano circa 600.000 cittadini italiani che lavorano o studiano nel Regno Unito, un numero quasi interamente sostenuto dalla libera circolazione degli individui garantita tra gli Stati membri dell’UE.

L’export italiano verso il Regno Unito ha chiuso il 2015 con un +7,4% rispetto all’anno precedente e archiviato il primo trimestre 2016 con un +1,8% in termini tendenziali. Un trend che nel triennio 2017-2019 avrebbe portato, secondo le stime SACE, a una crescita media annua del 5,5%. Con la Brexit, però, le stime subiscono uno stravolgimento. Nel 2016 le esportazioni Made in Italy oltremanica continueranno a crescere, visti i tempi di attuazione della procedura di uscita dall’UE e i dati positivi registrati nei primi sei mesi dell’anno. Ecco allora che nel corso di quest’anno l’effetto Brexit si limiterà a una crescita più bassa di 1-2 punti percentuali rispetto a quanto previsto. Il dato negativo si registrerà, invece, nel 2017, con un calo dell’export che dovrebbe oscillare tra il 3% e il 7%, vale a dire tra 600 milioni e 1,7 miliardi di euro.

In termini di ripercussioni dirette, le previsioni di Intesa Sanpaolo indicano a breve termine un costo per il Made in Italy fino a 3 miliardi di euro in termini di esportazioni perse o ritardate, principalmente a causa del rallentamento previsto nell’economia UK e della diminuzione del valore della sterlina, con quest’ultimo già in evidenza. La conseguenza più importante a lungo termine è prevista arrivare dall’imposizione di dazi all’importazione (si parla di una tariffa del 5%, sulla falsariga dell’imposta commerciale sui prodotti extra-UE), traducendosi in un aumento sostanziale del costo per i consumatori, problema aggravato dall’indebolimento della moneta nazionale. Tutto ciò dovrebbe avere un effetto sostanziale su un’ampia varietà di settori di esportazione italiani, tra cui alimentare, vino, moda, mobili e macchinari per un valore complessivo di circa un miliardo di euro. L’impatto sarà tanto più pesante quanto il Regno Unito aveva precedentemente assunto lo status di rifugio sicuro per le esportazioni italiane, anche durante il periodo di recessione post-2008.

Secondo SACE i settori maggiormente colpiti saranno meccanica strumentale e mezzi di trasporto, con cali rispettivamente tra il 10-18% e 10-16%. Salvi, invece, tessile e abbigliamento (con un calo previsto tra 1% e 3%) e agroalimentare che, al contrario, continuerà a crescere anche del 6%. Secondo gli analisti ciò si spiega con il fatto che i primi tagli dovuti alla Brexit riguarderanno gli investimenti e non i consumi. L’incertezza e l’impatto economico scoraggeranno gli imprenditori britannici a investire nelle proprie imprese, quindi anche nei macchinari per la produzione, settore nel quale l’Italia è uno dei leader mondiali, e nei mezzi di trasporto commerciali. Problema che, invece, non riguarderebbe agroalimentare e moda, settori che producono beni di consumo generalmente destinati a un mercato di fascia alta e, dunque, a classi sociali che meno risentiranno degli effetti economici dell’uscita della Regno Unito dalla UE. Al contrario, Prometeia prevede cali ridotti per settori come meccanica, farmaceutica e mezzi di trasporto dovuti all’alto grado di specializzazione dell’offerta italiana. Penalizzati, invece, i comparti del Made in Italy tradizionale, con l’agroalimentare che arriverebbe a perdere 450 milioni di euro (-14%) e la moda oltre 200 mln (-9%).

Infine, non va dimenticato che il Regno Unito ha rappresentato un punto di transito strategico  per quei prodotti italiani destinati ai mercati più lontani, in particolare negli USA. È probabile che questo stesso ruolo verrà sostituito da altri Paesi UE confinanti, con l’Irlanda a rappresentare il candidato principale.

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